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Le due vie di Teofane il recluso

“Quello che cerchiamo in tutti i nostri sforzi ed in tutti i nostri combattimenti ascetici, è la purificazione del cuore, ed il ristabilimento dello Spirito. Ci sono due modi di arrivarci: la via attiva, cioè la pratica di una disciplina ascetica, e la via contemplativa, che consiste nel volgere la mente a Dio. Con il primo metodo l’anima si purifica e così riceve Dio, con il secondo quel Dio stesso di cui l’anima è diventata cosciente brucia ogni impurità, e viene a dimorare nell’anima purificata” (Citazione di Teofane il Recluso da “L’arte della preghiera”, di Caritone di Valamo, pag.97, Ed. Gribaudi).

Da notare che San Teofane non dice preghiera, ma usa il termine “contemplazione”. In tutto il testo sono riportate altre citazione del santo dello stesso tenore, quasi a sottolineare l’importanza dell’argomento.

Ma quale utilità ha per noi laici tutto ciò?

Si potrebbe dire fondamentale. Basilare. Perché? Ma perché da sempre, in certi ambiti, l’asceta, cioè il monaco, è stato visto come il vero cristiano. Come colui che solo vive una vita santa, in contrapposizione ai laici. Teofane fa notare invece, che l’ascesi attiva, pur benedetta, è solo una delle due possibili opzioni di vita aperta all’azione dello Spirito. In quella basata sulla vita contemplativa, non è necessario sottoporsi alla dura disciplina del monastero.  Bastano i digiuni della Chiesa (mercoledì, venerdì, Quaresima etc.). Quello che invece serve in questa dimensione, è piuttosto il “volgere la mente a Dio”. Un’espressione volutamente aperta a più modalità di interpretazione.

 

Primo gradino: la contemplazione non consapevole

Nell’agire, noi sempre obbediamo ad un comando della mente. Mai il corpo si muove da solo, e se lo fa siamo nella malattia, per esempio nelle crisi epilettiche. La mente decide di agire quando la sua parte più elevata, che i Padri chiamavano “nous”, ritiene “giusta” quella certa azione. In pratica, il comando di muovere la mano, il braccio o la gamba, in quel dato modo, è solo la parte finale della decisione di agire. Prima di tutto il Nous valuta la giustezza o meno di ciò che poi si realizza come azione. Quindi, nel momento in cui una certa persona decide di dare una elemosina, la parte più alta della sua mente contempla la virtù della carità. Quindi, decide che vuole essere caritatevole e poi opera muovendo le parti del corpo necessarie a fare l’elemosina. Dunque l’azione è sempre causata dalla contemplazione, da parte della parte più nobile della nostra mente. Si opera la virtù, quando contempliamo la virtù. E quando contempliamo la virtù, contempliamo il Cristo.

Infatti i Padri dicevano che la virtù rappresenta il modo attuale della incarnazione del Cristo. Nel Vangelo contempliamo le virtù di Gesù, ed ora nella vita di tutti i giorni, esse rivivono negli uomini ispirate dallo Spirito Santo. Dunque agire bene, agire moralmente, fare la carità, resistere al male ed alla tentazione, tutto questo corrisponde al “volgere la mente a Dio”, di cui parla San Teofane. Questa contemplazione si può dire inconsapevole, perché spesso avviene in tempi rapidissimi e senza una chiara ed immediata coscienza. Essa rappresenta il modo più comune di contemplare il Signore, ed è associata all’operare sociale dei laici, che nel mondo si impegnano per vivere secondo la volontà di Dio.

 

Secondo gradino: il colloquio con Dio

Ma un laico che fa un serio cammino di fede, e che ha una buona frequenza dei sacramenti, tende a considerare importante affiancare alla liturgia un momento quotidiano di preghiera. Bisogna però specificare che per preghiera si possono intendere molte cose. Recitare vocalmente delle preghiere, ha certamente un senso, ma spesso si è concentrati nella esatta pronuncia delle parole, e sfugge il nocciolo. Si rischia di osservare molto la forma e poco il contenuto. La fede nella presenza divina. Sentirsi alla Sua presenza. Parlare a Lui pur non vedendoLo. Usare le proprie parole, con spontaneità. È piuttosto in questo modo, che la parte superiore del cuore e della mente, il Nous, comincia a svegliarsi. Essere spontanei, veri di fronte a Dio, è ciò che comanda il Signore quando ordina: “Prega il Padre tuo nel segreto” (Matteo 6,6). È un esercizio difficile, perché spesso non sappiamo che cosa dire. Ma è efficace. È importante provarci, perché niente come la preghiera spontanea, riesce a metterci di fronte al Signore. Ci educa e considerarLo e poi a sentirLo lì, dove siamo. È quasi una “ginnastica”, se possiamo usare questo termine, che libera la potenza nascosta del Nous. Questo comincia a svegliarsi e a “vedere”. Si tratta di un percorso fattibilissimo per un laico. Basta volerlo. Chiunque se vuole, può svegliarsi mezz’ora prima, e dedicare questo tempo ad un colloquio cuore a cuore con Dio. Magari si può iniziare recitando lentamente e con partecipazione, un breve salmo. Presto si comincerà a sentirci coinvolti. Ed avremo “la mente rivolta verso Dio”. A questo punto con consapevolezza.

 

Terzo gradino: la preghiera di Gesù

È solo dopo questo percorso che possiamo cominciare a recitare la preghiera di Gesù. Senza esercitarsi nella Divina Presenza questa diventerebbe una sorta di “mantra”, qualcosa di estraneo alla tradizione cristiana. L’aiuto principale, che può dare la preghiera di Gesù, è quello di produrre il “calore del cuore”.  Un calore beninteso, spirituale, non fisico. Un senso di amore per Dio, che nasce quando recitiamo per un certo tempo, la preghiera alla presenza del Signore, e con l’attenzione della mente rivolta al cuore. Questo amore per Dio è l’essenza della preghiera del cuore. Essa già comincia ad essere una forma avanzata di contemplazione. A questo punto, infatti, è il cuore che “volge lo sguardo” verso Dio. E lo fa con sentimento, con amore, con devozione, con timore misto a fiducia ed abbandono. Ecco che si sviluppa sempre di più la purificazione, ed il fedele se ne accorge perché si rende conto di peccati ed errori passati. E comincia a pentirsi con più profondità. Il confessore ascolterà così l’esposizione di errori mai presentati precedentemente. È la carità, cioè l’amore per Dio che comincia ad agire. Essa trasforma i cuori di pietra in cuori di carne.

 

Quarto gradino: la contemplazione spirituale della presenza di Dio

È il gradino più elevato. Qui una certa purificazione è già avvenuta, ma certamente molto rimane da fare. La Divina Presenza comincia a manifestarsi così intensamente, da ridurre al silenzio l’orante. La mente si acquieta e non è più troppo tormentata dalle distrazioni. Solo Lui. Egli domina. Riempie. Purifica. Guarisce. Ama. Dà gioia e pace. Dapprima sono brevi momenti, ma poi la Divina Presenza “afferra” il devoto più a lungo. Il pentimento può accompagnarsi alle lacrime, che i padri considerano come un secondo battesimo. Sono appunto lacrime di una purificazione che procede sempre più a fondo. Tutto ciò non è solo per pochi iniziati, ma per tutti. Si tratta di chiederne la grazia al Signore, accettando di lasciarsi condurre per mano, per mesi. A volte per anni. Con fede. Con fiducia e fervida speranza. Tutti. Davvero tutti ce la possono fare.

 

Conclusioni

Anche i laici possono avere il loro percorso di purificazione, attraverso un paziente ma sicuro cammino. Ai monaci si addice di più un percorso ascetico, fatto di severi digiuni e di veglie. Naturalmente non è il caso di fare ferree divisioni. Anche i monaci contemplano ed anche i laici possono praticare una certa ascesi. Quello che conta è considerare ciascuno al suo posto e ciascuno con la sua vocazione. E soprattutto tutti con la stessa dignità e con la stessa chiamata alla santità.