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Nel precedente articolo su Don Camillo abbiamo “giocato in casa”. Finita la guerra fredda e stemperati gli aspetti propagandistici, Don Camillo ha cominciato a piacere un po’ a tutti. Per una questione di giustizia adesso affrontiamo un argomento più difficile, inerpicandoci nei sentieri dell’arte contemporanea.

 

Premessa

Molti si arrestano di fronte all’arte di oggi, non ritenendola vero fenomeno artistico. La cosa è comprensibile perché in effetti c’è davvero molta differenza tra un dipinto dell’ottocento ed una installazione di Damian Ortega. Se però andiamo a vedere i motivi del rifiuto, scopriamo aspetti che possono far discutere. Si ritiene a volte un vero artista colui che sa disegnare e dipingere bene, nel senso di molto rassomigliante con la realtà.  Trapela da questo tipo di osservazioni l’idea erronea, che l’arte coincida con la tecnica. Ora, in certi casi questo può essere possibile ed ha un senso. In altri casi no. Pochi infatti sanno, che negli anni 60 e 70 è esistita una corrente artistica chiamata “Iperrealismo”, in cui i pittori realizzavano tele talmente vicine alla realtà, da essere scambiate per fotografie. Ebbene, questa corrente è poco conosciuta semplicemente perché è caduta nel dimenticatoio.  No, non abbiamo più bisogno di realismo, per quello abbiamo la fotografia che nei primi dell’ottocento non esisteva. Dunque vi sono due prime osservazioni da fare:

  • Oggi l’uomo ha a disposizione una grande quantità di mezzi adatti a trasmettere immagini. Giusto impiegarli: foto e video, per esempio. Queste aumentate possibilità hanno anche stimolato gli artisti a trovare ulteriori nuovi mezzi espressivi: al posto della scultura si producono scene ed ambienti con oggetti di vario tipo. Sono le installazioni. In tutto questo, la tecnica pittorica vede ridurre la sua importanza. Cresce invece il nocciolo dell’arte visiva: riuscire a fare poesia per immagini.
  • L’arte non è mai stata soltanto saper dipingere. Guardando all’arte sacra, forse quella più antica, la troviamo piena di contenuti espressi per immagini. Guardate per esempio la famosa trinità di Rublev: qualsiasi commentatore vi spiegherà che è piena di simboli. Simboli che esprimono una teologia per immagini. Identica cosa nell’arte sacra latina, dove i santi tengono spesso in mano un oggetto che simbolizza la loro vita. Un libro (o un rotolo) se sono stati dottori della chiesa, un giglio se sono stati degli asceti, etc.

 

I tre gradi dell’arte

Simon Schama in “Gli occhi di Rembrandt” (Ed. Mondadori), racconta come nel ‘600 esistessero tre gradi di pittura. Il più basso veniva considerato il vedutismo, cioè pitture che rappresentavano città o luoghi naturali. L’abilità considerata era quella tecnica, saper cioè riprodurre la realtà. Al di sopra di questo veniva posta l’arte del ritratto. Effettivamente nel ritratto il pittore riproduce una persona e non la natura. E una persona presenta caratteristiche esteriori, ma anche interiori. Era dunque bravo chi sapeva, con sapienza, mostrare queste ultime attraverso le prime. Pensiamo, per esempio, alla “Gioconda” di Leonardo. Infine, al gradino più alto, si consideravano le rappresentazioni storiche o mitologico/simboliche. Queste ultime, d’altronde, richiedevano una maggiore cultura e l’abilità, tutta particolare, di saper trasferire un concetto in una immagine simbolica che lo facesse riconoscere a “colpo d’occhio”. Questa suddivisione è rimasta anche in tempi successivi e ci spiega come mai, nella Parigi di fine ottocento, gli impressionisti (che dipingevano scene naturali) fossero all’inizio, così poco considerati. Al loro posto si preferivano pittori come Cabanel, che dipingeva magistralmente ritratti e scene storico/mitologiche.

Perché tutte queste spiegazioni? Perché, appunto, l’arte contemporanea di qualità (quindi non tutta), ripercorre questa strada. La strada della metafora, del simbolo, del contenuto “mostrato” con una rappresentazione visiva. Essa non inventa nulla di nuovo. Piuttosto ripropone un modo assolutamente “Classico” di fare arte, utilizzando però i nuovi mezzi che mette a disposizione la tecnologia. La “Bellezza” può esserci come non esserci. Essa, quando c’è, è generalmente secondaria. Il nocciolo è una speciale comunicazione di una idea per immagini. Speciale perché è tanto più valida quanto immediata, facilmente riconoscibile e di una evidenza “bruciante”.

 

La bellezza dell’intelligenza in Damian Ortega

Seguiamo il consiglio di San Paolo, che ci insegna a non essere indottrinati ed “ideologici”, quando afferma:” esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono (1 Tess 5, 21; C.E.I.). Per Damian Ortega faremo così, focalizzando poche opere di interesse e lasciando da parte le altre. Queste ultime potremo valutarle a parte.  Dunque, in alcune opere Ortega sceglie appunto la strada che abbiamo descritta  nel paragrafo precedente, e risulterà così da utile esempio.

Vediamo insieme “Cosmic thing” del 2002:

https://www.google.it/search?q=damian+ortega++beetle&sxsrf=AOaemvJTJzprDNacf2Lt6Z2qHHosuIlp_w:1640082122032&tbm=isch&source=iu&ictx=1&fir=12iyJG0Iu-

 

Si può vedere un “Maggiolino” Volkswagen smontato e sospeso in aria. Vengono messe in evidenza, oltre alle ruote, alcune e parti interne, non visibili normalmente. Le foto ripropongono i molti modi in cui è stata montata l’opera. Se ne può scegliere una e ingrandirla. La sospensione in aria sposta l’oggetto dal suo luogo naturale per chiedere allo spettatore di guardare il “Maggiolino” con uno sguardo diverso. Lo sguardo richiesto viene esplicitato dalla messa in mostra dei complicati organi meccanici che fanno funzionare la macchina.  Questa immagine ci trasmette intuitivamente l’opera dell’uomo che ha ideato, disegnato e costruito questo oggetto. Ce lo mostra come una meraviglia. L’operazione di Ortega somiglia a quella di certi artigiani, che nel 700 costruivano orologi complicati, con personaggi che suonavano le ore etc., più per stupire con l’intelligenza del manufatto, che per servirsene effettivamente. Si tratta di un elogio meravigliato dell’intelligenza umana. Non solo, ma si cerca di fare di questa meraviglia un valore estetico, cioè se ne esalta la “bellezza”.

Capiamo meglio questa operazione dell’artista osservando un’altra opera: Materia y Espiritu del 2004:

https://www.google.it/search?q=damian+ortega++spirit&tbm=isch&ved=2ahUKEwiMwqSJ2_T0AhVY0oUKHXnaBbAQ2-

 

Ne vediamo qui nella prima riga 6 posizioni diverse, che si possono ingrandire cliccandoci sopra. La parola “Spirito” viene scritta con porte di legno su un prato. Non possiamo sapere cosa pensa esattamente Ortega, ma sembra qui effettivamente, che la capacità dell’uomo di manipolare la materia e di “unirsi” ad essa, con l’intelligenza possa alludere metaforicamente alla possibilità di qualcosa di più alto.  Uno Spirito che non è più solo intelligenza umana. In ultima analisi Ortega, con le sue opere, ci vorrebbe comunicare, per immagini, che la capacità dell’uomo di usare della materia con intelligenza potrebbe rappresentare una profezia di una futura unione di Spirito e Materia. Come è noto, non è molto importante individuare esattamente cosa pensava l’autore nel produrre un’opera d’arte. L’arte è arte, appunto, quando si presta a più interpretazioni, a più livelli di lettura.  Queste opere di Ortega sembrano parlarci questo linguaggio.

 

Ci fermiamo qui. Ci sembra di aver presentato, attraverso un percorso, quelle che possono essere le possibilità dell’arte contemporanea, al di là di tutti i pregiudizi. Naturalmente speriamo di tornare sull’argomento con altri artisti.

 

Di Damian Ortega è reperibile su Amazon.it il seguente Catalogo, ma in Inglese. Non sappiamo se esiste una versione italiana ma è possibile visto che l’editore è di casa nostra:

Damian Ortega – Do it yourself – Ed Skira-Rizzoli.

Sottolineiamo però che in questo catalogo ci sono opere di vario genere, non tutte sulla linea di quelle discusse qui.