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Come descrive i Farisei il Vangelo?

Osserviamo e riflettiamo:

“Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. 2Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?” (Luca 6, 1-2). “Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. 7Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo” (Luca 6,6-7). “Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?” (Marco 2,16).  “In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!” (Matteo 15,1-2).

Questi sono solo quattro dei numerosi esempi che mettono a fuoco una delle caratteristiche fondamentali dei Farisei: il giudizio. È il comportamento degli alfieri del passato, di coloro cioè, che proclamandosi dottori della legge, rappresentano la scienza del tempo sull’antico testamento. Infatti coloro che al tempo di Gesù studiavano la Bibbia, cercavano di trarne una direttiva nel comportamento. Si dovevano fare certe cose e non si dovevano farne altre. Ogni regola di comportamento si chiamava in ebraico “Halakah”, e ve ne erano 613, le Halakot (plurale di Halakah”). Dunque ci sono delle regole, che vanno rispettate e se uno non le rispetta va incontro al giudizio. Tutto ciò potrebbe avere alcuni aspetti interessanti. Dover seguire molte regole nella vita quotidiana, potrebbe avere il pregio di dirigere sovente l’attenzione a Dio. Ma in che modo? Le 613 Halakot spostavano l’esercizio della fede, dal rapporto con un Dio vivo ad una catena di concetti, di ragionamenti. Ad una dottrina. Cioè ad un Dio morto. Oggi potremmo dire che trasformavano un dialogo tra figlio e Padre, in una ideologia. È connaturata profondamente nell’indottrinamento, la trasformazione di una “Persona Divina”, in un ideale per cui magari morire, così come tanti si sono fatti fucilare gridando “viva il socialismo”. Chi rispetta le regole è “dei nostri” chi non le rispetta no.  Chi rispetta le regole si salva, chi non le rispetta no. Ma non è fantastico? Possiamo finalmente sapere chi si salva e chi no. Finalmente anche a noi è dato il diritto di giudicare! È facile! Basta controllare il rispetto delle regole! Confessiamolo sinceramente: tutti noi non vediamo l’ora di poter giudicare. E con le regole è facile. Sì, perché nella vita prendiamo tante botte. Ci sentiamo umiliati in tante circostanze. Quando giudichiamo è una festa. Sia pure nell’intimo del nostro pensiero o in una conversazione privata, finalmente siamo noi che le suoniamo agli altri. Che soddisfazione! Finalmente su un bel piedistallo per esaminare gli altri. Non è più il capo ufficio o il capo reparto che ci esamina. Siamo noi. Su un bel piedistallo esaminiamo gli altri, regole alla mano. E lo facciamo senza nemmeno rendercene conto. Ci viene naturale.

 

Dalle stelle alle stalle

Ma questa magnifica sensazione, alimentata dal nostro orgoglio, di poter finalmente giudicare gli altri, risulta alla lunga un inganno. La cosa più dolorosa consiste nel diventare facilmente manipolabili. Se qualcuno vuole disfarsi di un concorrente o semplicemente vuole fare uno sgarbo ad una persona antipatica, non avrà che dir male di lui o lei. E per noi, è un invito a nozze. Potremo giudicare. Condivideremo il giudizio ed in questo modo, senza rendercene conto, faremo la volontà di un’altra persona. Saremo manipolati. Questo meccanismo è così facile e così evidente, che viene sistematicamente usato in politica. La storia d’Italia è punteggiata da episodi in cui il politico scomodo viene liquidato da scandali spesso fondati sul nulla, o su poca cosa. Tanto la gente ci crede lo stesso. Cosa c’è infatti di più divertente che condannare come corrotto un politico? È una tecnica così facile e così efficace, che viene sistematicamente usata in ogni “cambio di regime”. Basta inventare un fascicolo da consegnare alla magistratura ed il gioco è fatto. La condanna ce la servono già pronta e dettagliata giornali e TV. A noi basta essere d’accordo. E non ci par vero di esserlo. Manipolati. Questo il termine giusto. Alla mercè di interessi altrui, spesso contrari ai nostri. C’è addirittura una scienza che si chiama “Ingegneria sociale”, che insegna come fare per sfruttare al meglio il nostro spasmodico e ridicolo desiderio di metterci su un piedistallo. E questo perché? Perché adoriamo giudicare.

 

Il Dio vivo diventa morto

Ma non basta. Alla fine è la cosa più importante che abbiamo che viene danneggiata: la nostra fede. Lo slittamento dal rapporto con un Dio vivo ad una dottrina, modifica la nostra attitudine a vivere la fede come un rapporto. Il primo sintomo sta nella difficoltà e nel disinteresse verso la preghiera. “Anche il lavoro è preghiera”, “Faccio del bene e questo è preghiera”, “E’ una cosa per i monaci”, “Non ho tempo”, etc. Mille sono le razionalizzazioni con cui giustifichiamo la nostra poca voglia di pregare. E quando crediamo di riuscirci ripetiamo, recitiamo delle formule, e non ci accorgiamo che non ci mettiamo il cuore. Meglio sarebbe parlare a Dio con le nostre parole, così come ci vengono spontanee. Ma non ci riesce. Dio è lontano.

 

Il monito di Gesù

“Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Luca 6,37-38). Ecco come risponde Gesù. Certo, lo sapevamo già, ma facevamo finta di non saperlo.  Sì, perché quando cadiamo nel tranello che abbiamo appena descritto, la punizione scatta subito. Non è necessario attendere il giorno del giudizio. La trasformazione della Divina Presenza da Dio vivo a Dio morto è esattamente la misura con cui misuriamo. È esattamente il giudizio per noi che giudichiamo. La condanna per noi che condanniamo. Dio cioè si allontana. Diventa, come abbiamo già detto, un’idea. Una convinzione. L’oggetto principale di una dottrina.  Dottrina formata da quella catena di “santi” concetti che ci siamo fabbricati. La Sua Presenza sparisce e non ci riesce più di pregare, di parlare con Lui.

Quale è la cura? Quella descritta da Clemente Alessandrino nel primo capitolo del suo “Pedagogo”, un libro scritto tra il secondo ed il terzo secolo. Che insegna a chi è già battezzato quale stile di vita tenere. Prima di tutto tornare bambini, come raccomanda il Vangelo.  Regredire. Trovare o ritrovare un rapporto filiale con Dio Padre, a cui confidare e chiedere tutto. Ritrovare spontaneità ed una certa ingenuità, e per ottenere tutto ciò osservare sé stessi piuttosto che gli altri. Imparare a conoscersi. Avere la forza di guardare in faccia lo scheletro che teniamo nel nostro armadio più segreto. Quello che anche noi conosciamo bene ma che facciamo finta di non conoscere. Per poter salire sull’amato piedistallo. Conoscersi. Conoscersi a fondo. Questa è la radice dell’umiltà.  Questa cura ce la indica Gesù nello stesso capitolo 6 di Luca. Sentiamo:

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Luca 6, 41-42).

Osservarsi. Conoscersi. Guardare e soprattutto accettare la trave che è nel nostro occhio. Non è un ripiegarsi su sé stessi. Non è un rivangare il passato. È aprirsi concretamente alla grazia dell’umiltà. E finalmente alla grazia della Divina Presenza.

 

Conclusioni

Astenersi dal giudicare gli altri ed imparare a vedere il nostro prossimo come migliore di noi. Anche se non credente. Anche se fuori dalla chiesa. Ed imparare a conoscersi per ritrovare la grazia dell’umiltà. Questo il segreto per aprirsi alla Divina Presenza.

 

Per approfondimenti:

GUARIGIONE INTERIORE E SUPERAMENTO DELLE PASSIONI – Prima parte

https://adoratori.com/guarigione-interiore-e-superamento-delle-passioni-prima-parte/