Home English EN French FR German DE Greek EL Italian IT Portuguese PT Romanian RO Serbian SR Spanish ES

Cosa c’è da fare?

È un fenomeno comune. Si scopre o si riscopre il Signore, ci si sente ingaggiati in una nuova fase della vita, ci sentiamo desiderosi di imparare ad amare Dio, e ci domandiamo: sì certo, la liturgia, i sacramenti, i comandamenti, va bene, ma poi?

Il laico fervoroso, che desidera cambiare stile di vita, si trova a volte spiazzato. Poiché la domanda riguarda il proprio stile di vita, in modo assolutamente naturale ed ovvio, ci si rivolge alla vita dei santi ed alla spiritualità monastica. Testi, commenti alla scrittura, “pensieri”, pellegrinaggi, esperienze più o meno brevi in monasteri, eremi, case di preghiera, ritiri, gruppi di preghiera, movimenti laici, condivisioni. In un primo tempo, ci sembra che l’offerta sia anche abbondante. Ci pare di avere solo l’imbarazzo della scelta. Molti si offrono di insegnare. Altri parlano e riescono a farlo bene, attirando un certo pubblico. Alcuni scrivono e vendono libri, che il giovane cercatore di Dio compra sperando di trovare un “nutrimento”.  Si conoscono amici che fanno lo stesso percorso, ci si confronta, si fanno cose insieme, si fa del volontariato. Tutto questo sembra davvero bello. Ricco. È qualcosa che comunica gioia. Ci incoraggia a vivere. Non vorremmo cambiarlo con niente. Abbiamo scoperto. Abbiamo trovato. Passano gli anni. Qualche delusione. Qualche discussione. Ma si sa, la Chiesa è fatta di uomini, e gli uomini sono deboli. Allora andiamo avanti. Andiamo avanti, sì. Andiamo avanti ancora. Eppure, nei più desiderosi di Dio, piano piano si fa strada un briciolo di insoddisfazione. Si cerca di non vederlo. Certo l’inizio è entusiasmante, ma poi arrivano le prove, ci diciamo. Riflettiamo sulla necessità della purificazione, del dolore, della tentazione, del deserto. Ma qualcosa di irreversibile è successo. Pensiamo sia una maturazione….ma…chissà se lo è davvero. Ricordiamo i giorni felici in cui correvamo gioiosi incontro al Signore. Ora è diverso. Ma davvero siamo diventati più maturi?

 

Prigionieri nel mondo dell’immaginazione

Siamo ad un bivio nella nostra vita spirituale. C’è allora chi si iscrive a teologia, chi si fa diacono, chi rinforza il proprio volontariato. Ma in realtà, ogni passo avanti sembra solo illusorio. E non abbiamo il coraggio di dircelo. Anzi, scoviamo passi nella Scrittura che narrano situazioni simili alla nostra, e ci consoliamo. Si può continuare così per anni, senza renderci conto che siamo prigionieri. Prigionieri nel mondo dell’immaginazione.

Quando evochiamo la fede, un intero apparato concettuale, fatto di temi teologici, di frasi della scrittura, di episodi della vita dei santi, di colloqui avuti con preti o monaci “bravi”, viene in nostro soccorso. Fatti ma anche sentimenti. Eppure manca qualcosa e non ce ne accorgiamo. Crediamo di essere a posto. Facciamo tutto, no? Liturgia eucaristica, comunione, confessione, ascolto di predicatori, condivisioni, volontariato, gruppi di preghiera. C’è tutto. Ma non ci accorgiamo che è proprio questo “tutto” che ci tiene prigionieri. Una fede, certo, una fede, ma supportata, meglio dire “puntellata”, da immagini mentali. Cosa manca? Manca il cuore. Manca il cuore nella sua parte più profonda e vitale. Nella sua porzione più spirituale. Restano le “atmosfere”, che ci illudiamo nascano dalla parte più nobile del cuore, e che scambiamo per sentimenti profondi. Si può rimanere così tutta la vita. Che dolore!

 

La trasformazione dell’immaginazione nel XX secolo

Per sfuggire alla prigionia, per prima cosa è necessario conoscere la nostra cella. Cosa vuol dire mondo dell’immaginazione? Di cosa stiamo parlando?

Per comprendere davvero bisogna fare un passo indietro, e guardare alle modificazioni che ha subito la nostra società. È successo infatti qualcosa che ha cambiato radicalmente la vita dell’uomo: si è fortemente sviluppata la tecnologia. Grazie a questo passo avanti nella conoscenza della natura, oggi l’uomo dispone di mezzi di comunicazione prima impensabili. Radio, TV, computer, smartphone, cinema, riviste, giornali, libri economici, fumetti, videogiochi, etc. L’elenco non è finito. Uno dei cambiamenti radicali che tutto ciò ha apportato, è costituito dall’enorme aumento di immagini che ci bersagliano. Spesso anche libri e radio comunicano immagini, attraverso la descrizione e l’invenzione di storie.  “E con ciò?” si potrebbe dire. Per rispondere è bene considerare che le immagini che ci vengono continuamente fornite hanno generalmente uno scopo. La pubblicità deve vendere, i film devono guadagnare spettatori per la pubblicità oppure, quando vengono proiettati nelle sale apposite, devono produrre danaro. I libri, i fumetti, i videogiochi, devono vendere. Alcuni video devono poi informare, spesso in modo interessato e propagandistico. Come raggiungere questi scopi? Semplice. Procurando un piacere. Usando le immagini per dare piacere. Non un piacere fisico naturalmente, ma mentale. Si usano immagini e storie piacevoli, e quando sono orrifiche le si usano sapientemente per dosare perfino il piacere dell’horror. In poche parole sono successe tre cose:

  • È aumentata in generale la quantità di piacere mentale
  • Tale piacere è provocato da immagini dirette (video, fumetti e simili) o indirette (descrizioni, libri etc.)
  • L’immaginazione è stata enormemente stimolata, e con essa la produzione di idee e concetti, di qualsiasi tipo. La velocità stessa dell’ideazione immaginativa è aumentata notevolmente. La prova? Basta fare il confronto tra il ritmo dei film di 50 anni fa e quello dei film di adesso. Provare per credere. Si resterà scioccati dal rendersi conto in modo assolutamente evidente, dell’aumento esponenziale della velocità dell’immaginazione e della ideazione.

Tutto questo pone problemi di ascetica, totalmente impensabili anche solo un secolo fa. Il piacere del palato si è trasformato nel piacere ideativo-immaginativo, in aggiunta od in sostituzione della gola. Tutto ciò non poteva essere trattato nella “Scala del Paradiso” di San Giovanni Climaco o nella Filocalia. Abbiamo dunque bisogno di acquisire una nuova consapevolezza. Per raggiungerla è forse bene cominciare dallo scoprire insieme quali possano essere le conseguenze epocali di tale radicale e profondo cambiamento.

 

Uscire dal mondo dell’immaginazione

Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio.  Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime.  Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” (Giacomo 1,19-25).

San Giacomo è stato il primo vescovo in assoluto, e vescovo di Gerusalemme. Conosceva bene la comunità che gli era stata affidata ed i suoi problemi. Nella seconda parte del passo della sua lettera che abbiamo riportato ci fa una “diagnosi” della situazione e ci indica la soluzione. Soluzione del resto già delicatamente suggerita sin dai primi versetti. Vediamo.

“se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio”. Cioè vede sé stesso in una immagine. E l’immagine scorre via. Dunque fin dai primi tempi esisteva il fenomeno degli “ascoltatori” della parola. E fin dall’inizio essi vengono descritti come persone che vivevano la fede in una immagine. Non stiamo perciò esaminando un fenomeno nuovo o inventato. È attestato dalla Bibbia. Può capitare di vivere la fede nell’immaginazione, seguendo idee che passano come in uno specchio, seguendo la bella comparazione formulata da San Giacomo. Bene. Ora questa tendenza, a causa del progresso enorme avvenuto nella tecnologia della comunicazione e dell’immagine, si è fortemente accentuata. Le conseguenze sono ben illustrate da San Giacomo. Si diventa ascoltatori della parola. Possiamo aggiungere “lettori della parola”. Si preferisce il piacere mentale all’agire. E questo molto, molto di più di 2000 anni fa, ovviamente. Ma oggi possiamo aggiungere ancora qualcosa. Nell’immaginazione possiamo fare dei santi un mito, per cui è tutto giusto quello che dicono e fanno. E ci dimentichiamo che il grande e giustamente celebrato San Gregorio di Nazianzo, tanto per fare un esempio, ha litigato per molti anni con San Basilio, disobbedendogli.  Si rifiutò infatti di recarsi come vescovo nel villaggio a cui San Basilio, come metropolita, lo aveva destinato.  Si vedono nei santi gli eventi miracolosi e straordinari, ma non si guarda al nocciolo, che consiste nelle loro virtù. Esageriamo facendone un mito, i pregi della vita monastica, proiettando sui poveri monaci ogni nostro desiderio di santità, e non siamo capaci di accoglierli come uomini, deboli come noi ma semplicemente con una diversa vocazione. E spesso deleghiamo a loro nella nostra immaginazione quella vita cristiana che non abbiamo voglia di perseguire nei fatti. Ma la conseguenza più drastica e grave consiste nella trasformazione della fede in un sistema di idee, in un puro e semplice ideale. Un po’ come l’ideale di patria, di socialismo, di giustizia sociale etc. Un grande e magnifico ideale d’amore con un leader: Gesù. Il perché è semplice da vedere. Il piacere mentale funziona come una calamita: attira a sé ogni cosa, trasformandola in ciò che lo genera e lo perpetua, cioè in idee ed immagini.

Quale soluzione allora? Pensiamo prima in positivo. Del resto, la soluzione ce la mostra lo stesso San Giacomo: “Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira”. San Giacomo ci invita a passare dalla fiction al rapporto, dalle idee alla persona. Egli esortava a passare dalla immaginazione alla realtà, a vivere la fede come rapporto con Dio e con gli uomini. San Giacomo ci consiglia di essere lenti all’ira e quindi poco inclini alle solite critiche degli altri, e ci invita invece alla comprensione, all’ascolto, al perdono, alla longanimità. E così dovrebbe essere il nostro rapporto con Dio. Alimentato da una preghiera, magari breve, ma quotidiana. Meglio se spontanea e semplice. Meglio se arricchita dalle nostre specifiche richieste e dai nostri personali ringraziamenti.

Se questa è la parte costruttiva, positiva, del nostro cammino di liberazione dal giogo dell’immaginazione, resta da individuare quella che è la parte negativa. La vera e propria ascesi, che sarà facilitata dall’aver prima provvisto a mettere in atto la parte più costruttiva.  Stiamo parlando di una generale regolamentazione, riduzione e moderazione, dell’uso dei media nella nostra vita. Accettiamo una buona volta il silenzio ed evitiamo di tenere accesa la TV per ore, per….compagnia. Moderiamone l’uso. Non si tratta di eliminare drasticamente tutti i mezzi di comunicazione. Si tratta di regolamentarne la presenza. Non è difficile, basta un po’ di buona volontà.

 

Conclusioni

Si tratta di iniziare la nostra liberazione dalla prigionia dell’immaginario. Ciò che San Giacomo ci consiglia consiste nel primo passo. Data la potenza delle sbarre della cella in cui siamo rinchiusi, si tratta solo dell’inizio e molto vi è da fare. Ma bisogna pur incominciare. Che la nostra fede diventi rapporto, come ci insegna la Bibbia. Di più, alimentare la nostra vita con un dialogo costante col Signore, come fanno i figli col proprio padre. Spostare la nostra attenzione dalle immagini e dai concetti all’incontro.  Ascoltare la presenza di Dio per imparare ad ascoltare gli uomini, imparare ad ascoltare gli uomini che vediamo per imparare ad ascoltare Dio che non vediamo. Vivere la divina presenza di un Dio vivo a cui parlare e chiedere con fede, con spontaneità, con parole nostre e non recitate. Con sentimento, col cuore, come bimbi.  Riscoprire il cuore, che parla poco e guarda a Gesù con innocenza. Ringraziare il Signore per i doni che ci fa. Scoprire la Sua opera negli altri, in tutti quelli con cui viviamo, in tutti quelli che incontriamo. E comprendere. Ascoltare. Scoprire, vedere, l’invisibile nel visibile.