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San Paolo e l’uomo interiore

“Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori”. (Efesini 3,14-117).

Questo passo della lettera agli Efesini è insieme bellissimo e misterioso. Cosa intende San Paolo per uomo interiore? È qualcosa di importante, perché subito dopo augura a tutti noi che il Cristo abiti nei nostri cuori. Dunque si tratta di essere rinforzati dallo Spirito. È un’opera dello Spirito Santo. Attraverso questo “lavoro” nella nostra anima, ecco che risultiamo più forti, più saldi nell’ uomo interiore. Si tratta di un’opera necessaria a far sì che il Cristo viva in noi.

Il riassunto che abbiamo fatto dovrebbe aiutarci a comprendere l’importanza di trovare e rinforzare con la Grazia il nostro uomo interiore. Non si tratta di qualcosa di secondario, di facoltativo. Perché? Perché San Paolo accosta il rafforzamento dell’uomo interiore all’abitazione del Cristo in noi. Ecco perché dobbiamo rimboccarci le maniche e cercare di andare a fondo: chi è questo uomo interiore? Come si fa a trovare?

 

Educare l’attenzione

 Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. (Luca 12,34, Matteo 6,21).

Il Signore pronuncia queste frasi, per invitarci ad accumulare tesori nel cielo piuttosto che in terra. Può questo versetto aiutarci a capire le parole misteriose di San Paolo? Forse sì. Vediamo. Il tesoro è ciò a cui noi diamo valore. Ciò che noi riteniamo importante. Dunque è qualcosa a cui sommamente prestiamo attenzione.

Se prestiamo attenzione al denaro il nostro cuore sarà lì. Se prestiamo attenzione alle cose del cielo, il nostro cuore, invece, sarà nelle cose del cielo. Il denaro è cosa che si manifesta esteriormente, perché permette l’acquisto di beni, cose oggetti e perfino persone. I soldi danno potere sulle cose materiali, visibili, sensibili.  Se la nostra attenzione è rivolta ai soldi ed al potere, ecco, appunto, che il nostro cuore abiterà tra cose materiali ed esteriori. Visibili, concrete. Case, macchine etc. Se invece la nostra attenzione è rivolta alle cose del cielo, come carità, pazienza, fede etc. ecco che il nostro cuore abiterà tra questi valori, che tuttavia sono invisibili, immateriali e quindi interiori.

Piano piano questo versetto sta “aprendo” il brano della lettera agli Efesini. Il punto fondamentale sembra essere questo:

a cosa faccio attenzione?

 Ma in che senso “prestare attenzione” a fede, carità etc. Dobbiamo forse leggere la vita dei santi? Oppure assistere a qualche liturgia? Molte cose non sono ancora chiare.

 

Scoprire cosa c’è sotto la punta dell’Iceberg

Abbiamo appena cominciato il nostro viaggio. Alcune cose cominciano a chiarirsi, ma manca ancora molto. Il passo che dovremmo fare, è quello di scoprire insieme lo spessore delle parole e delle azioni.  Infatti noi tutti viviamo l’ingenua credenza che parole ed azioni nulla altro siano che esattamente quello che di loro vediamo e udiamo. Si vedono le azioni, si ascoltano o si leggono le parole. Tutto qui.  Dunque prima di tutto bisogna renderci conto che non è così. Ogni azione ed ogni parola è qualcosa di più, di molto di più di quanto vediamo ed ascoltiamo. Cerchiamo di scoprirlo. Questo ci aiuterà a mettere il nostro tesoro nel cielo e scoprire l’uomo interiore.  Esaminiamo, per esempio, questa frase rivolta da un certo Pietro ad un certo Nicola:

“Il Presidente della repubblica Francese è calvo”. Che cosa richiede questa frase per essere capita da Nicola?

1 – Pietro è convinto di parlare a qualcuno che comprende l’Italiano. Altrimenti l’avrebbe pronunciata in un’altra lingua. Quindi

Nicola capisce l’Italiano

2 – Pietro crede che Nicola è in grado di capire i concetti che sta esponendo, altrimenti non avrebbe parlato

3 – Esiste un paese chiamato Francia

4 – Questo paese è una Nazione e non una città o un villaggio

5 – Questa Nazione non è una monarchia ma una repubblica

6 – Questa repubblica prevede un Presidente

7 – In questo momento la carica di Presidente è occupata da una persona

8 – Questa persona è un uomo e non una donna

9 – Tutti gli uomini in genere hanno i capelli

10 – Quest’uomo invece è calvo

11- Pietro dice questa frase a Nicola perché pensa che Nicola non conosca questa informazione

A questo punto, dopo aver considerato tutto ciò che diamo per scontato, dobbiamo vedere l’intenzione con cui Pietro pronuncia quella frase

12 – Pietro ritiene di poter comunicare una informazione a Nicola, convinto comunque che Nicola sappia almeno come lui che esiste una nazione chiamata Francia, governata da un presidente etc.

13 – Pietro ritiene di poter insegnare qualcosa a Nicola

14 – Pietro vuole fare un’opera buona dando una informazione a Nicola

Ma attenzione, potrebbe essere:

14 Pietro vuol far vedere a Nicola che ne sa più di lui

Oppure

14 – Pietro vuole prendere in giro Nicola, poiché sa benissimo che il Presidente della Repubblica Francese non è calvo

O ancora

14 – Pietro vuole controbattere a Nicola che aveva appena detto che il Presidente della Repubblica Francese era un capellone

Etc.  Il punto 14, cioè l’intenzione, dipende dalla situazione in cui la frase viene pronunciata, dipende da ciò che Nicola ha appena detto, se ha parlato, e dipende dal tipo di persona che è Nicola e dal tipo di persona che è Pietro.

15- infine abbiamo l’intonazione con cui la frase è pronunciata che ne può rivelare l’intenzione.

Riassumendo, sotto una semplice frase come:

“Il Presidente della repubblica Francese è calvo”,

abbiamo una grande quantità di cose che diamo per scontate, intenzioni e situazioni diverse. La frase è la punta ed il resto è il grosso dell’Iceberg, che si approfondisce molto di più di quanto si potrebbe immaginare, attraverso tre fattori:

  • Conoscenze che sia Pietro che Nicola condividono e danno per scontate, come che esista una nazione chiamata Francia, oppure conoscenze che Pietro è convinto che Nicola abbia, anche se non sa se è vero, visto che è lui che parla
  • Situazione in cui la frase viene pronunciata
  • Intenzione di Pietro che la pronuncia.

Tutto questo è valido anche per le azioni che compiamo, esattamente nello stesso modo.

 

Allora riassumiamo. Pietro ha pronunciato una frase. Essa corrisponde appunto a ciò che si può udire con gli orecchi o leggere su un computer. Bene. Essendo qualcosa che possiamo percepire con i nostri sensi diciamo che esiste nel mondo materiale: dunque esteriore.

Ma è tutto lì? No. Assolutamente no. Abbiamo visto che c’è molto di più. Lo abbiamo appena descritto in dettaglio (ma i pignoli troveranno addirittura di più). Ma ciò che abbiamo trovato si può sentire o vedere? No. Assolutamente no. Lo abbiamo capito.  Quello che si capisce è diverso da quello che si vede o si sente. In quest’ultimo caso, richiamandoci ai sensi abbiamo usato il termine sensibile, e abbiamo visto che corrisponde alla materialità, cioè alla esteriorità.

E ciò che si capisce allora come lo chiamiamo? Esso fa appello all’intelletto e non ai sensi, dunque è giusto chiamarlo intellegibile. L’intellegibile è invisibile, si capisce ma non si vede né si sente. È immateriale e quindi interiore.

Allora riassumiamo:    

possiamo ora dire che la frase pronunciata, cioè la punta dell’iceberg, appartiene al mondo esteriore, mentre tutto il corpo dell’iceberg, rappresentato da conoscenze condivise o attribuite, situazione ed intenzione, fanno parte del mondo interiore.

 Come si può vedere il mondo interiore è molto più ampio e complesso del mondo esteriore.

 

Educare l’attenzione

Ma come possiamo fare per riuscire a tenere conto di questo mondo? Imparando ad educare l’attenzione. Si tratta infatti di cominciare a spostare il nostro tesoro, cioè il nostro principale interesse, ed in una parola, la nostra attenzione, dalle frasi esteriori al mondo interiore di ciò che viene detto e fatto.

 

Dal chiedere attenzione al dare attenzione passando dal prestare attenzione

Prima di tutto dobbiamo cominciare col renderci conto, onestamente, che noi chiediamo attenzione. Molta attenzione. Molta di più di quanto ci si possa rendere conto. Per alcuni ricevere l’attenzione richiesta rappresenta un piacere mentale. L’abitudine al piacere dei sensi, sotto ogni forma, a cominciare dalla golosità, genera cambiamenti nel nostro pensiero. Tendiamo infatti a riprodurre il piacere anche nella mente, e l’attenzione degli altri rappresenta un’occasione del genere. Tenere banco in una tavolata, raccontare confidenze ad una amica o amico, raccontare barzellette, fare il burlone per rallegrare una compagnia di persone, raccontare esperienze, insegnare, cantare in pubblico, sono solo alcuni piccoli esempi della infinita varietà di comportamenti con cui chiediamo attenzione. A volte spasmodicamente. Si tratta di comportamenti innocenti, in certi casi apparentemente altruistici, allegri, aperti e cordiali…..ma….ma pur sempre sostanzialmente egoistici. Eppure siamo pronti a protestare: non è vero! Lo facciamo per gli altri! Per dare allegria, per fornire informazioni, per istruire….siamo bravissimi a prenderci in giro. C’è poi chi chiede attenzione perché chiede affetto. Alcuni di loro diventano dei campioni di volontariato, sempre presenti e sempre pronti ad aiutare gli altri. Ma davvero praticano la Carità? O chiedono attenzione, riconoscenza e affetto?

 Facciamo un esempio pratico.  Pietro passeggia per strada e trova Nicola, un povero che chiede l’elemosina. Pietro da buon cristiano gli dà 50 centesimi. Bene. È stato bravo. Così si fa, ce lo dice il Vangelo. Ora proviamo a vedere cosa c’è sotto la punta di questo iceberg.

  • Nella sua mente Pietro si abbassa, si concede. Trova questo molto generoso e dà per scontata questa conoscenza che crede condivisa da Nicola: egli è buono. È evangelico. È un buon cristiano. Dunque è anche convinto che Nicola lo ringrazierà riconoscente
  • Pietro dà del denaro a Nicola, sembra allora essere più ricco di Nicola. Dovrebbe anche avere uno stato sociale superiore a Nicola, visto che non ha mai chiesto l’elemosina.
  • Da una parte è forse presente effettivamente una certa generosità, tuttavia l’intenzione è più ampia. Pietro non se ne accorge, ma chiede anche l’attenzione di Nicola. Vuole essere considerato generoso. Vuole una conferma della sua bontà, e lo chiede a Nicola: desidera infatti un cenno di ringraziamento. Basta in fondo poco, ma vuole essere considerato generoso e ringraziato.

Non è vero? Facciamo la controprova: Nicola ricevendo i 50 centesimi protesta: “Questo soltanto? E che ci faccio?”

Nella maggior parte dei casi i vari “Pietro” se ne andranno irritati: “Ma guarda questo! Non mi piace chi non si accontenta! Non mi ha detto neppure grazie! Etc….” stendiamo un velo pietoso…

Non siamo forse fatti così? Non ci dimentichiamo forse quasi sempre, in queste circostanze ciò che il Maestro ci insegna nel Vangelo? “Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Marco 10,17-18).

 

Il primo passo verso l’interiorità sta proprio nel guardare alla vera intenzione che sta sotto le nostre azioni e sotto le nostre parole. Domandiamoci sempre: quali conoscenze condividiamo con gli altri quando diciamo o facciamo la tal cosa? Cosa diamo per scontato? Che situazione si viene a verificare? Quali sono le nostre vere intenzioni?

 

Dal bianco al grigio

Certo, tutto questo non ci deve scoraggiare dal fare opere buone. Ce lo chiede il Signore e noi ci dobbiamo almeno provare. D’accordo. Ma rendiamoci almeno conto della nostra povertà. Azioni e parole non sono mai tutte bianche o tutte nere, ma grigie. Grigio più scuro o più chiaro, ma grigie. Finché non avremo un cuore purificato è così, ma questo, naturalmente, non ci deve impedire di agire. Facciamo pure, diciamo pure, ma consapevoli che sotto la punta c’è un iceberg, sotto l’esteriorità c’è un mondo interiore da purificare.

 

Come crescere? Come trasformare positivamente la nostra attenzione?

 Prima di tutto dobbiamo curare la base di tutto: la grazia. E questa si ottiene con i sacramenti. Confessione frequente e frequente eucarestia. Infatti, noi possiamo accompagnare l’opera dello Spirito, aprirci di più alla Sua azione, ma l’opera di trasformazione è la Sua, e non la nostra. Se trascuriamo i sacramenti non si incomincia neppure a parlare. Poi passiamo alla lettura ed alla meditazione della Parola di Dio. La Bibbia, la Parola sacra, come ci insegna San Paolo, ha il potere misterioso e straordinario, di cambiarci, di trasformarci. Quindi la preghiera e l’ascèsi. Secondo San Teofane il recluso, in base al temperamento, in certe persone può prevalere (prevalere ma non esserci soltanto) l’ascèsi, in altre la preghiera. Ma nella tradizione ortodossa c’è una grande e potente medicina: la preghiera di Gesù. Forse non è la sola strada, ma intanto descriviamo questa perché semplice e ben conosciuta. Praticando la preghiera del Santo Nome con costanza ed assiduità, si sviluppa una nuova condizione, in cui scopriamo il “luogo del cuore”. La Preghiera di Gesù genera un calore del cuore, che consiste nel sentire amore per Dio e per il prossimo. Teofane il recluso, come tanti altri santi, ci consiglia di rivolgere la nostra attenzione al luogo del cuore che così si manifesta. Ecco che comincia la nostra educazione. Quando chiediamo abitualmente più attenzione del necessario, tendiamo a “guardare” troppo, con gli occhi della nostra mente, alle idee. Alle nostre idee. Ai nostri pensieri. La nostra vita mentale finisce per svolgersi un po’ troppo “nella testa”. San Teofane ci invita invece a rivolgere lo sguardo della nostra attenzione altrove, cioè sul cuore. Ecco che comincia il miracolo! Per opera della Grazia lentamente diventiamo più capaci di gestire la nostra attenzione. Non siamo più concentrati con la “testa”, ma con il cuore. Si sviluppa gradualmente “l’attenzione del cuore”. Cominciamo a chiedere meno attenzione agli altri, ed a “prestare più attenzione all’esterno”, alle cose ed alle altre persone. Ce lo racconta il “Pellegrino Russo” nei suoi racconti. Dopo aver iniziato a recitare la preghiera, il Pellegrino scopre tutto più bello. Riesce a notare nella natura cose che prima trascurava. Si notano le cose. Siamo più capaci di prestare attenzione. Scopriremo anche cose banali: un certo albero davanti a casa nostra, ci apparirà in tutta la sua maestà, un certo palazzo in centro ci apparirà decorato in un modo di cui prima non ci eravamo resi conto, etc. Poi le persone. Molti sono degli osservatori naturali, ma quello che neanche questi osservatori riescono a fare, consiste nel prestare attenzione alle virtù delle persone che ci circondano. Gli osservatori nati sono capaci di descrivere vestiti, movenze, forma del naso etc. ma non le qualità spirituali delle persone che incontrano. Queste le nota soltanto o quasi un cuore attento. Ecco come avviene il passaggio: dalle forme esterne alle intenzioni, alle conoscenze condivise, alle situazioni di chi ci sta di fronte. Stiamo passando dall’esteriorità all’interiorità, dall’uomo esteriore all’uomo interiore. Dal sensibile all’intellegibile, cioè, da ciò che si vede si ascolta o si tocca a ciò che si “capisce”. Scopriremo la pace e la pazienza miracolosa di quelle persone che ci raccontano delle sofferenze vissute, la misericordia di chi si prodiga oltre l’immaginabile per un figlio malato o per una madre inferma. La sapienza di chi ci racconta di come sia cresciuto attraverso i tanti errori giovanili. La devozione di chi ha dedicato tutta la vita per servire il Signore. Là dove prima saltava fuori pronta la critica, adesso sorge in noi la stima e l’ammirazione. È il frutto della vera attenzione, quella del cuore. Il miracolo della nostra trasformazione avviene, quando per opera della grazia la nostra attenzione scende dalla testa al cuore. Ora siamo pronti per il passaggio successivo

 

Dal chiedere attenzione al dare attenzione: questo il vero nocciolo della misericordia

Il salto di qualità si verifica molto lentamente ed inavvertitamente. Molto dipenderà dalla nostra vita di fede e dalla costanza nella preghiera. Il segno del cambiamento consisterà in questo: ci accorgeremo di parlare di meno e di saper ascoltare di più. In altre persone succede qualcosa di diverso: chi tende per carattere a parlare poco, scoprirà di essere meno freddo e meno osservatore, ma si renderà conto di essere più capace di condividere le gioie ed i dolori degli altri. Scopriremo che dare attenzione con il cuore significa dare noi stessi. Questo dono dello Spirito è proprio ciò che San Paolo descrive quando prega perché Cristo viva in noi: dare attenzione è dare noi stessi come Cristo ha dato sé stesso. Ma c’è di più. I Padri della Chiesa ci insegnano che il simile conosce il simile. Dunque, più saremo portati dalla Grazia a dare noi stessi, come Cristo Gesù, e più saremo in grado di riconoscere i segni della presenza del Signore negli altri. Più saremo capaci di ascoltare e dare attenzione con il cuore, e più profonda diverrà la conoscenza delle virtù che scopriremo negli altri: la pazienza, la fede, la misericordia, la prudenza, la sapienza, etc. Queste sono infatti le virtù di Cristo. Dio si è incarnato per mostrarcele in Cristo Gesù. Scoprire queste Virtù, questi attributi Divini negli altri, è il vero “vedere Cristo nel prossimo”. Non si tratta dunque di proiettare sugli altri le nostre fantasie religiose intorno a Gesù, come pratica certa discutibile devozione. Piuttosto si tratta di scoprire negli altri le virtù che il Cristo ha mostrato nei racconti evangelici. Questa capacità di scoprire la bellezza spirituale degli altri scaturisce dal saper valutare con l’attenzione del cuore, le intenzioni che stanno alla base delle azioni delle persone, dal saper cogliere le situazioni in cui sono immersi i loro racconti, e cosa queste persone danno per scontato senza rendersene conto. In una parola si tratta di incontrare in noi stessi e negli altri, appunto, l’uomo interiore.

 

Conclusioni

Rivediamo dunque, al termine del nostro percorso le parole di San Paolo: “…perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori”. Le parole della Bibbia non potranno mai essere interpretate del tutto. Queste in particolare conservano molto del loro mistero, tuttavia con questa modesta meditazione, forse si sono aperti degli spiragli utili al nostro progresso spirituale.