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La necessità di una trasformazione

 Il Natale viene annunciato dall’Angelo Gabriele a Maria con queste parole:

Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,31-33).

È il mistero dell’incarnazione. Forse il più grande mistero del cristianesimo. Il Mistero che ci rivela quale potrà essere la nostra Speranza, ma anche il nostro nuovo presente. Ci aiuta ad approfondirlo questo bellissimo passo della seconda lettera ai Corinzi di San Paolo:

Per questo non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne” (2 Corinzi 4, 16-18). Dio ci chiede di seguire L’Apostolo in un grande cambiamento, quello che San Paolo sintetizza così: “…noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili”…. La trasformazione che ci chiede non è cosa facile, ma racchiude il senso profondo dell’Incarnazione.

 

Il primo passo: dalla storia e dall’immaginazione all’intenzione

Quando si è giovani è inevitabile vivere di progetti. Dovremo pure trovare una nostra “sistemazione”. Questo accentua la fantasia e la facoltà di immaginare. Vogliamo fare gli infermieri e ci si vede in una corsia di un ospedale, oppure la maestra e ci immaginiamo in una classe con dei bambini. È normale. È ovvio guardare a queste immagini, ai nostri sogni, per cambiare la nostra vita e quella degli altri. L’attenzione del nostro cuore si volge al dipanarsi degli eventi, scanditi dai cambiamenti che avvengono nella nostra vita. In tutto ciò vi è uno svolgersi del tempo che potremmo descrivere come ogni storia: c’è un inizio, poi uno svolgimento, e poi si realizza o si attende una fine. Sono “i fatti della vita”. Sono gli avvenimenti materiali, concreti. Sono le cose che San Paolo definisce come “esteriori o visibili”, nel passo della seconda lettera ai Corinzi sopra citato. È il mondo che interessa ai più, quello che attira tutta la sua importanza nei valori terreni, come il guadagno, la stima degli altri, la sicurezza del futuro. In un certo senso lo stesso avviene con la fede. Chi è più giovane nella fede, si sente più portato verso l’immaginario. Eremiti che vivono in una grotta, monaci che spostano sassi pesanti tonnellate o che smettono di mangiare, per nutrirsi solo di eucarestia. Asceti che vivono su una colonna, oppure monaci che pronunciano profezie, o che hanno delle premonizioni che si rivelano esatte. E poi sentenze di santi e frasi memorabili dei padri del deserto. Tutte cose vere e utili.  Nulla di sbagliato in ciò. Assolutamente. Il principiante è giusto che viva in questa dimensione, in realtà spirituale solo in apparenza.  Nella parabola del figliol prodigo (Luca 15) il Padre preso da compassione corse incontro al figlio che tornava, quando questo ancora non era arrivato a casa.  Il Signore cioè al momento della nostra conversione si china su di noi, ci viene incontro e ci permette di vivere la fede là dove siamo. Anche nel territorio viscido dell’immaginazione. Poi però, un bel giorno il Signore ci chiede di crescere. Ci invita ad uscire dal mondo visibile e sensibile per approdare a quello invisibile e spirituale. Come? Tra le varie strade, quella della natività del Messia è tra le più importanti ed efficaci. Il Natale infatti, ci pone di fronte ad una novità dirompente. Nasce Gesù. Dio l’infinito, si incarna nel finito. Dio, il Signore stesso addirittura si fa uomo e lo Spirito Santo feconda una donna, unendo miracolosamente Spirito e Materia. E avviene l’impossibile che sconvolge la sapienza dei sapienti e dei filosofi. Dio, Dio stesso, in un neonato. Non riusciamo più a meravigliarci forse per l’abitudine. Ma fermiamoci un attimo. Pensiamoci. Dio tutto intero, L’infinito, l’onnipotente in una creatura piccola, fragile, dipendente in tutto da una donna che lo tiene in braccio e l’accudisce. Ma non è incredibile? Ma come è possibile? Eppure questa nascita è una profezia. Infatti con la morte e resurrezione di Gesù, noi abbiamo ottenuto il dono dello Spirito Santo, che discendendo su di noi con il battesimo e con i sacramenti, rinnova miracolosamente la nascita del bambinello divino. Il miracolo che si rinnova è l’unione della carne con lo Spirito, dell’incorporeo con il corporeo, dell’invisibile con il visibile. San Paolo ci invita a guardare a questo mistero, fissando gli occhi del nostro cuore, la nostra attenzione spirituale, sul trasparire dello spirituale dal materiale. Sull’intenzione con cui gli uomini compiono gli atti ordinari della vita quotidiana. Vediamo un esempio concreto.

 

Scoprire la santità quotidiana

Chi scrive ha conosciuto un’anziana signora, a cui capitò di dover assistere il marito affetto da morbo di Alzehimer. Si tratta di una malattia che riduce progressivamente le facoltà intellettuali, rendendo la persona incapace di avere la più piccola autonomia, come, per esempio, mangiare ed andare in bagno. Il malato purtroppo perde ben presto ogni consapevolezza, ed in certe occasioni può ribellarsi, rendendo molto difficile ogni aiuto. Ebbene, questa signora, nonostante l’età, non mise il marito in un istituto, né si fece aiutare da qualche badante. Piuttosto si occupò personalmente del marito per dieci anni, fino alla sua morte. Tutti i giorni. Ogni giorno con la massima cura ed amore. Talvolta presentandosi alle figlie con un occhio nero, causato dalla ribellione inconsulta del marito alla più elementare assistenza. Tutto, naturalmente, senza un lamento, ma piuttosto con comprensione tenera ed amorosa. E il bello sta nel fatto che nella sua motivazione non vi era l’ombra di un’ideologia, per quanto positiva. Non lo faceva “per essere buona”. Questa anziana signora accudiva con amore il marito semplicemente perché col marito “si fa così”. Le veniva spontaneo, con la semplicità dell’amore. Ed ogni giorno era un giorno a sé. Non c’era un futuro, né un prima o un dopo. Non c’era un racconto. La malattia infatti, era inguaribile e portava invariabilmente alla morte. Dunque non c’era una speranza di una guarigione futura, da festeggiare magari con un bel viaggio.  No. Non c’era il tempo. Tutto avveniva ogni giorno. In questa sospensione del tempo, la vita sensibile e materiale si appannava alla vista, e sorgeva più evidente il valore eterno della pazienza, dell’amore, della cura che ella aveva per il coniuge malato. Ogni giorno questa signora, infilava una perla nella collana che impreziosiva il suo vestito spirituale. Ogni giorno una perla con riflessi sempre diversi. E cioè non solo amore, ma anche pazienza, tenerezza, longanimità, misericordia ed attenzione ad ogni particolare. A raccontarla si trasalisce. Pensiamo per esempio all’obbedienza continua che è stata necessaria per l’assistenza. Grazie all’aiuto delle figlie c’era giusto qualche ora di libertà ogni tanto, per riposarsi un po’. È stata un’impresa spirituale ed umana meravigliosa! È a queste cose che San Paolo si riferisce quando ci chiede di fissare lo sguardo sull’invisibile. E di queste storie o di simili è pieno il mondo. Non solo. Ma non è neanche necessario vivere condizioni così forti. Anche occuparsi della famiglia, accompagnare a scuola i bambini, sopportare con pazienza un capo molesto nel lavoro, vendere un oggetto con un prezzo onesto, e tante altre cose del genere, sono definibili con San Paolo, cose che “ci procurano una quantità smisurata ed eterna di gloria”. Ma in cosa consiste questa gloria di cui parla San Paolo? Ecco tornare il mistero della nascita di Gesù come mistero dell’Incarnazione. Dicevano infatti i Padri:

Dio si è fatto uomo

Perché l’uomo divenga Dio.

 

La parola Dio qui traduce il termine greco “Theosis” un po’ malamente. Non si tratta di diventare infiniti ed onnipotenti come Dio. No. Piuttosto grazie al dono dello Spirito Santo, noi veniamo progressivamente trasformati. Ci incamminiamo sul sentiero della Deificazione vivendo il senso profondo del Natale.

 

Il mistero dell’amore

Soprattutto grande valore riveste l’amore. L’amore è un mistero. E non si creda che gli “amori particolari” siano meno validi di quelli rivolti “a tutti”. L’Amore con la A maiuscola è uno solo e non ce ne sono molti in base alla categoria: serie A, serie B etc. Persino Plotino, un filosofo pagano, vissuto nel III° secolo dopo Cristo, ammetteva che delle belle fattezze non potevano giustificare l’amore. Fra l’altro la bellezza sfiorisce con l’età, ma scopriamo che dove c’è vero amore, questo da vecchi addirittura diviene più intenso e profondo. Neanche la consuetudine può essere una spiegazione. Se non c’è l’amore la consuetudine prolungata genera noia. No. Plotino, dopo aver tentato in ogni modo, con la ragione ammetteva sconsolato: l’Amore è un mistero, esso dipende dalla grazia. Forse noi intendiamo la Grazia in un modo un po’ diverso da Plotino, ma sicuramente condividiamo con lui che si tratta di un mistero e di un dono di Dio. Il più importante frutto dello Spirito. Piccole tribolazioni dunque e tanta gloria. Piccole cose fatte per amore e con amore, ma dal valore eterno. Iniziare la giornata offrendola a Dio con una preghiera. Prevedere il suo svolgersi dedicandola a Lui. Operare con spirito di servizio in famiglia e sul lavoro. Piccole tribolazioni eppure addirittura una gloria smisurata. Questo il territorio dell’uomo interiore, questo il mondo invisibile, o come dicono i dotti, “intellegibile”. Questa la collana di perle preziose che possiamo fabbricare su ispirazione dello Spirito vivendo ogni giorno come una perla a sé, come un tesoro a sé stante, come una singola perla da aggiungere alle altre. Ogni perla, ogni riflesso di quella perla, è Gesù che nasce. È il ripetersi della profezia dell’Incarnazione. È l’unione dello Spirito con la carne. È l’invisibile che anima e dà vita al visibile.

 

Conclusioni

Abbiamo salutato col Natale il Mistero dell’Incarnazione. Non come lontana leggenda, ma come miracolo che si ripete ogni giorno. Un miracolo che unisce le Virtù divine, eterne ed invisibili, con la nostra umile vita quotidiana. Un miracolo che ci porta fuori da una vita immaginata, per aiutarci a calarci nel presente.  Una vita semplice ed umile, efficacemente rappresentata simbolicamente, da quel Bambinello fragile e debole ma Divino, in braccio a Maria la Madre di Dio.