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Il pasto in comune nel vicino oriente antico

“Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. 11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» “(Matteo 9,10-12). Questo passo del Vangelo può essere interpretato in modo letterale, semplicemente seguendo il testo. Gesù ripete che è venuto per i peccatori. Un messaggio chiaro, già ripetuto in altre parti del nuovo testamento. C’è però qualcosa che non torna. Perché i Farisei sono scandalizzati proprio dal momento del pasto? Gesù stava con i peccatori in molte altre circostanze. La circostanza del pasto in comune, tuttavia, ha fatto innervosire i Farisei. Questo particolare ci apre ad un mondo inaspettato e molto ricco. Tanto ricco da essere una autentica finestra sulla nostra vita spirituale dell’oggi. Vediamo.

Tutti sono d’accordo sul fatto che il pasto in comune avesse, nel vicino oriente antico, una profonda valenza religiosa. Invitare una persona a pranzo era un onore. Nella Palestina dei tempi di Gesù, era un’offerta di pace, di perdono, di fraternità e di fiducia. Condividere la mensa significava condividere la vita.  Questi erano valori condivisi in tutto il Mediterraneo e rappresentavano uno degli elementi più importanti dell’ospitalità.

 

Pasto ed ospitalità

Famosissimo in tutta l’antichità e nei secoli successivi il capitolo del poema “Le Metamorfosi” di Ovidio (Metamorfosi 8,613-70), in cui una coppia di anziani, Filemone e Bauci, ospitano e danno da mangiare ad alcuni pellegrini, che si riveleranno essere poi degli Dei.  La cultura giudaica non è da meno. In Genesi 18,1-15, Abramo corre incontro al Signore che gli appare sotto la forma di tre personaggi. Naturalmente ospita il divino terzetto, con un pranzo a base di focaccia, latte e carne di vitello. La sacralità dell’ospitalità, viene sancita dal pasto. Questo passo della Bibbia ebbe una risonanza grandissima presso il popolo di Israele, forgiandone il sentimento e le tradizioni intorno al pasto comune, come documentato dagli ebrei Filone di Alessandria (De Abrahamo, 107-14), e Giuseppe Flavio, (Antichità, 1-196). Già nei primi tempi del Cristianesimo era presente l’abitudine di salutare il congiunto defunto, con un pasto. Lo testimoniano i dipinti presenti nelle Catacombe romane (Santa Domitilla, San Sebastiano etc.) Ma questa liturgia funebre, dal profondo significato spirituale non è estinta. Essa prosegue ancora oggi nella Chiesa Ortodossa.

 

Particolarità del pasto nel giudaismo

Nel Giudaismo però, c’era forse qualcosa di più. Condividere la mensa significava amicizia al cospetto di Dio. Infatti mangiare insieme un pane spezzato, rivela che tutti partecipano della benedizione che il capofamiglia ha pronunciato sul pane spezzato. Ecco allora che condividere il cibo quotidiano benedetto al cospetto di Dio, può far divenire le relazioni umane, espressione del più fondamentale rapporto uomo-Dio. I rabbini dell’epoca poi, avevano disposto una grande quantità di prescrizioni tutte concentrate sulla tavola. Secondo alcuni addirittura 2 terzi di tutte le regole da osservare individualmente. Esse riguardavano i prodotti alimentari, la purità a pranzo, (per esempio lavarsi le mani) e quella delle stoviglie e degli utensili adoperati. Erano norme che evocavano la purità rituale del tempio. Infatti per i Farisei, era importantissimo considerare la vita quotidiana ed in special modo il pasto, come offerta sacerdotale, in armonia con la liturgia del tempio. Mangiare senza lavarsi le mani ed insieme a persone ritualmente impure, come pubblicani e prostitute destava dunque enorme scandalo. Tutto questo ci permette di entrare un po’ meglio dentro il brano evangelico citato all’inizio dell’articolo.

 

Il pasto comune e la predicazione di Gesù: tutto viene rovesciato!

Non a caso il Signore risponde: “sono i malati che hanno bisogno del medico e non i sani”. Ma non è tutto. Vediamo ancora il Vangelo: In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!». Gesù rispose rimproverandoli e citando il profeta Isaia concluse: “…perché insegnano come dottrina di Dio
comandamenti che son fatti da uomini….Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!» (Matteo 15,1-11). Non solo, ma altro viene aggiunto in Luca 14,12-21, dove Gesù suggerisce di invitare ai propri banchetti i poveri e soprattutto gli storpi, cioè coloro che le leggi di purità sacerdotale, escludevano dalla possibilità di offrire a Dio il proprio pane, essendo imperfetti nel corpo. Dunque tutto rovesciato! Ma quale dottrina vuole insegnare Gesù? Dove vuole arrivare? I Farisei volevano vivere il pasto comune in armonia con l’offerta al tempio, ripetendo nella vita quotidiana la purità sacerdotale. Gesù non propone più il tempio, ma sé stesso, nuovo tempio (Giovanni 2,19) nell’ultima cena. Seguiamo il suo percorso. Si può dire che buona parte della predicazione di Gesù, si svolge a tavola. I passi che vi si riferiscono sono numerosi e non è il caso di ricordarli tutti per non imbottire l’articolo di numeri. Mentre Giovanni Battista era un asceta che mangiava locuste nel deserto, Gesù era invece spesso a tavola tanto che i Farisei vociferavano “…ecco un mangione ed un beone” (Matteo 11,19).  Sotto questo aspetto, la rinnovata comunione di mensa avvenuta dopo la resurrezione, acquista un senso particolare (Luca 24,30). L’ Evangelista Luca mette anche in rilievo un altro spetto interessante: Gesù invia i discepoli a predicare, invitandoli ad approfittare proprio della ospitalità e del pasto comune (Luca 10,7-8) per diffondere il Vangelo. Ad ogni modo un po’ tutta la tradizione Evangelica conferma questa tendenza, tanto che molti ritengono che gran parte dei detti poi raccolti e scritti, siano stati pronunciati “come conversazione familiare a tavola”.

Ma c’è di più, il banchetto nuziale è di fatto uno dei simboli più importanti nella predicazione del Signore. Esso si riferisce all’accoglienza finale di Dio, presentata come pranzo di nozze in Marco2,19 e paralleli, come Luca 14,16-24.  Ancora più interessante e particolare l’uso del simbolo della cena nell’invito che appare in Apocalisse 3, 20-21:

“Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono,…” .

In questa prospettiva comprendiamo meglio la parabola del figliol prodigo, in cui il pasto suggella l’accettazione del figlio pentito da parte del padre (Luca 15,23-24.32).

 

L’ultima cena

Nella cena prima della Pasqua si assiste ad un salto, ad un approfondimento straordinario. Gesù non offre più a tavola la sua Sapienza, ma il suo corpo ed il suo sangue. E lo fa “spezzando il pane”, gesto assolutamente fondamentale nella Palestina di allora, dove la benedizione seguita dallo spezzare del pane metteva tutti i commensali di fronte a Dio. L’importanza del gesto è ricordata anche nell’episodio dei discepoli di Emmaus, quando Gesù risorto viene riconosciuto appunto, allo spezzare del pane: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Luca 24,30-31). L’ultima cena ci chiarisce anche il passo dell’apocalisse di Giovanni sopra riportato: ”io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Dunque, quando assistiamo ad una Liturgia eucaristica, siamo a tavola con il Signore. Banchetto che è solo un anticipo di quello futuro.

 

Il pasto comune nella nostra vita

Dopo tutto questo percorso….è l’ora di andare a mangiare. A casa nostra, sulla nostra tavola. Ma che ne è di quel simbolo così importante? La vita moderna tende oggi a spingere tutti a fare in fretta e essere efficienti. Mense imbandite in fretta e furia, senza cura e senza amore. Un figlio a lezione, il padre al lavoro. Niente cucina, dobbiamo correre, ci affidiamo al precotto. Non un gesto spirituale, niente preghiera prima di iniziare, come facevano i nostri nonni. La sacralità del pasto era ben nota e praticata fino a pochi decenni fa, sia in Italia che in Grecia come in tanti altri paesi. Non era una semplice “usanza”. Era far vivere il simbolo nella quotidianità, era vivere la liturgia nella vita. E poi la TV. Certo, le notizie del telegiornale sono la odierna….benedizione. Con la modernità abbiamo perso il valore simbolico del gesto e della parola. Tutto scorre senza qualità. Una perdita enorme perché il simbolo è efficace, cioè agisce. Cambia in meglio l’anima dell’uomo e lo dispone alla fede. Prepara il terreno al seme del Vangelo, rendendolo fertile e pronto a portare frutti.

In fondo ci vuole poco. Basta volerlo e dare senso ai propri gesti: essere tutti insieme almeno una volta al giorno, spegnere la TV e parlare delle novità e dei problemi della famiglia, dei fatti quotidiani, ordinare in modo decente la tavola, in modo da renderla accogliente e piacevole, cucinare almeno un po’ e soprattutto recitare una breve preghiera prima di mangiare. Anche un semplice segno della croce, già è qualcosa. Benedire il pasto. Ecco che il simbolo è attivato. Sarà poi lui ad attivare, segretamente, noi. Anche questa è liturgia. Anche questo è vivere la presenza di Dio.

 

Conclusioni

Il pasto comune è un simbolo spirituale, la cui sacralità trapassa popoli e generazioni. Risvegliamoci dunque dal sonno profondo in cui la modernità ci ha condotto e facciamone rivivere il senso spirituale! In fondo ci vuole poco. Basta volerlo.

 

LETTURA CONSIGLIATA:

Donatella Puliga , OSPITARE DIO, Ed. Il Melagolo

 

BIBLIOGRAFIA

James D.G. Dunn, Gesù, la comunione di mensa e Qumran, in Gesù e la comunità di Qumran, a cura di James H. Charlesworth, Ed. Piemme.