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Le dita del Vasaio

Come sempre, il Signore ci insegna ciò che stiamo cercando, attraverso la Sacra Scrittura:

“Questa parola fu rivolta a Geremia da parte del Signore: «Prendi e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola». Io sono sceso nella bottega del vasaio ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso, come ai suoi occhi pareva giusto.

Allora mi fu rivolta la parola del Signore: «Forse non potrei agire con voi, casa di Israele, come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa di Israele” (Geremia 18,1-6).

Davvero un passo bellissimo e chiaro! Chiaro? Beh….insomma….non del tutto. Ma come possono esserci le dita di Dio nella mia vita, se ho fatto un sacco di errori? Se ho avuto sofferenze, malattie, inganni? E poi cadute, piccole e grandi, soprusi, ferite. Male fatto e subito. Ma dove stava il Signore quando mi succedeva tutto questo? Ma che ci raccontiamo!….Si è vero. A volte pensiamo alla Bibbia come a una cosa teorica. Adatta ai monaci, ma non per noi. Noi guardiamo alle cose concrete. Ai fatti. E lì, mi dispiace, ma il Signore …non c’è. Non c’era. O se c’era aveva altro da fare.

Siamo sinceri con noi stessi. Non ce la facciamo. Non ce la facciamo proprio ad accettare questo passo della Scrittura come vero per noi. È vero per i santi, certo. Ma non per noi. E invece….e invece è vero per tutti! Siamo noi che non sappiamo vedere. Il problema della nostra cecità, sta nella ossessione che abbiamo di fermarci appunto ai fatti. A ciò che si vede e si tocca. Senza provare ad alzare lo sguardo verso le realtà dello spirito. Proviamo allora a farci guidare da quattro padri della Chiesa, Ishoad il siro, Giovanni Climaco, Isacco di Ninive e Clemente Alessandrino.

 

Le realtà materiali e quelle spirituali

Per primo ci prende per mano il padre Siriaco Ishoad. Egli ci dice, a proposito della caduta di Adamo ed Eva, cioè del peccato Ancestrale: “… erano nella contemplazione delle realtà spirituali, ma quando trasgredirono il precetto, da tale contemplazione scesero alla contemplazione delle realtà corporee…”. Seguendo Ishoad possiamo dire in sintesi: dopo il peccato ancestrale gli uomini guardano in basso. E possiamo aggiungere: …ma si credono nel punto più alto. Come conviene alla superbia, cioè alla sostanza del peccato di Adamo ed Eva. È la combinazione di due fattori che ci rende ciechi. Guardiamo in basso, esclusivamente alle realtà materiali e sensibili, e crediamo di essere nel punto più alto, ma non vediamo le realtà spirituali.  In pratica, tendiamo sempre a cercare la nostra convenienza materiale ed immediata, cioè il nostro vantaggio apparente, il nostro piacere. Vorremmo una vita lineare, senza intoppi, stare sempre bene, non avere mai malattie, non avere lutti, guadagnare molto, non soffrire mai. Nonostante questa tendenza un po’ falsa, se riflettiamo un attimo, ci accorgiamo che, come recita un celebre detto, se si chiude una porta si apre un portone. Ed effettivamente molte volte è così. Se guardiamo al nostro passato ci accorgiamo che non sempre, ma sovente, dopo aver cercato senza successo, una certa soluzione ai nostri problemi, si apre inaspettatamente una prospettiva diversa, ma migliore. O migliore sul piano materiale o su quello morale. Capita nel lavoro come nei sentimenti. Si è vero, rimaniamo comunque in un ambito sostanzialmente materialistico. Ma questo è già un primo passo per cominciare ad aprire gli occhi. A vedere che qualcosa accade: la Divina Provvidenza è all’opera nella nostra vita.

 

Tutti siamo chiamati alla santità

Uno dei motivi per cui tanti laici tendono a concentrarsi soprattutto sulla vita materiale, è l’abitudine a sentirsi esclusi da una vera vita spirituale. Si presenta purtroppo abbastanza spesso, la tendenza nei credenti, a trasferire la vita cristiana negli atti eroici dei santi o nella vita dei monaci. Intendiamoci, va benissimo avere amore e rispetto per chi ha fatto nella vita scelte radicali per amore del Cristo. Ma ogni cosa ha la sua giusta collocazione. Gli esempi eroici di fede, devono servirci ad aumentare il nostro fervore, non a banalizzare la nostra vita. L’idealizzazione della vita cristiana, ha come grave conseguenza la cecità spirituale. Vediamo allora come aggiusta il tiro un secondo padre della Chiesa: San Giovanni Climaco. Egli  nella sua “Scala del Paradiso” ci dice:,“ Il Diavolo….trova che i più proclivi al piacere per lo più sono di natura sensibile, misericordiosi, compassionevoli e perfino pieni di blandizie (cioè dolci, gentili ndr), mentre quelli impegnati nella castità, non posseggono tali qualità” (Ed. Città Nuova, pag. 195). San Giovanni Climaco ha composto questa opera, per magnificare la vita monastica. E noi ne condividiamo pienamente lo spirito. Eppure egli trova il modo di sottolineare, correttamente, che nonostante tutto anche chi cerca la castità può presentare dei limiti. “Ciascuno ha il suo dono” sembra dire con San Paolo (1 Corinzi 12,27), e tutti hanno la stessa dignità ( 1 Corinzi 12,22).

 

Dai comandamenti al progetto divino su di noi

 Certamente i Padri ricordano a tutti che il punto di partenza, è la cura della nostra vita morale: il rispetto dei comandamenti. Va bene. Ma sorge spontanea un’obbiezione: ma se basta il rispetto dei comandamenti, perché è venuto il Signore a farsi crocifiggere? Se con la Legge tutto sarebbe stato risolto, si poteva puntare ad una diffusione universale dell’Ebraismo, senza aggiungere altro. Ed invece c’è stato Gesù. E San Paolo, il quale nella lettera ai Galati, ribadisce che è necessaria la fede in Gesù Cristo, nostro Signore.  Quindi non soltanto le opere della Legge. Le cose sono allora  un po’ più complicate, ma in fondo, allo stesso tempo semplici. La Chiesa stessa ci offre un primo passo verso la soluzione: i sacramenti, la confessione e l’Eucarestia. Essi sono la sostanza della fede in Cristo. Chi crede in Lui mangia il Suo Corpo e beve il Suo Sangue. E poi? E poi i sacramenti vanno investiti nella vita. Non basta andare alla Liturgia della domenica. Il Signore ci vuole vivi e pieni di Lui nella vita quotidiana.  E come? La direzione ce la offrono ancora una volta i Santi Padri. Per loro infatti, il Cristiano che vive dignitosamente la vita morale, accede alla “Contemplazione della Natura”. Questa non consiste soltanto nell’ammirare la perfezione del Creato, ma anche e soprattutto, nel cogliere in esso il Progetto Divino. Tutte le cose create sono progetti divini, che vedono la Luce grazie ad un atto di volontà del Signore. Anche gli uomini. Anzi, l’uomo è appunto al centro del creato. Anche lui è un progetto. Anche noi tutti, singolarmente, siamo progetti. Progetti finalizzati alla santità. Eccoci giunti allora alle soglie della contemplazione. Quale è il progetto Divino nella mia vita?

 

Il tesoro nascosto dentro di noi

Certo, Dio si serve del nostro lavoro, della nostra famiglia, ma essi non sono il fine della nostra vita. Sono strumenti per realizzare il fine. Infatti il Progetto divino guarda all’Eternità, e punta a sviluppare in noi alcune Virtù. Quelle che ci assegna per raggiungere la santità. Un terzo Padre della Chiesa, Isacco di Ninive, ci aiuta a scoprire quali. ”Sforzati di entrare nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai quel tesoro che è in cielo. Questo e quello, infatti, sono uno solo e per una sola porta li vedrai entrambi. La scala di quel Regno è nascosta dentro di te, nella tua anima. Tu sprofondati in te, lontano dal peccato, e là troverai i gradini per i quali salire” (da “Discorsi Ascetici” Ed. Città Nuova, Discorso II, pag. 52). Ognuno di noi, appunto, ha in sé un “Logos”, un disegno Divino che determina la nostra stessa struttura. Questo Disegno si esprime, nel nostro essere immagine del Figlio, attraverso degli attributi propri del Figlio stesso. Per esempio la Misericordia, la Pazienza, la Longanimità, la Fortezza etc. E’ ciò che l’azione dello Spirito Santo fa fruttificare in noi.  Sant’Isacco ci suggerisce:” Guarda dentro di te”, cioè cerca di conoscerti (vedremo poi come).  E poi, continua ancora Sant’Isacco: “Sforzati di entrare nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai”… ma per farlo …” sprofondati in te, lontano dal peccato”. Cioè, non farti condizionare dalle tue passioni, che stanno alla superficie della tua personalità. Vai nel profondo, nel cuore e troverai…. Infatti se spesso non conosciamo il nostro Logos, la nostra vocazione spirituale, questo si verifica perché siamo troppo occupati ad assecondare le emozioni più forti e chiassose, più superficiali. Le nostre Passioni. Cioè il nostro peccato, come dice Sant’Isacco. Se non ne stiamo lontani, cioè se non pratichiamo un minimo di controllo sulle nostre passioni e pecchiamo, ecco che tutto si confonde. Stiamo quindi lontani dal peccato e scopriremo. Cosa vedremo? Continua Isacco: “Sforzati di entrare nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai quel tesoro che è in cielo. Questo e quello, infatti, sono uno solo e per una sola porta li vedrai entrambi”. Ecco il punto fondamentale che conferma ciò che avevamo detto prima, circa l’Immagine del Figlio Paolina. Attenzione, ripetiamo: “…nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai quel tesoro che è in cielo”.  Cioè è sia dentro di te sia in Cielo. E cosa dentro di noi ha un valore Eterno? Appunto gli attributi Divini, le Virtù del Figlio che il Signore specificamente a noi chiede di interpretare, per essere immagini del Figlio suo.  Dunque la Sapienza, la Prudenza, la Fortezza, la Temperanza etc….Quei doni particolari, che la Grazia dello Spirito Santo ci trova più preparati di altri ad interpretare. Dice ancora Isacco: “…e per una sola porta li vedrai entrambi”. Chi è la Porta? La “Porta” il Vangelo di Giovanni ci dice che è il Salvatore stesso: “Io sono la Porta…” in Giovanni 10,9 (ma tutta la parabola chiarisce il termine “Porta”, Gv 10,1-21). E sappiamo che Isacco era un grande amante del Vangelo. Con tutta probabilità Sant’Isacco alludeva quindi, alla Porta del Vangelo di Giovanni, cioè al Cristo. Dunque agli attributi ed alle Virtù che sono in noi, ma che sono anche in Cielo perché attributi del Signore Gesù. Infine Isacco conclude “… e là troverai i gradini per i quali salire”.  Il Santo ci invita, in conclusione ad un percorso, sapendo bene che noi tutti partiamo da molto in basso ed abbiamo bisogno di salire. Ma dobbiamo salire per quella scala, e non per un’altra. Per l’esercizio di quella virtù o di quelle virtù e non di altre.

 

Imparare a conoscerci attraverso l’amore

Conoscere sé stessi oggi va di moda. Si pensa di riuscirci stendendosi su un lettino e dando fondo alla memoria. Può essere una strada. Ma come si faceva ai tempi di Sant’Isacco? Ci si conosceva attraverso gli altri. Era il rapporto, l’incontro con altre persone che apriva alla vera conoscenza di sé. Ed i cristiani vivevano questo nell’amore.  Proviamo allora a vedere come l’amore può essere fonte di consapevolezza di sé.

 

Vedere con semplicità l’amore

San Clemente Alessandrino, visse nell’era del Cristianesimo perseguitato, nella capitale culturale dell’Impero romano, che era a quel tempo Alessandria d’Egitto. Nel 190 dopo Cristo, succedette a San Panteno, nella direzione della prima scuola di Teologia del Cristianesimo: il Didaskaleion. Ora a quel tempo, i giovani avevano come modello di amore e dedizione i martiri. Nelle sue lezioni di teologia, dunque, ci aspetteremmo di vedere citato il sacrificio di Cristo sulla croce o l’eroismo del martirio. E invece fece tutto il contrario. Sentite cosa dice nei suoi “Stromati” dell’Amore: “…sia l’affettività stessa una sorta di arte dell’Amore verso amici o familiari… Del resto gli uomini si lasciano guidare ad uniformarsi mediante la concordia dei sentimenti che è scienza dei beni comuni” (Gli Stromati II,9). Bellissimo ed originale questo parallelismo con le comunità cristiane, che mettevano i loro beni in comune. Una concordia dunque, che per San Clemente nasce dall’accettazione reciproca nell’amicizia e nella vita familiare. Niente eroismi dunque, ma vita quotidiana. Amore in famiglia per chi è sposato ed amicizia per chi non lo è. Per tutti accettazione dell’altro ed ospitalità. Ma questo amore, semplice e quotidiano, ha una “marcia” segreta, che conduce alla conoscenza di noi stessi. E questa “marcia in più”, altro non è che la sintonia, l’armonia, predicata da San Clemente. Perché “stiamo bene” con una persona, sia esso un amico o il coniuge? Perché abbiamo qualcosa in comune con lui/lei. Cerchiamo allora di comprendere cosa ci ha attratto di questa persona. Facciamo questo piccolo esercizio. Quando siamo giovani, quello che ci fa star bene con altri, è spesso la condivisione delle passioni dell’anima. Tifo allo stadio per la squadra del cuore. Belle cene al ristorante, etc. Sono amicizie che spesso passano. La motivazione tuttavia, con l’età migliora. Non di rado troviamo negli altri, se le cerchiamo, delle qualità. Li troviamo per esempio generosi, oppure pazienti, oppure prudenti. Di altri ammiriamo la conoscenza, ed altro ancora. Noi non ce ne accorgiamo, ma in queste persone vediamo qualcosa di nostro, o manifesto e conosciuto a noi stessi, o nascosto. Tutto questo ha del mirabile, ma noi lo consideriamo poco. “Si, vabbè, ha delle qualità”… Ma queste qualità sono virtù! Fermiamoci un attimo a riflettere. Le virtù sono immagine di Dio! Certo, un’immagine riflessa da uno specchio incrinato da qualche difetto. Ma siamo pur sempre di fronte ad un’immagine del Signore che è anche, in questo caso….una immagine di noi stessi, del nostro uomo interiore, delle nostre qualità manifeste o nascoste, desiderate o coltivate. La sintonia ce lo ha rivelato.

 

La contemplazione della Divina Presenza nella nostra vita e nella nostra storia

Proviamo allora a cercare questa virtù nella nostra vita. È qui che scatta, se la Grazia di Dio ce lo concede, la contemplazione. Scopriremo che certe espressioni, certe qualità manifeste o desiderate, hanno percorso tutta la nostra vita. Esse sono state per noi come certi torrenti, che scorrono all’aperto per poi nascondersi sottoterra, e rispuntare di nuovo. Certamente abbozzate e spesso non pienamente mature, certo. Ma proprio per questo esse sono la cifra della nostra vocazione spirituale. La contemplazione è l’attimo in cui comprendiamo, capiamo tutto questo. Ed insieme è il momento in cui Dio ci chiama. Ci chiama a fare di noi la Sua volontà. A cercare di salire i gradini della virtù che siamo chiamati a sviluppare. I gradini di quella scala interiore, di quel progetto di santità che fin dall’eternità sta nascosto nelle pieghe dei Suoi Progetti Divini.