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La contemplazione della natura include l’uomo

Mettiamo a confronto due brani della Scrittura, e proviamo ad alimentare così, una breve meditazione, sul dono della contemplazione dell’essere umano.

“…Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Romani 1,20).

“Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Romani 8,28-29).

Il primo brano che abbiamo riportato è veramente famoso. Esso ci ricorda che tutta la creazione è una Teofania, ovvero una manifestazione di Dio, che a tutti fa mostra di Sé. Dio non sarebbe Dio se non creasse il cosmo. Il Bene non sarebbe Bene se si limitasse ad essere in sé stesso, senza donarsi nel mondo. Egli nel suo Amore, nella sua Compassione vuol far conoscere la Sua Bellezza e lo fa attraverso il creato. I fiori, gli alberi, le montagne, il mare, mostrano all’uomo la bellezza della loro perfezione, e con essa quella di Dio, di cui sono un’espressione. Ma ciò che dovrebbe stupire di più, è l’amore che dona all’uomo queste meraviglie. Questo dolce desiderare di mostrarsi a tutti gli uomini, nella potenza e nella bellezza, pieno di compassione. Ma la contemplazione della natura, che i Padri suggerivano essere l’esito normale di una vita rispettosa della morale cristiana, non si limita alle piante, ai minerali ed agli animali. Essa è contemplazione piena di meraviglia anche dell’uomo, immagine di Dio.  Ma quali passi fare per avviarsi verso un autentico sguardo spirituale sull’uomo?

 

L’amicizia come elevazione dalla materia allo spirito

Imparare ad ascoltare. Questa la direzione migliore per un salto di qualità in tutti i nostri rapporti. Ascoltare. Ascoltare. Come ci insegna San Massimo il Confessore (Filocalia, Duecento capitoli, II 43) “…sia posto a resurrezione di coloro che contemplano le creature di Dio, e ne ascoltano le parole spiritualmente, e si danno cura, con un comportamento retto, della sola divina immagine che è nell’anima”. San Massimo ci spiega in due parole cosa è la contemplazione dell’immagine Divina nell’uomo. E ci spiega da dove cominciare. Ascoltare spiritualmente. Ecco la chiave. Un certo temperamento spinge sovente a parlare, a sfogarsi. Si desidera essere ascoltati, capiti, compresi. È normale. Certo. Ma in questo modo rimaniamo a terra, come uccellini che ancora non hanno imparato a volare. Fermi. Forse anche un po’ ciechi. Ma saper ascoltare dà più gioia che parlare. Ed è la porta per un’autentica contemplazione dell’uomo. Ascoltare le parole, certo, ma non solo. “Ascoltare” lo sguardo di chi abbiamo davanti. Le mani, ed i loro movimenti. I vestiti. La postura. L’intonazione della voce ed il suo timbro. Il respiro. Guardare ed ascoltare con pazienza. Abbiamo davanti un’immagine di Dio. Uno specchio che, per quanto imperfettamente, ci rivela il Signore. L’Amore di Dio. Il suo calore e la Sua compassione per l’uomo che ha creato. È il momento in cui il perdono della confessione, ed il corpo di Cristo dell’Eucarestia, sembrano ridestarsi in noi. Il simile comincia a cercare il simile, come dice San Giovanni Climaco (Scala del Paradiso, Città Nuova, pag. 192). Non solo, ma sempre lo stesso Padre della Chiesa (pag.188) ci ricorda che il fuoco del Signore che arde in noi di nascosto, grazie ai sacramenti, “brucia” ogni nostra povertà materialista, per guidarci con il suo “Eros Divino”, verso lo spazio dell’invisibile. Dell’intellegibile, come dicono i dotti, cioè non di ciò che semplicemente vediamo e sentiamo, ma verso ciò che riusciamo a capire. A comprendere di quella persona. Dei suoi dolori, come delle sue gioie.

L’ amicizia. La vera amicizia è un trampolino di lancio verso lo spazio celeste. Con l’amicizia impariamo a volare. Il nostro intelletto ed il nostro cuore cominciano a scaldarsi, a vivere quella Presenza che va oltre chi ci sta davanti. Invisibile. Discreta, ma presente. Essa ci guida nell’ascolto e comincia a condurre la danza.  Senza che ce ne accorgiamo.

 

Perché diciamo “fratello”?

Noi cristiani ci chiamiamo fratelli. Ma abbiamo mai seriamente pensato al perché di questa usanza secolare? Il secondo brano della Scrittura sopra citato, tratto dal capitolo 8 della Lettera ai Romani di San Paolo, ce lo illustra con chiarezza. Siamo tutti fratelli di un Primogenito che è il Cristo. Che vuol dire? Vuol dire che ognuno di noi, nel progetto Divino, somiglia per qualcosa al primogenito. Ci abbiamo mai pensato? Non in senso fisico, ovviamente. No. Semplicemente nei piani creativi del Signore, ciascuno di noi è chiamato a vivere uno o più attributi del Salvatore. Ed in questo siamo tutti chiamati ad essere Sua immagine. A pensarci bene sono molti gli attributi che i Vangeli ci raccontano di Gesù, a partire dalla sua vita terrena. La Misericordia, la Pazienza, l’Umiltà, la Prudenza, la Scienza, la Longanimità, etc. Sono tutti doni che lo Spirito Santo ci ha dato nel Battesimo. A noi sta, per decreto Divino, interpretarne alcuni in modo speciale, sì da somigliare. Essere Immagine. Essere fratello del Primogenito. Somigliare a Lui, come ogni fratello, in qualcosa. Cosa c’è allora di più bello che provare a scoprire, ascoltando con attenzione, cosa del Salvatore ci manifesta chi ci sta davanti? È come scoprire il Nome che ciascuno ha sulla fronte: “Poi guardai ed ecco l’Agnello ritto sul monte Sion e insieme 144.000 persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo” (Apocalisse 14,1). Bellissimo!

Ma non è tanto più bello che parlare, parlare, per fare cosa? Per sfogarsi ed ottenere così un beneficio che dura lo spazio al massimo di qualche ora. Scoprire il “Nome Divino”….Ecco la contemplazione della Presenza di Dio negli uomini! Ma attenzione! Spesso bisogna scavare. Non certo assillando con domande. Ma usando la Carità e la longanimità dello Spirito. Il “Nome Divino” infatti, si nasconde spesso nei desideri. E non di rado i desideri finiscono annodati dal peso del mondo e del Peccato Ancestrale. Potrà risultare irritante per qualcuno, ma a volte un desiderio come quello che conduce ad eccessi nel consumo di alcool, nasconde un segreto anelito. Un richiamo verso quell’ebbrezza tutta spirituale, che è tipica di un cuore “riscaldato” dall’Amore di Dio. Ascoltare infatti non vuol dire giudicare, ma piuttosto interpretare, comprendere, spiegare. Infatti, le nostre due passioni naturali, il desiderio e l’ira, quando manchiamo di fede, tendono a male orientarsi. A scegliere un oggetto sbagliato. Ad essere usate fuori bersaglio. Dunque, perfino il peccato dell’altro ….ci può parlare di Dio. Ci può parlare della ricerca del fine della propria vita, anche se fuori strada. In una parola ci può parlare degli attributi che chi sta davanti a noi, è chiamato a vivere fin dall’Eternità. E ad un certo punto lo “capiamo”. Lo contempliamo. È l’aiuto nascosto, che Dio dà a chi esce da sé stesso per ascoltare. È il dono di vedere l’altro, con l’intelletto del cuore.

 

La contemplazione nell’amore tra uomo e donna

 L’Amore che unisce un uomo ed una donna nel matrimonio, è un vero mistero. Molti. Molti hanno cercato di scoprirne il perché. Filosofi, psicologi, biologi e medici. Siamo sinceri. Nessuno è veramente riuscito nell’intento. Nessuno. Forse qualcosa, uno spicchio…nulla di più. Dunque stiamo attenti a dare facilmente credito a varie teorie. Ma perché? Cosa ha di tanto misterioso l’Amore? Si intende, l’Amore con la A maiuscola, non le cotte giovanili o la semplice attrazione sessuale. Si sta parlando di quell’Amore che spinge un uomo ed una donna a decidere di passare la vita insieme, facendo dei figli. Certo, c’è l’attrazione e c’è il sentimento. Ma, approfondendo, l’Amore è esattamente quello che sta scritto nel Vangelo di Matteo (19,4-6); “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.

Quello dunque che Dio ha congiunto. Qui sta il mistero insondabile. I due non sono stati uniti soltanto dal sacramento. Questo sancisce come sacra, l’avvenuta scelta. Tutto il processo è volere Divino. Ed avviene in modo molto difficile da comprendere. Perché due persone si innamorano e decidono di passare la vita insieme? Molte volte l’uno o l’altra cercano spiegazioni in certe caratteristiche del coniuge. Ma fermiamoci un attimo a riflettere. Davvero quelle doti, quelle caratteristiche ce l’ha soltanto lui o lei? Ma andiamo….A veder bene sono proprie di tanti e di tante. La verità è che anche l’amore è prima di tutto un’esperienza contemplativa. Il dito di Dio tocca la sede superiore del nostro cuore, il Nous, l’intelletto spirituale. E noi capiamo. Comprendiamo. Talvolta in un lampo. Non a caso certe volte si parla di “Colpo di fulmine”. C’è qualcosa di vero in questa espressione. Tutto infatti avviene senza troppi ragionamenti. Nel cuore. Può esserci a volte uno spunto. Un particolare che innesca la comprensione. Altre volte tutto avviene al termine di un processo che dura anni. Ma ad un certo punto capiamo, e quello che comprendiamo, sentiamo essere la cosa giusta. Ci tranquillizza, ci mette nella pace. È lui, è lei. Ora, questo è esattamente ciò che i sapienti chiamano contemplazione. Una contemplazione sia chiaro, che nasce dal tocco del Signore dei signori. Non nasce da un dio pagano come Eros, come vorrebbero convincerci i filosofi. È questo il mistero, senza il quale il sacramento non si celebra.

 

La contemplazione della gloria nell’altro

San Paolo ci dà una mano. Qualche passo avanti per addentrarci, sia pure da lontano, nel mistero dell’Amore ce lo fa fare l’Apostolo, quando dice che l’uomo è la gloria di Dio e gli sposi la gloria l’uno dell’altro. Certo, rispettivamente in modo diverso (1 Corinzi 11). Forse, ciò che si manifesta alla contemplazione dell’intelletto, è una dote nascosta, una Virtù dello Spirito. L’altro può, in altre parole manifestarci nei modi, una Virtù, un Attributo Divino, che in noi è ancora nascosto, e che richiede di essere sviluppato. Questa la gloria. La Bellezza di un Attributo Divino che siamo chiamati a far crescere in noi e che l’altro ci mostra, come in uno specchio. Da qui la necessità di una conoscenza reciproca profonda, anche fisica. San Giovanni Crisostomo ce lo insegna, in una splendida omelia sul matrimonio.      Questo Padre della Chiesa, ci spiega che nell’Antico Testamento, il rapporto fisico tra un uomo ed una donna, viene indicato dal verbo “conoscere”. David “conobbe” Betsabea. Ora, ci ricorda il santo, è proprio questo il punto. Dio indica nel congiungimento una conoscenza. Poi certo. Vi sarà la procreazione, che è molto importante. Ma insieme i due devono conoscersi profondamente. Questo li aiuterà a crescere spiritualmente, perché ci sarà in questo modo, un reciproco scambio. L’uno imparerà dall’altra a sviluppare un Attributo del Cristo che il Signore, fin dall’eternità, li ha chiamati a manifestare in modo specifico. I due diventeranno più pienamente, “fratello e sorella” del Signore Gesù. Dunque il matrimonio non è finalizzato solo alla procreazione, ma anche alla santità. E specificamente alla crescita spirituale di entrambi. Amarsi nel matrimonio, vorrà allora dire anche imparare a contemplare nell’altro la sua ricchezza spirituale. Significherà apprendere, non tanto discutendo, ma vivendo insieme, quello che l’altro o l’altra ha da trasmetterci. Segretamente o meno. Questo forse, il senso profondo dell’essere una sola carne.

 

La contemplazione nell’educazione dei figli

Possibile che anche nell’educazione dei figli si possa essere chiamati a oltrepassare con Giosuè, il fiume Giordano? Simbolicamente, cioè, a superare con il nostro giudizio, le informazioni del mondo materiale, per cogliere nei bambini, anche un valore spirituale? Certo, si può e si deve, anche con loro. E come? Il segnale ce lo danno i figli stessi. Infatti a volte, ci si lamenta di comportamenti non opportuni e di certe disobbedienze. Il “pugno di ferro” allora non è una soluzione. Perché? Perché dobbiamo chiederci se li abbiamo abbastanza “capiti”. Noi vediamo, sentiamo, tocchiamo il comportamento sensibile e materiale dei bambini. Ma un genitore cristiano è chiamato a “vedere” qualcosa di più. Domandiamoci: quali sono i talenti che esprime nostro figlio? Li abbiamo sufficientemente valorizzati? Abbiamo reso i nostri figli consapevoli dei loro punti di forza, comunicandogli il nostro apprezzamento e non soltanto il nostro affetto? E soprattutto: lo abbiamo fatto abbastanza? O abbiamo solo accennato a qualcosa, concentrandoci piuttosto nel criticare soprattutto i comportamenti sbagliati? A parte le condizioni in cui un esagerato movimento trova una causa biologica, lodare il bambino inquieto vale molto di più che criticarlo. Infatti il nostro primo compito è proprio valorizzare e far crescere i punti di forza dei bimbi e dei ragazzi, che il Signore ci ha affidato. Valorizzare educativamente, offrendo occasioni di crescita. Scuola di musica per chi vi è portato, libri scientifici adatti per chi desidera conoscere, etc. Deve essere un impegno solido e non saltuario. I nostri figli devono fortemente sentirsi accuditi nel loro valore. Con il tempo questo numero in più, diventerà non soltanto dote umana, ma anche qualità spirituale. Questa la differenza fondamentale tra chi si ferma ai dati materiali, e chi invece va oltre e prova a “capire”. Cioè a comprendere ed in ultima analisi, a contemplare la vita spirituale del bimbo o del ragazzo. Il bambino che sente questo, migliora da subito il suo comportamento e la sua obbedienza. Provare per credere.

 

Conclusioni

Abbiamo provato ad approfondire, per quanto ci è stato possibile, il valore spirituale di quella contemplazione della natura, che sa partire dall’uomo. Quello che abbiamo espresso è chiaramente solo un povero inizio. Se proviamo fiduciosi a incamminarci su questo sentiero, appoggiandoci alla nostra madre, la Chiesa, avremo occasione di trovare molto, molto di più. Ce lo provano la vita di tutti i santi.