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Ascoltare la nostra spontanea attrazione per la natura

 Non sempre è qualcosa di chiaro, anzi. Spesso l’idea di farsi una bella passeggiata nel bosco giace in fondo al nostro cuore, seppellita dalle quotidiane preoccupazioni. C’è sempre qualcosa da fare. Per qualcuno dunque può essere difficile apprezzare l’idea di fare quattro passi nella natura. Per altri ancora la natura appare come qualcosa di noioso, Un ingombro. Meglio un film alla televisione. Il suggerimento che proviamo a dare, non sarà quindi seguito di buon grado da tutti. Tuttavia, prima o poi, la bellezza del creato si impone da sé. Dunque, con rispetto, ad ognuno il suo momento.

Passeggiare senza meta nella natura selvaggia

Quello che proponiamo è un esercizio spirituale, e quindi richiede alcuni accorgimenti, che differenziano l’esperienza da una comune passeggiata.

  • Primo accorgimento. Curare di non avere alcuna meta precisa. Non si tratta di conquistare una vetta, sia pure quella di una modesta collina. Non sarebbe consigliabile pensare di raggiungere quel certo monastero o quella certa chiesetta abbandonata. Niente. Nulla di nulla. Giusto si tratta di avere una certa idea del percorso per non infilarsi in situazioni difficili ed inadatte, per esempio, alle nostre calzature. E poi disponibilità a cambiare. A scegliere altre direzioni se lo sguardo ci dirige altrove
  • Secondo accorgimento. Evitare di fare questa esperienza se si è affogati dalle preoccupazioni per eventi particolari. In questi casi la natura può aiutare come può, anche, rimanerci estranea. Soprattutto se siamo dominati da un’ansia soverchiante.
  • Terzo accorgimento. Passeggiare con calma, scegliendo un posto non troppo abitato
  • Quarto accorgimento. Evitare di porsi in osservazione con la cura analitica del conoscitore: non importa sapere i nomi delle piante, degli insetti, degli uccellini etc. Contemplare la natura non consiste nel catturarla ma nel farsi catturare da lei.
  • Quinto accorgimento. Avere una vita spirituale, anche se modesta: confessarsi con regolarità e comunicarsi. Pregare almeno un po’.

 

 Partiamo dalla Sacra Scrittura: San Paolo, Romani 1,18-20

Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.

Su queto bellissimo brano di San Paolo sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Basterebbe ricordare il “duello” teologico-filosofico tra Domenicani e filosofi scettici, seguaci di Hume, sulla possibilità o meno di considerare Dio, come “Causa Prima” dell’universo. Ma davvero si parla di questo nei versetti citati? Guardiamo bene. Dice San Paolo” Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute”.

Che vuol dire? Le Sue perfezioni, potenza e divinità vengono contemplate…attraverso le Sue opere. Per “entrare” meglio in questo passo di San Paolo, lasciamo da parte ragionamenti e speculazioni e facciamo ciò che lui dice: contempliamo.

 

Imparare a contemplare

Imparare a contemplare significa educare l’attenzione. Iniziamo pure a passeggiare sulla mulattiera o nel viottolo che abbiamo scelto. Ben presto ci accorgeremo che insieme agli sguardi sula natura che ci circonda, la nostra attenzione si sofferma al nostro interno, sui nostri pensieri. Sul fluire inarrestabile dei nostri pensieri. Non facciamoci illusioni. Diciamo subito che è impossibile arrestare tale flusso involontario. Tuttavia possiamo attutirne il rumore, spostando la nostra attenzione. Come? Godendoci la natura per quello che è, senza troppi ragionamenti. Cioè guardare, ascoltare, annusare, palpare.

Guardare gli alberi. La loro forma. Le loro radici. I cipressi che si stagliano contro il cielo alti e affusolati. Gli olivi dai rami ritorti e dalle foglie ovali. Tronchi tagliati e rigeneranti. Tronchi morti e abbandonati da una parte, a volte con forme impreviste e curiose. Le querce. I loro rami abitati dagli uccelli. E poi le foglie di ogni tipo. Lanceolate, bicolori, talvolta con strane forme. A farsi prendere c’è il rischio di non andare più avanti. Ma come si fa. Se guardiamo queste cose una per una con attenzione, si sottolinea, con attenzione, il chiacchiericcio dei pensieri si sposta in fondo alla scena, per lasciare il posto alla meraviglia. Apriamo le bacche, guardiamo come sono fatte. Osserviamo le diverse sfumature dei colori dei cespugli. Eppure, se la nostra attenzione non è calamitata dal fluire ansioso dei nostri pensieri, ecco che dischiudono composizioni astratte, talvolta delicate e sublimi. Poi i cigli delle strade e dei viottoli con i loro cespugli compositi, i fossi laterali. I muretti a secco che colpiscono per l’opera paziente degli uomini che lo hanno costruito. Se proseguiamo nel silenzio, sono i rumori del creato a diventare musica. Il vento. Le foglie ed i rami mossi dal vento o dalla brezza. Il canto degli uccellini sempre diverso. Il profumo dei tronchi degli alberi, dei fiori, delle bacche, degli arbusti. Citiamo tutte queste cose solo per stimolare ed umilmente “accennare” a quelle cose che tanti sanno molto meglio di chi scrive. Il discorso si potrebbe allungare quasi all’infinito, e non è qui il caso. Tutto ha però una costante comune: guardare, ascoltare, annusare, senza la pretesa di afferrare con la nostra mente, spiegare, denominare. E quale sarà il frutto?

 

C’è bellezza e bellezza.

Per secoli filosofi ed esteti hanno dibattuto sulla bellezza. Cosa è la bellezza? C’è una bellezza “umana”, quella che ci colpisce per la simmetria delle forme. Un uomo o una donna con le linee del viso simmetriche ed equilibrate ci danno una certa impressione di “bello”.  In questi casi ci sono cose belle perché simmetriche ed ordinate, e ci sono cose brutte, per motivi contrari. Qualche esteta si è lanciato in un confronto: i diamanti sono più belli del carbone. Ma contemplare la natura ci porta in una dimensione diversa. Forse i diamanti costeranno di più del carbone, ma se questo lo si guarda da vicino, magari con l’aiuto di una lente, non sci appare affatto brutto. Si tratta di cristalli neri, talvolta levigati e disposti in cumuli irregolari, ma affascinanti. Anche una foglia secca è bella. Tutto ci fa esclamare bello!  Ma se è così, se tutti gli alberi, tutti i fiori, tutti gli animali, etc, sono belli e nessuno è fondamentalmente brutto, che bello è? C’è qualcosa che non torna. Non torna perché chiamiamo “Bello” ciò che in realtà dovremmo chiamare perfetto. E’ infatti la sua perfezione che ci colpisce. La sua straordinaria composizione di parti. La delicatezza delle strutture. L’accostamento calibrato dei colori. La funzionalità. L’organizzazione microscopica quando la vediamo da vicino. Ecco allora che comprendiamo meglio il versetto di San Paolo:” Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute”.

 

Ogni “forma” è un pensiero divino

“Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.

Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! (Matteo 10, 28-31).

Nella fede cristiana tutto, ma proprio tutto è stato preordinato da Dio: eventi e cose. I Padri ci insegnano che ogni cosa trova il suo modello, la sua “ragione d’essere” nella “mente” di Dio. Tutto è stato pensato da Lui prima dei tempi. In accordo con i Padri, usiamo i termini mente e pensiero solo per farci capire. Dio infatti non è un vecchio con la barba. Precisiamo allora ancora meglio: i Padri ci insegnano che i progetti di tutte le cose esistite, esistenti e che esisteranno, sono nel Figlio, il Logos divino del vangelo di Giovanni o Verbo. Ovvero il Cristo. E Dio, come dice il Credo, ha creato tutte le cose per mezzo del Figlio, ovvero per mezzo di tutti questi progetti.  Cosa vuol dire questo? Vuol dire che se guardiamo un passero, una foglia, un fiore, un uomo, contempliamo ciò che era in Dio fin dall’eternità. E nel contemplare le perfezioni delle Sue opere contempliamo come in uno specchio la Sua perfezione.

Attenzione: come in uno specchio. Certo, esiste la caduta originale, e con essa la morte, i terremoti, le malattie. Dunque si tratta di uno specchio incrinato, ma pur sempre uno specchio. E se già così tutto ci lascia a bocca aperta per la sua perfezione, chissà cosa sarà quando Dio sarà Tutto in Tutti!

Tutto ciò rappresenta un esercizio spirituale. Perché? Perché contemplare le forme create come riflesso della perfezione Divina, stupircene, lodare Dio per queste sue opere, apre in noi una fessura. Un pertugio nella nostra anima che permette allo Spirito di entrare ed operare una piccola trasformazione. E’ attraverso questa fessura del cuore, che le dita del vasaio operano sul vaso della nostra anima. Cambiandoci. Trasformandoci. Poco alla volta. Naturalmente bisogna insistere. Avere costanza nel dedicare un po’ di tempo a questo esercizio, ed avere cura di educare, con dolcezza, la nostra attenzione.

 

La sospensione del tempo come esercizio spirituale

Ma c’è di più. Camminando potremmo imbatterci in un panorama come questo. Si tratta di Firenze vista in lontananza da una delle sue colline.

Cosa ci fa dire “bello” di un panorama come questo? Cosa ci ferma stupiti di meraviglia davanti a questo spettacolo?

I rumori lontani della città sembrano proiettarci fuori dalla storia, fuori dal tempo. Non sempre riusciamo a renderci conto o a verbalizzare quello che succede. E quello che succede è questo: il tempo non scorre più, si interrompe. Nel silenzio musicale della natura in festa il rumore lontano delle macchine, un brusio incolore, ogni tanto interrotto dal ronzio di una sega elettrica o dal suono isolato di una campana, pare accentuare, quasi sancire questa frattura. Questo distacco. Questa lontananza dalla storia, dagli avvenimenti. Ci troviamo all’improvviso soli davanti ad una presenza discreta ma reale. E’ la presenza di Dio. Una presenza che sembra in questi momenti comunicarsi come eternità. Ma come è possibile tutto ciò? Provate a tappare in quella foto l’azzurro del cielo. Tutto è perduto. Finisce l’incanto. Restano belle colline e case graziose. Non c’è più l’eternità. Ma non è un effetto psicologico. Ce lo assicura il Salmista:

“I cieli narrano la gloria di Dio” (Salmo 18 nella LXX, 19 nella CEI) versetto 2. Davvero la Bibbia ci parla di noi. Della nostra vita. Delle nostre esperienze. Infatti è proprio così: Ciò che spesso conferisce ad un panorama quel certo senso di infinito e di eternità, è proprio il cielo. Anche di notte, guardando le stelle. Infatti il salmista si affretta a proseguire :”e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento”. Questi frammenti di eternità in mezzo alla natura si ripetono negli anni sempre uguali. E lo spirito dell’uomo sembra elevarsi in quei momenti al di sopra della propria vita, per guardarla dall’alto. E’ il momento in cui è più facile ammettere i propri errori e fare un discernimento.  Il distacco dalle vicende del tempo ci aiuta ad essere più obbiettivi, ed ancora una volta, attraverso questa fessura del nostro cuore, ecco che lo Spirito Santo segretamente opera. E’ questo appunto un nuovo esercizio spirituale. Ancora una volta le dita sapienti del Vasaio forgiano il vaso della nostra anima.

Conclusioni

C’è modo e modo di incontrare la natura. Essa può essere consumata come un bicchiere di coca cola. Ma può anche essere il luogo dove opera il Dio dei nostri cuori. Si tratta di farlo con costanza e regolarità, affidandoci, come esposto sopra, all’opera trasformatrice dello Spirito.