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Il vero significato della croce

“Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo” (Luca 14,27). Il significato della croce come obbedienza viene ribadito da questo versetto del vangelo di Luca: la seconda frase infatti è aperta dalla congiunzione “e” il cui senso è chiaramente consecutivo alla prima frase, cioè conseguenza. Il versetto pertanto lo possiamo parafrasare così: “chi non porta la propria croce e pertanto non viene dietro di me”…. Cioè obbedire a Nostro Signore Gesù Cristo (andando dietro di Lui) significa, sta per, vuol dire; “portare la propria croce”. Certo obbedire può voler dire soffrire come ha sofferto Lui, ma non soltanto. Non è il dolore il senso profondo della croce, altrimenti avrebbe detto: “chi non porta la propria croce soffrendo come ho sofferto io….”. E invece ha detto “…e non viene dietro di me”. Andare dietro, seguire, in una parola obbedire. Ma come? Come possiamo seguire Colui che non si vede e non si sente? Gesù ha provveduto anche a questo. Con l’accettazione della Volontà del Padre ha determinato la discesa dello Spirito Santo, segno tangibile del perdono divino e della nuova economia. Si instaura una nuova obbedienza: si passa dai comandamenti (che tuttavia non decadono) allo Spirito Santo. Ecco la nuova obbedienza: seguire il Signore attraverso l’ascolto della voce dello Spirito. Diceva San Serafino di Sarov nel colloquio con Motovilov: “Il fine della vita cristiana è ottenere e vivere lo Spirito Santo”. E Motovilov rimase abbagliato dalla luce che emanava dal corpo del Santo (e dal suo).

 

Ottenere e vivere lo Spirito Santo

Noi abbiamo ottenuto il dono dello Spirito con il Battesimo e con la Cresima. Si tratta di ravvivarlo, dandogli un nuovo spazio dentro di noi. Come? Prima di tutto chiedendolo. Ancora San Luca ci spiega cosa dobbiamo fare: “Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.  Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Luca 11,10-13).

Dunque chiedere lo Spirito, ascoltarLo e seguirLo.

Questo fa pensare prima di tutto al ruolo determinante della preghiera. Si chiede e si ottiene. Si chiede con fede e per fede si ottiene. È il rapporto personale e collettivo con Dio, al centro della Grazia del Paraclito. Non sono necessari terribili esercizi ascetici per avere lo Spirito, come qualcuno ingenuamente crede. Non vi è una parte della Chiesa che è esclusa dallo Spirito perché profana ed un’altra che lo vive perché è santa. È tutto molto più semplice (se lo si conosce….). Si tratta di chiedere. Chiedere come un fanciullo al Padre. “Bussate e vi sarà aperto!”. Tutto si basa su un dialogo costante con Dio. Tutto è fondato su un atteggiamento di attenzione alla Divina Presenza. Eppure…..eppure….semplicemente non lo facciamo. Prigionieri della immaginazione, crediamo che solo pochi fortunati abbiano lo Spirito. Spirito, che si manifesta allora con miracoli, premonizioni, lettura del cuore etc. Purtroppo anche in questo caso assistiamo al trionfo della società dello spettacolo.  Sì certo. Anche nella fede. Trovare con pazienza il proprio posto nella vita, e saper coltivare le virtù che ci sono state assegnate da sviluppare, è un po’ meno entusiasmante, ma è lì che si ascolta davvero lo Spirito.

 

Perché la croce diventa liberazione

Perché va vista nel quadro della obbedienza. E obbedire allo Spirito dà pace e gioia. Anche nel dolore certo. Se vi si è chiamati. Anche il dolore può essere vissuto con gioia. È il segno inconfondibile dello Spirito che gli iconografi dipingono sul volto della Vergine. Una espressione sempre di gioia contenuta per la salvezza e di tristezza per chi non si salva. Ma ascoltare la voce dello Spirito può comportare un certo impegno. Essa è paragonata nella Bibbia, ad un vento leggero. Mentre dentro di noi si agitano terremoti, trombe d’aria e mareggiate. Rabbia, ira, avidità, gelosia….queste passioni fanno un grande rumore. Assordante. E il vento leggero si perde. Non si ascolta. Quasi non c’è. E invece c’è. Siamo noi che amiamo i sentimenti grossolani, le voci rozze delle emozioni più forti, il piacere annebbiante offerto dalla immaginazione e dallo spettacolo. Ecco la liberazione! Cominciare a vivere l’obbedienza della croce che il Signore ci chiede di portare, facendo ciò che serve per udire il bisbiglio sommesso e pacato della Gioia. È la Gioia il nostro destino! Teofane il Recluso ci spiega che il cuore “assaggia” le esperienze esteriori ed interiori, attraverso la gioia. E sceglie. Temendo scioccamente la Croce, non sappiamo cosa ci perdiamo! Come è bello sentire il proprio cuore che ama il Signore! Quale felicità è più intensa e più pura! Ed è questo il senso della Ascetica Ortodossa. Non si tratta, come nella filosofia greca, di eliminare le passioni, ma di riorientarle semplicemente, controllandole. Questo il senso del digiuno quaresimale. Educare il popolo di Dio a moderare le voci interiori, per tendere l’orecchio alla voce ineffabile e discreta della Verità.

 

Partecipare alla creazione

Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero» (Giovanni 5,17). La comprensione della rivelazione evangelica, di una creazione continua, è forse una delle differenze più importanti tra la teologia della Chiesa Ortodossa, e quella più dipendente dal pensiero filosofico Aristotelico, del mondo latino. Il Vangelo non ci presenta un Dio immobile e sazio, ma un Padre ed un Figlio che operano in modo vivo tra noi, pieni di amore. Collaborare alla nascita di nuovi esseri umani, formando una famiglia cristiana, contribuire con il proprio lavoro a rendere il mondo più trasparente alle energie divine. Questo insieme ad altro, è ascoltare lo Spirito ed obbedire. Questo è partecipare all’opera creativa di Dio. E non ci sono posizioni privilegiate. Tutti, ma proprio tutti partecipano all’opera divina, attraverso la stessa eucarestia. Il pane della messa infatti, viene preparato nelle famiglie, proprio perché in questo modo rappresenta il contributo dell’uomo all’opera costante di Dio. Come tale è offerto dal sacerdote nella liturgia, insieme con il frutto della vite, anche essa coltivata con il lavoro dell’uomo. Ma cosa c’è di più chiaro e di più bello! Partecipare in modo attivo alla società degli uomini, portando la voce dello Spirito, servendo con onestà, giustizia e solidarietà, accettandone poi le possibili conseguenze: maldicenze, invidie, incredulità, ostacoli, insulti. Andare avanti nella Gioia e nella pace nonostante tutto. Questa la liberazione della croce.

 

Conclusione

La Gioia e la Pace dello Spirito Santo, rappresentano la vera liberazione ed insieme sono l’espressione della vera obbedienza del cristiano. Controllare le passioni malvagie, non ascoltarle e tendere l’orecchio spirituale alla voce del Paraclito nella preghiera, questa l’essenza della sequela di Gesù Cristo.