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La testimonianza dei non Ortodossi

Il Principe Russo Vladimir inviò dei messi in vari paesi, per constatare con la propria esperienza, quale fosse la fede religiosa migliore.  I messi girarono varie terre e fra queste visitarono Costantinopoli. Di ritorno relazionarono al Principe. “Dopo aver visitato molte contrade, arrivammo a Costantinopoli, dove i Greci ci condussero alla loro liturgia. Lì ci fu grande meraviglia, perché non capivamo se eravamo sul cielo o sulla terra, poiché sulla terra non vi era spettacolo uguale. Tale era la bellezza, che non la sappiamo descrivere con parole. Possiamo solo dire che lì gli uomini sono in presenza di Dio e che quel servizio divino, non ha uguali in altri Paesi”. Saremmo portati a dire che c’è qualcosa di leggendario, come un po’ in tutte le cronache antiche.

Eppure è esperienza molto comune trovare cristiani provenienti dal mondo latino che amano la liturgia ortodossa. Si mettono talvolta in fondo alla Chiesa, e raccontano di sentirsi bene e di provare pace. Qualcuno di loro racconta di aver sentito la presenza di tutta la Chiesa, in particolare dei Santi. Esperienze del genere le hanno anche i non credenti. Chi scrive riporta la seguente breve testimonianza resa da un noto commediografo romano, all’epoca perfettamente ateo: “Vado al monte Athos tutti gli anni. E’ perché quando partecipo alle liturgie, mi sento bene. Mi sento riavere. E’ un po’ come se andassi in America alla clinica Mayo. E’ una cura che mi ristora.” Un modo di esprimersi che lascia interdetti, ma bisogna tenere conto che questo giovane intellettuale romano era, come detto, perfettamente ateo. Ancora. Chi scrive arrivò per la prima volta all’Athos circa 20 anni fa. Provenendo da una tradizione latina aveva avuto cura di evitare i monasteri, per andare a fare l’esperienza presso un monaco che viveva solitario alla Nea Skiti. Si voleva appunto evitare una lunga liturgia, verso cui non c’era abitudine. Ma arrivò la festività di Pentecoste, ed il “latino”, fu invitato a partecipare, almeno per un paio d’ore, ad una Veglia di preghiera. L’esperienza fu sorprendente. Le parole non si capivano. La musica non piaceva. Buio e candele. Eppure quando tutto finì, ci si sentì defraudati. Avremmo voluto continuare, perché una sottile e profonda gioia animava il cuore. Fu un insegnamento grande: la vita della liturgia Ortodossa è lo Spirito Santo. Non le forme umane, ma lo Spirito. Non c’era nulla in quella esperienza che potesse spiegare ciò che era avvenuto in termini psicologici. Fu uno shock. Non era mai stata fatta una esperienza così chiara, dell’azione dello Spirito Santo in una liturgia.

Chi non è Ortodosso dovrebbe chiedersi il perché di tali esperienze, e chi lo è, dovrebbe domandarsi fino a che punto è cosciente di quanto lui/lei ha, e gli altri non hanno. Può darsi che la grande abitudine distolga l’attenzione dagli effetti più intimi e nascosti della liturgia. Giusto dunque educare/rieducare l’attenzione “a far caso”, ad accorgersi, a scoprire. Cercheremo di farlo cominciando dal luogo in cui la liturgia si svolge.

 

La struttura della chiesa ortodossa

 Nel suo fondamentale scritto sulla liturgia, “La Mistagogia”, San Massimo il confessore ci insegna che uno degli aspetti fondamentali della liturgia è il simbolo. Il principio generale, infatti, ‘ è che la liturgia della Chiesa non è una semplice cerimonia. E’ invece il momento in cui cielo e terra si toccano. Un primo assaggio di quello che avverrà nella Gerusalemme celeste: l’unione di visibile ed invisibile, di Spirito e Materia, il compimento dell’opera iniziata con l’incarnazione. Come?  Certamente attraverso la Grazia operante tra i partecipanti, ma anche attraverso la struttura stessa della liturgia. Di questa il simbolo è una componente che rappresenta, sia per il fedele che per il celebrante, una finestra aperta sull’invisibile. Usando le parole di San Massimo, il sensibile, con il simbolo, si apre all’”intellegibile, ciò che vediamo con gli occhi del corpo, si apre a quello che si può vedere soltanto con l’Occhio del Cuore, perché è spirituale. A questo non sfugge l’edificio stesso della Chiesa. In un primo livello simbolico la struttura architettonica della Chiesa, richiama l’Uomo e Dio Gesù Cristo. L’altare, la parte più sacra del tempio, raffigura l’anima dell’uomo, mentre le mura che la contengono, il corpo. La forma della Chiesa richiama la forma dell’uomo. In base a questa struttura simbolica il sommo della chiesa è la Testa del Cristo poiché è lui che regge la cupola, il cielo. Poi vengono gli apostoli, che sono il collo, corrispondente alla giunzione tra abside e navata. Poi gli evangelisti che sono i pennacchi degli archi. Le feste sono invece rappresentate negli affreschi delle pareti laterali, in quanto corrisponderebbero alle parti laterali del corpo. Tuttavia questo approccio al simbolismo architettonico della Chiesa Ortodossa, forse non è il più importante. L’uomo infatti è considerato un microcosmo e capace di riflettere in sé tutto l’Universo, cioè il Macrocosmo. Questo approccio è contenuto nel testo patristico “Topografia Cristiana”, scritto nel VI° secolo dal monaco Cosma Indikopleustés. Questo non meraviglia, visto che, nella fede cristiana, il Salvatore “ricapitola in sé tutto l’universo” (Efesini 1,10).  Entrando in chiesa il credente viene introdotto alla storia della creazione, da Adamo in poi, attraverso gli affreschi, ed all’immagine dell’Universo.  La cupola, solitamente contenente un mosaico od un dipinto raffigurante il Cristo Pantocrator, sta a rappresentare il cielo. Le colonne che reggono la cupola non vengono interpretate come suoi sostegni, ma come “radici”, che dal cielo scendono sulla terra. Anche la cupola esterna appare stondata, diversamente dagli edifici latini dell’epoca delle cattedrali gotiche. Questo aspetto tondeggiante, come le colonne-radici del cielo, stanno a rappresentare la grazia di Dio, che scende simbolicamente sulla terra e sui fedeli raccolti in preghiera. E’ Dio che scende dal cielo, piuttosto che l’uomo a scalarlo, come a volte fanno pensare, le forme proiettate in alto delle guglie gotiche. Quindi l’iconostasi, vero e proprio confine tra visibile ed invisibile, con i suoi santi circonfusi di luce dorata. Essa ci ricorda la costante presenza, nel mondo visibile, di quello invisibile. Dal cielo traggono origine, in basso, sia l’uomo che il mondo. Pegno della vera vita, è la “Luce Increata”, che emana dall’oro delle icone di cui è ricca l’iconostasi. Di particolare importanza l’oro della aureola dei santi. Essa è dipinta con particolare cura e deve corrispondere, come dimensione, ad 1/10 o ad 1/8 del corpo del santo, ed a 1/100 della lunghezza della chiesa. Questa cura ci parla della sua importanza. Infatti, l’uomo divinizzato dalla santità, è colui che riceve e trasmette al mondo la Luce Divina.  Questo avviene simbolicamente anche nella struttura della Chiesa, dove le aureole dei santi della iconostasi, rappresentano una concentrazione particolare, un punto luminoso che si irradia in tutta la Chiesa. Riassumendo ci sono tre diversi livelli simbolici nell’edificio della Chiesa:

  • La Chiesa come Corpo del Dio incarnato
  • La Chiesa come Cosmo che abbraccia il cielo e la terra
  • La Chiesa come immagine del Regno di Dio, assumendo tutta l’immagine del Cielo e rappresentando “Il Cielo in Terra”.

 

La musica nella liturgia ortodossa

 Il canto nella liturgia è così importante che impegna un Ministero della Chiesa.  Infatti vi è una identificazione tra canto e preghiera, tra musica ed orazione.  Più precisamente essa viene considerata una Icona. La differenza sta solo nel fatto che in una si adoperano i colori e nell’altra le note. Il fatto poi che sia eseguita in coro, dà il senso dell’unità del corpo di Cristo, esattamente come l’atto di comunicarsi insieme. La musica, quindi nella liturgia Ortodossa, non è un abbellimento, ecco perché essa è interpretata esclusivamente dalla voce e non da strumenti. San Massimo il Confessore, diceva che proprio attraverso il canto gli angeli e le potenze incorporee parlano segretamente all’anima. Non stupisce allora come il canto abbia una tradizione millenaria. Esso risale alla proclamazione pubblica della bibbia che recava una serie di accenti che aiutavano a “cantillarla” (accenti ancora presenti nella versione ebraica dell’Antico Testamento). Oggi si continua questa tradizione, non solo con il canto dei salmi, ma anche con la proclamazione della Parola durante la liturgia. Il canto dei salmi è andato col tempo a strutturarsi nei tropari e nei Kontakia. Il termine Antifona invece andrebbe riservato a quelle parti della liturgia che prevedono due diversi cori. In ogni paese poi il canto liturgico ha preso una forma culturale propria. Tuttavia, se è vero che la musica varia da nazione a nazione, è vero anche che essa ha conservato in comune le caratteristiche basilari della musica sacra cristiana. Nell’area bizantina essa si basa su otto toni ed una sola voce, cioè non vi è un “controcanto”. Semmai è presente una voce fissa di accompagnamento, detta isokratima, molto bella, in genere somigliante ad un basso continuo. Essa contribuisce a far “sentire” la musica con il cuore. Quello che molti non sanno è che questa, come altre caratteristiche della musica ora chiamata bizantina, era presente già nel VII° ed VIII° secolo nella liturgia di Roma. La musica che oggi chiamiamo “Gregoriano”, tipica della cultura occidentale, ha in realtà preso la sua forma definitiva in Francia, e per la precisione nella città di Metz, in epoca medievale. Oggi gli storici hanno accertato che questa musica venne poi erroneamente attribuita a Gregorio Magno, che fu Papa a Roma, molti secoli prima, tra il 590 ed il 604. Alcune forme musicali originarie di Roma furono probabilmente conservate, ma nella Roma del VII° secolo, prima della invasione dei Franchi di Pipino il Breve e di Carlo Magno, molti testi liturgici erano scritti in Greco e cantati con forme che oggi vengono chiamate bizantine, compreso l’isokratima. Lo ha scoperto l’Ensamble Organum, famoso gruppo musicale specializzato in musica sacra, guidato dal Maestro Marcel Peres. Questi specialisti hanno trovato nelle biblioteche vaticane dei manoscritti antichissimi, datati appunto al VII° e VIII° secolo, e contenenti testi con notazione musicale. Grazie all’opera di questi musicisti oggi abbiamo una ricostruzione di quello che era il canto liturgico dell’antica Roma cristiana, e con sorpresa scopriamo che aveva molte similitudini con il canto che oggi si intona nelle chiese Greco-Ortodosse.  La cosa che colpisce è che l’Ensamble ha dovuto far ricorso ad un maestro del coro greco, specializzato in canto liturgico Bizantino, per poter incidere il disco che vi segnaliamo:

Chants de l’Eglise de Rome prodotto dalla Naxos e reperibile anche su Youtube:

https://www.youtube.com/watch?v=GoWy1V6GSyE&t=736s

Vi sono evidenti differenze col canto odierno, ma anche importanti similitudini, come il basso continuo, che confermano una sostanziale continuità di intenti. Soprattutto, ciò che accomuna tutta la musica liturgica Ortodossa è questo: non comunicare tanto una emozione “psicologica”, ma piuttosto preparare il cuore alla azione dello Spirito.

 

I testi liturgici

 Nella liturgia Greco-Ortodossa, i testi sono in greco, e quindi non sempre comprensibili per molti partecipanti di altre nazioni. In Russia, Romania, etc. naturalmente, essi rispecchiano la lingua locale. Le preghiere liturgiche sono molto belle, perché nascono tutte dalla Sacra Scrittura e ne svelano mille significati. E’ un modo di porgere la Parola al fedele, e di comunicargli lo Spirito che l’ha ispirata. Sono presenti riassunti della scrittura (parafrasi), ripetizioni, interpretazioni morali, con esortazioni, ed interpretazioni simboliche. Facciamo un esempio. Nell’”Apodipnon” del Martedì Santo troviamo:

“Tu pane della vita, o Gesù, mangi alla tavola di Simone il fariseo perché una meretrice, versando l’unguento profumato, guadagni la tua grazia che non si può comprare. Immonde sono le mie mani, labbra di meretrice sono le mie, impura la mia vita, corrotte le mie membra, ma tu perdonami e dammi la remissione! Così gridava la meretrice al Cristo. Stando ai tuoi piedi, o Salvatore, la donna versava l’unguento, riempiendo tutto di profumo, e riempiendo se stessa di profumo, il profumo del perdono concesso alle sue azioni. Dispongo di molti profumi, ma sono priva di virtù ti offro ciò che ho e tu dammi ciò che hai, perdonami, dammi la remissione! Così gridava la meretrice al Cristo. Il mio unguento è corruttibile, ma presso di te è il profumo della vita: il tuo nome infatti è unguento effuso su quanti sono degni.  Tu dunque perdonami, dammi la remissione! Così gridava la meretrice a Cristo.”

Si tratta di un commento al brano evangelico Luca 7, 36-50 in cui Gesù perdona una prostituta che gli profuma i piedi. Un passo molto famoso e riportato anche dagli altri Vangeli. Come si vede la Liturgia ne fa un commento in forma di riassunto, di interpretazione simbolica e morale, ed infine trasforma il brano in preghiera. E’ una vera e propria catechesi, rinforzata dalla musica. Si potrebbero portare molti altri esempi, ma evitiamo per non allungare troppo l’articolo. Quello che conta è dire questo: i testi della liturgia Ortodossa sono saldamente ancorati alla Sacra Scrittura.

 

L’azione liturgica

 Anche le azioni liturgiche, come gli abiti sacerdotali, assumono un valore simbolico che contribuisce a proiettarli fuori dal tempo. Intanto già lo stesso fedele che entra in Chiesa compie un gesto simbolico. L’allontanarsi dal chiasso del mondo esterno, per ritrovare la pace nel silenzio sacro della Chiesa, simboleggia il ritiro dell’anima dalle passioni esteriori ed un suo “rientrare” nell’intimo. Nel luogo del cuore, sede deputata all’incontro con la Parola di Dio.  Nella liturgia Eucaristica di San Giovanni Crisostomo, poi, si ha una azione liturgica caratterizzata da una processione denominata “Piccolo Ingresso”. Essa simboleggia l’entrata di Gesù a Gerusalemme. Tuttavia è possibile coglierne un altro piano simbolico. Gesù, rappresentato simbolicamente dal sacerdote, conduce il fedele alla conoscenza attraverso il libro del vangelo che viene tenuto in alto e mostrato. Egli è preceduto da un accolito, che porta una candela accesa a rappresentare San Giovanni Battista, che appunto precede ed annuncia l’arrivo del Cristo.  Il Piccolo Ingresso è una iniziazione alla conoscenza divina. Il Secondo, o “Grande Ingresso”, invece, rappresenta Gesù che va verso il Golgota, il luogo del sacrificio.

 

Conclusioni

 Nella liturgia Ortodossa l’invisibile entra nel visibile. Cielo e terra si uniscono, ed il tempo e lo spazio vengono trasfigurati in tempo e spazio liturgico. Il suo senso profondo è dunque quello colto dagli emissari del Principe Vladimir. Con la liturgia il fedele viene fatto partecipe di una sospensione del tempo, in cui l’Eterno entra nel secolo, nel tempo, santificandolo.  In questa nuova condizione tutto favorisce l’azione dello Spirito Santo sui partecipanti: l’architettura, le icone, la musica i testi liturgici. Tutto ciò opera. Opera silenziosamente in tutti i presenti. Sia in chi “sente”, sia in chi non sente. Piuttosto chi ha ricevuto per qualche occasione, la grazia di percepire l’opera della Grazia Divina, aiuta gli altri, raccontando la propria esperienza. Aiuta a comprendere che la liturgia agisce. Essa tocca il cuore trasformandolo. Il cuore di tutti. Di chi sente e di chi non sente. E molti, moltissimi sono i benefici spirituali di queste segrete visite al cuore.

 

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nella sezione audio vi sono 2 esempi di canto liturgico del monte Athos e una intera liturgia vespertina in rito Siriaco

 

Bibliografia

Hieromonk Gregorios. The Divine Liturgy – Ed. Cell of St John Theologian Koutloumousiou Monastery (Mount Athos)

Andrej Sinjavskij. Il tempio Ortodosso figura dell’universo – Ed. Centro Russia Ecumenica