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L’inno alla croce di San Paolo

“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Filippesi 2,5-11).

In questo meraviglioso inno, San Paolo ci regala una profonda quanto semplice teologia della croce e della salvezza.

Egli risponde efficacemente alla domanda: perché la croce?

E lo fa precisamente con questo versetto:

“…umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato…”.

Il peccato ancestrale, il peccato di Adamo ed Eva, era appunto stato un peccato di disobbedienza. I nostri progenitori avevano l’ordine di non mangiare i frutti dell’albero del bene e del male, ma disobbedirono. Su inganno del serpente mangiarono i frutti proibiti dal Signore. Lo fecero per diventare “come Dio”. Abbiamo i due poli: disobbedienza e vanagloria. Cristo invece obbedì umiliandosi e pur essendo Dio obbedì morendo come un uomo. Obbedienza ed umiltà. Ecco la trasformazione. Dall’ uomo che vuole essere Dio al Dio che diventa uomo fino a morire come tale.  Poiché l’uomo non era capace di pentimento, del pentimento vero, quello che determina un forte e solido cambiamento nel comportamento, ecco che il Dio della Misericordia si è incarnato. Si è fatto lui uomo umiliando se stesso. Ha assunto tutta l’umanità. Corpo, intelligenza, parola, volontà. Vero Dio e vero uomo. In tutto. Per fare cosa? Per portare l’umanità così assunta al pentimento vero. Quello che passa dall’essere disobbediente sognando di diventare Dio, all’essere obbediente, fino a morire come uomo.  La croce allora è diventata l’albero della vita, l’altro albero presente nel giardino di Eden. Non più quello della conoscenza ma quello della vita eterna. Dunque la salvezza non viene dal dolore in sé. Cristo non ha pagato col dolore la colpa. Questo lo fanno i pagani con i demoni. No, Cristo ci ha salvati con l’obbedienza, una obbedienza così profonda da accettare per essa il terribile dolore della croce. Una obbedienza che è vero e reale pentimento, cambiamento radicale del comportamento.

Lo ha fatto Lui per noi, caricandosi della nostra carne, della nostra umanità. Questo è l’Amore con la A maiuscola. Un Amore divino. Vero. Profondo.

 

L’obbedienza è il segreto della purezza

Il nocciolo della salvezza, l’obbedienza, è vero anche per noi oggi. Obbedire a Dio. Obbedire ai suoi comandamenti. Obbedire a chi Lui ci chiede di obbedire. Ai nostri doveri. Ai nostri superiori. Ai nostri familiari e, nel lavoro, perfino ai nostri clienti o ai nostri assistiti. Perché? Perché l’obbedienza è il segreto della purezza. L’obbedienza è il segreto del pentimento.

I monaci di tutte le epoche ci hanno insegnato il valore del “Penthos”: le lacrime di pentimento sono un nuovo battesimo, esse purificano il cuore e lo rendono di nuovo di carne.  E poi cambiare comportamento. Radicalmente. Cambiare pensiero. Cambiare le azioni. Convertirsi.

Teofane il recluso meditando sulla croce ci offre una interessante interpretazione spirituale. Egli fa notare come subito dopo la morte di Gesù, si squarci il velo del tempio. San Teofane fa allora un parallelismo: il tempio del cristiano non è più quello di Gerusalemme, ma il proprio corpo, tempio dello Spirito Santo. Il cuore ne rappresenta il “Sancta Santorum”, cioè la parte più segreta. Esattamente come quella che era nel tempio di pietra, quella in cui solo il Gran Sacerdote poteva entrare. Anche in questa parte intima e segreta di noi stessi è presente un velo. Un velo che impedisce persino a noi stessi di penetrare nelle nostre più profonde intimità. Ebbene, la croce di Cristo squarcia anche il nostro velo. È proprio quello che succede quando torniamo all’obbedienza pentendoci. Il velo delle nostre più profonde intimità si squarcia ed il Signore entra portando la gioia dello Spirito. La gioia! La gioia è il frutto più naturale, più ovvio e più santo del pentimento.

 

Convertirci per tornare alla gioia

Quante volte ci sentiamo tristi, abbandonati, oppure vuoti, scarichi senza quella gioia, che dovrebbe accompagnare sempre un cristiano. Il pentimento e la conversione sono la nostra medicina. Sono l’insegnamento della Croce.

In greco la conversione si indica con la parola “metanoia”. Da “Meta-nous”. Oltre il pensiero. Cambiare pensiero. Infatti, la conversione dal peccato consiste proprio nel rendersi conto che una cosa che noi credevamo giusta è invece sbagliata. Non riguarda tanto le nostre debolezze. Sappiamo tutti che non dovremmo arrabbiarci, ma succede e ce ne pentiamo. Si, d’accordo, ma questa non è conversione. Semmai si prendono le distanze dalla nostra debolezza. No. Convertirsi comporta proprio il cambiare idee, pensiero. Smettere di autogiustificarci. Facciamo alcuni esempi. Di questi tempi va di moda scaricare gratis da siti pirata, film e musica. In realtà stiamo rubando. Ci giustifichiamo con un pensiero: lo fanno tutti, questi guadagnano fior di quattrini e non diventeranno poveri per causa mia, oppure non è giusto pagare, l’arte è di tutti. E via discorrendo. Lo stesso facciamo con i libri. Se sono ancora in commercio, le loro fotocopie a minor costo, sono un furto. Ma noi ci giustifichiamo. Cambiare pensiero vuol dire rimuovere queste giustificazioni e comportarsi onestamente. Comprarsi il libro, il film ed il disco. E pagare così giustamente l’autore. Lo stesso vale per le COLF (collaboratrici domestiche), o per le badanti. Non si mettono in regola, perché? La giustificazione: non ho soldi, mi costa troppo, non sopporto la burocrazia, non so dove andare, etc. e chi più ne ha ne metta. Sono giustificazioni molto frequenti, per un peccato grave. Cosa c’è di più ripugnante dell’approfittarsi della povera gente. Sono soldi sottratti alla loro pensione e spesso, a causa dei mancati versamenti, la COLF o la badante in questione non può nemmeno usufruire dell’assistenza sanitaria. Convertirsi vuol dire anche in questo caso cambiare idee, cambiare pensiero. Smettere con le giustificazioni e mettere tutto in regola.

Col pentimento Il velo si squarcerà e il Signore entrerà portando la Sua gioia.

 

Conclusioni

La croce ci invita a trovare la gioia del pentimento e della conversione. Ci invita a rimescolare le carte, a trovare il nostro pensiero sbagliato. A cercare quelle autogiustificazioni che ci assolvono dalle nostre trasgressioni, dalle nostre violazioni dei comandamenti del Signore e dalle regole stabilite dallo stato e dalle aziende, per il regolare funzionamento della società. E siamone certi. Dopo la croce c’è la gioia e c’è la resurrezione.

 

BIBLIOGRAFIA

Thomas Spidlik, La Doctrine Spirituelle de Theophane le reclus, Pontificium Institutum Orientalium studentorum ; 1965.