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Premessa: la differenza del contesto

Certamente si sta parlando di due vocazioni molto diverse. Il monaco si allontana dal chiasso del mondo, e sceglie una vita di povertà, castità ed obbedienza. Il laico chiamato ad una dedizione totale al Signore raccoglie la sfida degli affanni legati al lavoro ed alla famiglia, per superarli con l’aiuto della grazia. Sono due vocazioni di pari dignità, come tutte le vocazioni della Chiesa come molto chiaramente ammonisce San Paolo in 1 Cor 12,12-30. Tuttavia il contesto in cui si svolgono, determina due possibili e diversi orientamenti spirituali. Il laico tende, per forza di cose, a fare i conti con innumerevoli stimoli esterni, che deve imparare a gestire. Questo lo porta ab sviluppare una maggiore attenzione agli eventi esterni. Il pensiero e l’interiorità, sono presenti, ovviamente, come l’importanza data al cuore. Questa dimensione però, pur viva, sembra a tratti cedere il passo all’irrompere delle esigenze, poste dalle responsabilità del lavoro e della famiglia. Allo stesso modo paiono comportarsi le tentazioni. Pur non mancando di tentazioni interiori, il laico viene spesso turbato da contrasti ed affanni che sorgono in famiglia o nel lavoro. Per il monaco si verificano condizioni diverse, quasi opposte. La riduzione drastica degli affari mondani determina un prevalere di preoccupazioni e di tentazioni interiori. Sono due mondi che in realtà si sovrappongono ma solo in parte. Aspetti importanti sembrano differire, e caratterizzare le due vocazioni in due direzioni opposte. La domanda che allora ci poniamo è la seguente: l’esperienza monastica, ed in particolare quella Athonita, può incidere in qualche modo nella spiritualità del laico con vocazione religiosa? E se si, in che misura ed in quale modo?

 

A – IL CUORE DELLA SPIRITUALITÀ DELL’ATHOS

 

Dove nasce la Vigilanza o Nepsis

Per cercare di comprendere la vita interiore dei monaci della Santa Montagna, proponiamo di riflettere sul senso spirituale del seguente versetto del Vangelo di Matteo (Mt 10,34):

Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada”.

Il testo prosegue spiegando che l’annuncio della Parola genererà dissensi, anche all’interno delle famiglie. Ma se si trattasse solo di dissenso perché il termine “Spada”? Sulla scia di Antonio il Grande, i monaci Athoniti sembrano vivere questo versetto, partecipando attivamente allo schieramento di un grande esercito spirituale. La veste del monaco andrebbe forse vista come la metafora di una speciale divisa militare. Con la spada del Vangelo a cui conformano ogni minuto della loro vita i monaci, infatti, combattono una battaglia invisibile contro l’esercito del Male. Stiamo esagerando? No. Seguiamo un percorso a tappe, per entrare dentro a questa metafora con una maggiore consapevolezza. La prima, indispensabile tappa è costituita dalla presa di coscienza della nostra reale condizione. Da una parte non possiamo che ringraziare il Signore per il bene che ci ha fatto e che ci fa, davanti ad una creazione semplicemente meravigliosa. Le stelle, il cielo azzurro, le montagne, gli alberi, il mare, la luna, gli animali, tutto è semplicemente meraviglioso. Basta solo fermarci un attimo a guardare. E le opere dell’intelligenza dell’uomo, non offuscano la creazione, ma la arricchiscono. Come non stupirci di fronte ai palazzi costruiti con sapienza nelle nostre città. Come non stupirci per le macchine con la loro complessità, per le strade, per le opere d’arte, per la musica. Dovremmo lodare e ringraziare il Signore tutti i giorni per questi doni dia cui siamo circondati. Tuttavia la nostra vita si svolge anche nella prova. Ce lo dice il salmista nel salmo 34 (Versione dei 70 e 35 nella versione C.E.I.), versetti 2-8: “Afferra scudo e corazza
e sorgi in mio aiuto.

Impugna lancia e scure contro chi mi insegue;
dimmi: «Sono io la tua salvezza».

Siano svergognati e confusi
quanti attentano alla mia vita;
retrocedano e siano umiliati
quanti tramano la mia sventura.

Siano come pula al vento
e l’angelo del Signore li disperda;

la loro strada sia buia e scivolosa
quando l’angelo del Signore li insegue.

Poiché senza motivo mi hanno teso una rete,
senza motivo mi hanno scavato una fossa.

Li colga una rovina improvvisa,
li catturi la rete che hanno teso
e nella rovina siano travolti”.

Nel versetto 3 la versione dei 70 riporta: Sfodera la spada” e non “impugna la lancia”, molto significativamente.

Ancora nel salmo 55,6-7 (56 nella versione C.E.I.):

“tutto il giorno mi perseguitano i miei nemici,
numerosi sono quelli che dall’alto mi combattono….Travisano tutto il giorno le mie parole,
ogni loro progetto su di me è per il male.

Congiurano, tendono insidie,
spiano i miei passi, per attentare alla mia vita”.

 

I Salmi sono molto ricchi di espressioni di questo genere.  La loro frequenza è tale da indurre ad una seria riflessione sul loro senso Spirituale. I Padri ci soccorrono, ricordandoci che dopo il peccato ancestrale, l’umanità è decaduta ed abita lo stesso luogo abitato anche dagli Angeli Caduti, cioè, dagli Spiriti Maligni.  Il Signore non ha permesso che noi li si possa vedere, per fortuna. Per il nostro bene, perché ci spaventerebbero molto. Tuttavia ha permesso che, come accaduto a Giobbe, essi ci mettessero alla prova con innumerevoli tentazioni. Il loro odio nei nostri confronti, è l’odio del nemico. Noi quindi avvertiamo la loro presenza a causa dei “logoi”, cioè di quei pensieri parassiti, che facendo leva sulle nostre passioni, ci spingono al male. Per meglio renderci conto della loro esistenza, possiamo pensare alle onde elettromagnetiche. Noi non le vediamo, ma ne possiamo percepire gli effetti accendendo la TV. Se noi non credessimo alla esistenza delle onde elettromagnetiche, dovremmo credere che dentro lo schermo della TV esistano degli omini e delle donnine che ci intrattengono, quando la accendiamo. Ovviamente non è così. Dagli effetti consideriamo che le onde elettromagnetiche esistono e sono una realtà. Allo stesso modo, i monaci e tutti coloro che si sono dedicati almeno un po’ al silenzio ed alla preghiera, ci aiutano a scoprire dentro il nostro fluire della mente, certi pensieri particolari, che si presentano talvolta associati ad immagini, e che si caratterizzano per risvegliare ed accendere delle emozioni. Queste emozioni vengono chiamate dai Padri passioni. Il legame tra pensiero-immagine e passione, ed emozioni, provoca la tendenza a scegliere il male, mettendo da parte la ragione. Questo ci fa commettere errori e peccati. Considerasti questi effetti distruttivi, i Padri e fra tutti Sant’Antonio, e con loro i Monaci dell’Athos, ritengono che queste tentazioni dimostrino l’esistenza di entità maligne, non visibili, ma impegnate continuamente ad immettere nella nostra mente pensieri ed immagini contrari al nostro bene spirituale. Si tratta di arrenderci di fronte al fatto che

NON TUTTI I PENSIERI SONO NOSTRI

Alcuni sono degli Angeli custodi e sono volti al bene, altre sono effettivamente nostre riflessioni, altri sono “Logismoi”, pensieri ed immagini ispirate dagli spiriti decaduti. La presenza di Logismoi o tentazioni è continua, per cui, chi ne è consapevole grida al cielo implorando aiuto. La “Vigilanza” e la lotta contro i pensieri ispirati dagli Spiriti Malvagi, si chiama “Nepsis”. Da questo vocabolo proviene l’attributo di “Neptici” ai Padri, i cui scritti sono raccolti nella Filocalia, punto di riferimento di tutti i monaci dell’Athos.

La lotta contro gli spiriti malvagi, con la spada del Sacro Nome di Gesù, dei sacramenti, della Ascesi e di tutta la loro vita, è il cuore della Spiritualità Athonita. Non si può comprendere lo spirito della Santa Montagna, se ci si rifiuta di credere ai Demoni ed alla loro presenza nella nostra vita.

 

La purificazione del cuore

 Al Salmo 87,9 (88 nella versione C.E.I.) il salmista esclama:

“Sono prigioniero senza scampo”. Ma nel famoso capitolo messianico del Profeta Isaia, l’avvento di Cristo è così descritto:

” ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre” (Isaia 42,6-7).

Ed il Vangelo di Giovanni conferma: “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Giovanni 8,36).

Si tratta quindi di prendere coscienza di una condizione alquanto dolorosa: siamo prigionieri. Siamo reclusi in una prigione fatta di emozioni. Non solo, ma ogni momento i nostri secondini si prendono gioco di noi, ci mostrano come esche ai pesci, immagini e pensieri con i quali ci manipolano, facendoci fare quello che a loro piace. La comprensione della spiritualità athonita parte da qui. Dalla necessità di una liberazione interiore, che si conquista con la Spada della Preghiera e del digiuno, con la liturgia, l’ascèsi e i sacramenti. Con l’arma dell’Umiltà che rende degno il monaco della Grazia liberatrice. Questo il senso di un combattimento che il “soldato” dell’Athos combatte nell’esercito della Chiesa per contrastare il regno di Satana. Si tratta di una “battaglia nascosta, invisibile”, come recita il titolo del celebre libro di Nicodemo Aghiorita, Padre della Chiesa e della Santa Montagna. Una guerra ordinata non solo a sé stesso ma al bene di tutta la Chiesa.

 

Il “Nous”, la ragione e la guarigione dell’anima

Ma come avviene la liberazione? Dobbiamo pensare che ciò che attanaglia il cuore è la saldatura tra pensiero e passione, tra immagine ed emozione. Nel momento in cui l’immagine turpe ci viene offerta dallo spirito maligno che ci tenta, nulla accadrebbe se noi fossimo capaci di trattenere l’emozione ed il desiderio conseguente. Quando questo non avviene, iniziamo a giocherellare con l’immagine ma poi, se non ci stiamo attenti, iniziamo a desiderare. E’ avvenuta una unione tra immagine e desiderio, tra immagine ed emozione. A questo punto la ragione è offuscata e se non interveniamo subito con la preghiera, passiamo all’atto e pecchiamo. Questa procedura è adottata dagli spiriti decaduti un po’ per tutte le passioni. Ma la sede principale dell’oscuramento è quell’organo superiore dell’anima, che i monaci chiamano “Nous”.  Ma cosa è il Nous? Come avviene questo oscuramento? Per comprenderlo useremo come metafora, il ruolo dei cosiddetti “Postulati” nella geometria. Attenzione, non stiamo dicendo che il Nous sono i Postulati. Stiamo usando una metafora, un esempio per riuscire a meglio comunicare. Nella geometria sviluppata da Euclide, nulla si può fare se non si stabilisce, prima di tutto, che due rette parallele non si incontrano mai. Che tra due punti passa una e una sola linea retta. Se non diciamo che da qualunque punto si può condurre una linea ad ogni altro punto. Che tutti gli angoli retti sono uguali. Solo se accettiamo queste ed altre affermazioni chiamate postulati, possiamo costruire la geometria di cui tutti si servono. Ora con il “Nous” avviene qualcosa di simile. Non possiamo pregare veramente se l’Occhio dell’Anima, il “Nous”non percepisce  spiritualmente la Presenza di Dio. Recitiamo delle preghiere, questo sì, ma non ci possiamo rivolgere ad un Dio che crediamo presente ed in ascolto delle nostre preghiere.  Non riusciamo a cogliere la bellezza di un insetto, che magari ci fa ribrezzo, se il “Nous” non ne coglie la perfezione. Non riusciamo a sopportare una lunga liturgia, se il “Nous” non percepisce invisibilmente lo Spirito Santo che la anima. La fede stessa non è una convinzione. Non è una idea di Dio. Non è accettare il fatto che esista un Dio. La Fede consiste nel percepire misteriosamente e spiritualmente con il Nous, la Presenza di Dio.  Il “Nous” è il nostro “Senso Spirituale”, il nostro Occhio interiore. E’ la parte superiore del Cuore ed il centro della nostra Anima e della nostra personalità. Se il nostro Occhio interiore è oscurato “….anche il tuo corpo sarà nelle tenebre” (Mt 6,22-23). Questo è quindi il senso della purificazione del cuore e di conseguenza, del Nous. Rendere pulito il Nous! Renderlo trasparente alla luce Divina, perché essa illumini Anima e Corpo.  Esso infatti è la Lampada dell’uomo (Lc11,33-54). Questo è il segreto della Santità e della stessa vocazione monastica.

  

“Prega il Padre Tuo nel segreto”

 “Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt6,6). Il laico, sia pure con una seria vocazione religiosa, non è un monaco. A parte la frequenza alla liturgia della parrocchia, la preghiera in coro per molte ore al giorno, non le si addice. Il primo percorso Spirituale per diventare un combattente di Cristo e purificare il cuore, è quello che consiste nello sviluppo di un solido e consistente rapporto personale con Dio. Un rapporto che si alimenta, a partire dai sacramenti, attraverso la preghiera personale ed individuale. Dice infatti il Signore:” entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo”. Per il laico il momento comunitario principale è quello della liturgia Eucaristica Domenicale. Poi per lui, al posto del coro monastico c’è la camera. Chiusa la porta. Da soli, perché dice “nella tua camera”. E senza lunghe preghiere. Nel silenzio della adorazione. Nella recitazione della Preghiera di Gesù. Nella meditazione e nella lettura dei Padri e della Scrittura. Da soli a soli con il Signore. Con il Maestro. Si potrebbe dire che Marta e Maria rappresentino le due anime della vocazione del laico. Se si è nel mondo, infatti, si è necessariamente presi “dai molti servizi” come dice Gesù a Marta. Ma il Signore stesso ci esorta, lodando Maria, a non dimenticare “la parte migliore”. La preghiera. Il rapporto personale con Dio. Il momento di intimità con Dio, che non solo non deve mancare, ma deve essere l’anima della giornata del laico. Il suo motore principale. Il suo ispiratore. Tutta la giornata deve essere ricondotta a quel momento cruciale. Alla ”parte migliore”. Là nella nostra camera si potrà sviluppare appieno quella interiorità che è il nocciolo della vita spirituale dell’Athos. Là, si potrà riflettere sui nostri pensieri malvagi per combatterli con la preghiera. Là ringrazieremo il Signore per le tribolazioni purificatrici, che abbiamo incontrato nella giornata. Là potremo parlare col Maestro. Confidarci. Anche discuterci, se necessario. Ma con Lui. Soltanto con Lui. Ai piedi di Lui. Vivere la fede come “esperienza spirituale”, come “Divina Presenza” e comunicare agli altri l’importanza di questi momenti nella giornata. Trasmettere l’importanza di questo solo a solo con Dio. Fare apostolato, per il laico molto più che per il Prete, dovrebbe forse consistere soprattutto in questo: far conoscere l’importanza del rapporto personale con Dio per tutti i Cristiani. Far conoscere e promuoverne l’adozione pratica.

 

 

BDALLA PREGHIERA ALLA VITA QUOTIDIANA

 

Alcune precisazioni indispensabili

 Raccomandare di pregare non è una cosa nuova. Molte congregazioni religiose cattoliche strutturano la loro vita, tra preghiera e servizio. D’altra parte neanche vogliamo suggerire qualcosa di “nuovo”. Tuttavia la lunga esperienza vissuta a contatto con esperienze spirituali di “vita mista”, cosiddette, “attive e contemplative”, porta chi scrive a fare delle doverose distinzioni.

  1. Pregare per portare Cristo agli altri. Si tratta di un adagio molto comune in ambienti cattolici. Si vorrebbe pregare per “riempirsi” e portare poi il Signore al prossimo. Si invocano le due braccia della Croce, che sono appunto uno orizzontale e l’altro verticale. Eppure tutto ciò tradisce la vera origine di queste scelte di “vita”. Sembra mancare l’umiltà, che, intendiamoci, viene sempre invocata. Ma pensare di “Portare Dio agli altri” rappresenta davvero un’idea piuttosto presuntuosa. Anzi, forse è detto meglio superba. Tradisce infatti un sentimento di superiorità. Io sono buono. Io ho Cristo. Gli altri non ne hanno o ne hanno poco. Glielo porto io. Questi gli inevitabili presupposti che il linguaggio usato tradisce impietosamente. E’ doloroso constatare come persone semplici e buone, sincere ed in buona fede, vengano istruite con questo genere di slogan, che tradiscono in definitiva più un ideale che una vera fede. Ci si conforma ad un bellissimo ideale d’amore. E questo fa scivolare inavvertitamente verso il fariseismo. “Io mi sono dato al Signore, voglio servire il Signore” quindi sono buono. Non come gli altri che neanche vanno a messa. E’ terribile ma è così, e non potrà essere che così, finche la fede non diventa una reale esperienza. Una esperienza che, oltre ai sacramenti, soltanto una preghiera profonda può garantire. Vedere gli altri come bisognosi di noi, va contro tutta la Spiritualità dei Padri. In particolare dei Padri del Deserto, che vedevano l’umiltà dipinta in un altro modo.  E soprattutto dimostra scarsa conoscenza di sé stessi. Il dono dell’umiltà, che proviene da un autentico incontro con il Signore, porta ad una profonda conoscenza di sé stessi e dei propri limiti. Questo è letteralmente incompatibile col sentirsi buoni. Che gli altri possano, in qualche modo, ricevere da noi è affare della Grazia, non nostro. Ci pensa il Signore, che non sa che farsene dei nostri programmi altisonanti. E noi non siamo chiamati a preoccuparcene.
  2. Il Cristiano dà l’esempio agli altri. Anche questo tradisce il tipico orgoglio che proviene da un ideale, da un “magnifico ideale”. Fino agli anni 80, a chi si iscriveva al Partito Comunista, si diceva che nel proprio ambiente avrebbe dovuto essere il “migliore” Egli sarebbe stato tenuto a “dare l’esempio”. Del resto il famoso dirigente del PCI, Palmiro Togliatti, era chiamato, appunto, “il Migliore”. Difficilmente si sbaglia se si constata che il proporsi come esempio deriva dalla necessità di proporre a sé stesso ed agli altri l’adeguamento ad un modello. Quindi un ideale. Naturalmente a parole tutto viene negato. “No figurati, la fede non è un ideale” etc. Ma la realtà è quella. Non ce ne accorgiamo, ma finiamo indottrinati.
  3. Donare sé stessi agli altri. Pregare per trovare quella motivazione, quella carica che consente di “donarsi agli altri”. Apparentemente cosa lodevole. Ma anche qui fa capolino l’ideologia, perché come ormai spesso succede, si confonde carità con misericordia. La fede Cristiana ci chiede di dare prima di tutto noi stessi a Dio. La Carità consiste nell’amare Dio prima di tutto, e poi gli altri per amor di Dio. E’ a Dio che ci si dona, con la sua Grazia. Il primo comandamento ci chiede di amarlo con tutti noi stessi. Gli “altri” non sono Dio, ma si amano per amore verso di Lui.
  4. Il lavoro è preghiera. Non è vero. Se davvero il lavoro in sé fosse preghiera Stachanov sarebbe diventato un santo. L’esperienza concreta di tutti è che molto lavoro inaridisce ed allontana dalla Chiesa. Rende nervosi, irritabili ed impazienti. Non sono i classici frutti della preghiera prolungata. In realtà chi non ha voglia di pregare, si inventa questa scusa. E quel che è peggio ne fa una teoria danneggiando gli altri.

 

 

Sviluppare l’attenzione spirituale

 Il laico immerso nella società, con le sue contraddizioni ed i suoi problemi, ha forse più necessità del monaco di armarsi della vigilanza e della attenzione. I continui stimoli esterni, le subentranti preoccupazioni, gli affanni, le lusinghe del mondo, rappresentano un terreno di sfida per colui che, pur vivendo nelle città o nei paesi, accetta di vivere con radicalità la propria fede. La “Nepsis” tanto cara ai monaci dell’ Athos,  diventa dunque una medicina quasi obbligata, uno strumento di difesa indispensabile, per mantenere la propria concentrazione in Dio. Dunque grande importanza della attenzione. Educare l’ attenzione. Portare l’attenzione con diligenza sulle azioni da compiere, sulle parole da pronunciare e soprattutto sul fluire dei pensieri. Lasciarsi educare dalla Chiesa, che ci protegge dalla dispersione, proponendo opportunamente il calendario liturgico. Vero richiamo quotidiano, con le feste dei santi e le ricorrenze dell’anno, al mondo invisibile del Regno. Un mondo che diventa così presente nella nostra quotidianità.

 

Purificare l’intenzione

Liberarsi della ideologia degli “altri”, è un primo passo per trovare l’umiltà. Essa consiste nel conoscere sé stessi e quindi anche le vere intenzioni che animano il nostro servizio, che sia lavoro o volontariato. A questo scopo è predisposta la preghiera di Gesù, che ci può accompagnare durante le attività quotidiane e durante gli spostamenti. Rispetto al monaco Athonita il lavoro spirituale del laico, si sposta dal pensiero “puro”, a quello che genera una azione. Grazie ad una seria e costante applicazione alla Preghiera di Gesù, possiamo conoscere meglio, come le nostre passioni inquinano le nostre azioni. Purificare il servizio permette non solo un migliore risultato, ma anche la trasfigurazione del suo valore. Infatti se oltre all’effetto materiale, cominciamo a guardare l’intento, e  lo  miglioriamo, produciamo un valore eterno. Uniamo alla azione lo Spirito, ed iniziamo ad operare come mediatori nei confronti della Creazione, che in Genesi 1,28, ci è stata affidata. Mediatori nell’ambito di quel progetto di completamento dell’opera creatrice di Dio, che vedrà la redenzione anche del creato. Quindi ripetiamo. Si tratta di apprendere lo Spirito della Santa Montagna che ci suggerisce la Vigilanza, la Nepsis sui pensieri, così da eliminare i pensieri malvagi e purificare il Cuore. Si tratta di accogliere questo insegnamento e di trasferirlo ANCHE sull’operato del nostro servizio. Lo scopo è quello di purificare l’intenzione con cui lo svolgiamo, per santificare le nostre azioni e renderle utili spiritualmente all’avvento del Regno.

 

Passare dalla testa al cuore per trasformare la nostra vita in una liturgia

La pratica assidua trasforma la preghiera di Gesù in preghiera del cuore. Il segno fondamentale è il calore del cuore prolungato. Dove per calore intendiamo un sentimento profondo di Amore per Dio. Esso si esprime come un gemito e dà gioia. Il “Calore” del cuore durante le operazioni del nostro servizio, della vita familiare, degli spostamenti in città o fuori, è da considerarsi come un fuoco spirituale che brucia le nostre opere offrendole a Dio, con “profumo di soave odore”. Esso brucia l’offerta della nostra vita al Signore, per il mondo. Se i monaci dell’Athos sono chiamati alla preghiera comune in coro, per il mondo, i laici sono chiamati ad offrire il loro operato nel mondo a tutti i livelli. Un cuore che arde di amore per Dio realizza questa offerta, dando vita al vero sacerdozio del laico, ben diverso da quello di marca protestante. Si tratta di una offerta che si intreccia con la purificazione della intenzione.

 

Liturgia e lavoro

Il laico con vocazione religiosa sente di offrire al Signore ogni minuto della sua vita. Questa sensibilità può sfociare in una attenzione diversa ai gesti quotidiani che si compiono durante l’attività lavorativa. La vocazione ad essere mediatore con il creato, può generare una attenzione particolare al tempo. Per il credente tempo ed eternità si intersecano in più occasioni. Tra esse i momenti liturgici, in cui il simbolo, come ricorda Massimo il Confessore nella Mistagogia, rappresenta una finestra sull’invisibile. Ecco allora che alcuni gesti banali, vissuti comunemente nella vita di tutti i giorni, possono diventare simboli e quindi  occasione di un atto liturgico. E l’atto liturgico, per sua definizione, corrisponde ad una irruzione dell’Eterno nel tempo. Corrisponde ad una trasformazione e ad una santificazione del tempo. Per esempio, in molti lavori si accolgono clienti, pazienti, cittadini, aprendo la porta. L’apertura della porta può, simbolicamente, rappresentare la nostra accoglienza. Ci si può preparare prima farlo. Lo si può fare con concentrazione, pregando, sorridendo, guardando benevolmente l’interlocutore. Il gesto di aprire la porta è il gesto profondo della ospitalità. Ospitiamo delle persone inviate da Dio. Molti sono gli episodi biblici in cui al centro troviamo l’ospitalità. Ricordiamo prima di tutto l’episodio di Abramo alla quercia di Mambre. “Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria” (Salmo 23,24 C.E.I.,9-10), così recita il salmo 23. Aprendo la porta apriamo il nostro cuore a chi viene. Ma in quel momento, quel gesto fatto in quel modo, con quella intensità, realizza una unione misteriosa tra il tempo che stiamo vivendo e la dimensione eterna della Bibbia. Anche questo è un modo di impetrare la futura unione tra Spirito e Materia. Si tratta di qualcosa che si presenta già, nella atmosfera della liturgia e del simbolo, ma che ancora non c’è.  Già e non ancora. (1Pietro, 9-10).

 

In cammino verso l’”Esichia”

Il silenzio e la quiete della mente (Esichia), vengono perseguiti dal monaco dell’Athos nella vita solitaria. In una condizione di solitudine estrema, a cui la grazia lo conduce. Un grande maestro della vita eremitica, Isacco di Ninive, ricorda però, che il silenzio e la solitudine alla presenza di Dio, si possono cercare anche per periodi limitati. Anche per un’ora durante la giornata. Certamente non è la stessa condizione del solitario che si nasconde a tutto ed a tutti. Tuttavia è proprio nella solitudine con Dio, che nasce una delle basi fondamentali della nostra fede. Il rapporto personale con Dio. E’ il silenzio adorante delle prime ore della giornata. Sono le ore dell’aurora e dell’alba, le più preziose per la preghiera. Si può allora descrivere un itinerario di maturazione della Esichia anche per i laici. Ovviamente non si tratta di un isolamento prolungato dal mondo, la cui pienezza non può essere vissuta da tutti. E’ però un percorso di maturazione, che vede crescere, nel silenzio, il sentimento della Divina Presenza. Quali sono le tappe e le caratteristiche di questo percorso? Potremmo riassumerle con un aforisma

 

Impara ad ascoltare l’uomo che vedi e comincerai ad ascoltare Dio che non vedi”

 

E’ un paradosso, ma se ci si pensa bene, si troverà che è così. E’ così perché il silenzio e la solitudine della Esichia, non sono nulla senza il dono di una forte Presenza di Dio. Un dono che si comincia a conquistare, paradossalmente, in compagnia e non da soli. E’ dunque l’ascolto il segreto della Esichia del Laico. Imparare ad ascoltare. Imparare a tacere e a lasciar parlare gli altri. Dare a loro la nostra più sincera attenzione e la nostra comprensiva amicizia. Questa la prima tappa. Col tempo, l’esercizio della solitudine notturna e mattutina, si arricchirà di un sentimento sempre più forte della Divina Presenza. La Grazia troverà un terreno sempre più adatto, per la sua Opera.

 

C – L’AMORE PER LA VERITA’

 

Proclamare la Verità nella Chiesa

Se è vero che la vigilanza finalizzata alla purezza del cuore, rappresenta il centro della spiritualità athonita, è vero anche che grande importanza viene data da tutti i monaci, alla rettitudine teologica ed alla fedeltà al dettato dei padri. Il motivo è molto semplice. E’ chiaro a tutti che la Teologia influenza la Spiritualità, e quindi il buon risultato della nostra ricerca di santità.  Gli esempi pratici di questo principio sono innumerevoli ed hanno punteggiato tutta la storia del cristianesimo. Basti pensare ad uno dei nodi della differenza tra Cattolicesimo Romano ed Ortodossia: la possibilità di percepire le energie divine. Nella Dottrina Ortodossa questo è possibile, nel Cattolicesimo, no. Nel primo caso la Spiritualità viene centrata sul senso Spirituale, il Nous, capace, appunto, di percepire la luce Divina. Nel secondo caso, si ripete che nulla si può sentire o vedere, e pertanto il concetto stesso di Nous, viene completamente ignorato. Le due strade divergono irrimediabilmente.  Il problema concreto, nella strada perseguita dalla chiesa Romana, è quello della irrimediabile tendenza alla ideologia. La negazione della esistenza di un senso spirituale porta a negare la Teologia positiva, cioè quella basata sulla esperienza. Ma fu questa la Teologia di tutti i primi dieci secoli di Cristianesimo, sia in Oriente che in Occidente. Dal punto di vista della Spiritualità, si ha una negazione della possibilità di una unione con Dio, e la promozione della “Imitazione di Cristo”. Il fine della vita non è più la deificazione ma un’alta moralità. Tutto cambia. La stessa preghiera, tende a scivolare in secondo piano, mentre grande importanza si finisce per dare alle opere di misericordia. Dunque il laico che intende interpretare la propria Vocazione Religiosa alla luce degli insegnamenti Athoniti, può avere ben chiara la direzione da prendere. Riproporre l’Antropologia dei Padri e la spiritualità che ne consegue.

Centrare il proprio cammino sul rapporto personale con Dio e sulla preghiera. Avere e proporre la fede dei Padri Neptici. Far conoscere e diffondere in occidente. L’importanza del concetto di Nous e del Senso Spirituale. Questi sicuramente alcuni degli obbiettivi inevitabili in tema di Verità Teologiche. Naturalmente molto altro vi sarebbe da dire e proporre, ma questa non sembra la sede adatta.

 

Battersi per la Verità nella Società

 Fin qui poco si potrebbe notare di diverso tra un monaco ed un laico, nella difesa della verità. Le differenze emergono quando si colloca il laico nel suo contesto naturale, che è la società. Qui il problema che emerge in modo dirompente, è la scristianizzazione diffusa, dovuta, fra le altre cause, anche al diffondersi tumultuoso di credenze anti-cristiane. L’idea che la vita sia nata per caso dallo scontro fra molecole. La Frottola secondo cui se un adolescente non fa sesso, diventa nevrotico. La teoria secondo cui non è più Dio ad assegnare un sesso, ma l’uomo stesso, per propria personale scelta. E tanto, tanto altro ancora. Siamo subissati da un fiume di assurdità spacciate per verità scientifiche provate. E purtroppo larghe masse della popolazione, soprattutto giovanile, cade in questo genere di tranelli. La risposta del laico che si sente discepolo del Signore, non può essere che pronta, decisa e approfondita. Studiare, analizzare gli errori e mostrarli dove è possibile. Proporre cultura sana. Ribattere alle falsità e diffondere la Verità. Questi temi sarebbero difficilmente sviluppati da un monaco nella pratica. Giusto che sia il laico ad occuparsene con lo stesso amore per la verità.

 

Il Discepolo e la Politica

C’è però un ambito in cui sovente è presente discordia, tra monaci, parroci e laici, ed è il terreno della politica. Viene sconsigliata ed è un grosso errore. Se oggi ci troviamo con un pesante fardello di leggi anticristiane, lo dobbiamo anche a questa mentalità. Il monaco è giusto che non si occupi di politica, ma il laico non è “un piccolo monaco”.  La politica comporta una ascesi particolare, si tratta di saper sostenere lo scontro, la divergenza di opinioni, nei vicini e nei lontani, con carità. Con Perdono. Con spirito di comprensione. Quando la politica inevitabilmente, diventa lotta, non è facile. Ma questa è l’ascési di chi il Signore ha posto nel mondo. In politica, ma anche nel lavoro, nella famiglia, per ogni dove. Non si scansa il conflitto scansando la politica. Essa al contrario è un dovere per tutti i cristiani, sia pure con diversi livelli di impegno. La Verità, non può essere proclamata soltanto in certi posti, più o meno protetti. La si proclama in tutte le sedi, ed a maggior ragione là dove addirittura si governa la Polis. Quando tutto ciò, diventa scontro, nessuno si dovrebbe meravigliare. Il cristiano è scomodo e sostiene verità scomode. Egli non piò assistere passivo, al realizzarsi di progetti di mondo, in cui la fede religiosa, in quanto tale deve essere eliminata. Non può limitarsi allo stare a guardare, di fronte all’avvento di un regime ingiusto e manipolatore delle coscienze. Il Cristiano non può essere il conservatore che vorrebbe tutto congelare senza cambiare nulla. E’ successo già nella storia: per esempio, la Chiesa Greca sostenne la rivoluzione che portò in Grecia alla indipendenza dai turchi.

 

Conclusioni

Abbiamo fatto un riepilogo certamente incompleto, di ciò che la spiritualità athonita può suggerire al laico con vocazione religiosa. Sono stati affrontati molti aspetti, ciascuno dei quali meriterebbe un libro più che un articolo. Quello che ci è sembrato utile, tuttavia, non è stato l’essere esaustivi. Piuttosto crediamo che sollevare un dibattito e stimolare le coscienze, sia in questo momento la prospettiva migliore ed a questo abbiamo provato a guardare.

 

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