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La prigione dei sensi

 

Racconta un famoso scrittore:

“Ella è dunque la nemica”, pensò Giorgio, “finché vivrà, finché potrà esercitare sopra di me il suo impero, ella mi impedirà di porre il piede su la soglia che scorgo. E come ricupererò io la mia sostanza, se una gran parte è nelle mani di costei? Vano è aspirare a un nuovo mondo a una vita nuova. Finché dura l’amore, l’asse del mondo è stabilito in un solo essere e la vita è chiusa in un cerchio angusto. Per rivivere e per conquistare, bisognerebbe che io mi affrancassi dall’amore, che io mi disfacessi della nemica….”.

È un brano tratto dal romanzo di Gabriele D’Annunzio “Il trionfo della morte”. Sappiamo anche che l’autore qui, parla di sé. Egli cerca di interpretare con queste parole ciò che da molti viene definito “l’odio tra i sessi”. Quella tendenza ostile che starebbe al fondo di un certo tipo di amore. Abbiamo scelto D’Annunzio perché si tratta di uno scrittore dichiaratamente ateo. “In ginocchio di fronte ad un altare disertato da Dio”, come lui stesso si descriveva. Tutti gli italiani lo conoscono per averlo studiato a scuola. Conoscono anche le sue disinvolte ed esibite avventure con il sesso femminile. Eppure proprio lui, proprio uno come lui, vorrebbe accedere ad una vita nuova, più spirituale, ma trova che “la vita è chiusa in un cerchio angusto”. Quello dei sensi. Da qui l’odio. D’Annunzio, con la sua arte, ci rivela ciò che giace in fondo ad ogni uomo e ad ogni donna. Anche in fondo al più perduto/a: l’aspirazione alla vita nello Spirito. Il desiderio segreto di respirare lo Spirito, di volare alto, di partire dal visibile per approdare all’invisibile.

 

In volo alla ricerca dell’Amore

Come cercherà di liberarsi il nostro scrittore? Vediamo come descrive una donna, una cantante appena conosciuta:

“Egli la vedeva integra e singolare, libera dai piccoli legami del costume, vivente di una vita propria e circoscritta, simile ad un’alta opera su cui lo stile abbia impresso il suo suggello inviolabile. Egli la vedeva isolata, come quelle figure che risaltano per un contorno approfondito e netto, estranea alla vita comune, fissa in un suo pensiero segretissimo; e provava già dinanzi all’intensità di quel raccoglimento una specie di appassionata impazienza….”(da “Il fuoco”). Ecco come D’Annunzio vede un personaggio femminile. Non casualmente le cambia il nome. La chiama Arianna, perché più in armonia con la sua immaginazione. Appunto. Perché di tale si sta trattando. Egli cerca di sfuggire alla visione sensuale, ma approda solo ad una bella e poetica immaginazione. La donna come realmente è, non c’è. L’invisibile non è raggiunto. L’ occhio spirituale rimane chiuso.

Ma perché tutto questo? E cosa c’entra con la spiritualità?

Perché la grande arte, quando è tale, ci racconta come è fatto l’uomo. Ci aiuta a partire dai suoi bisogni profondi, connaturati al suo stesso essere. Questi brani di letteratura ci dicono che l’uomo e la donna, sentono il bisogno assoluto di “salire in cielo”, attraverso l’amore. Il solo orizzonte carnale non soddisfa e non può soddisfare nessuno. Tutti hanno nostalgia del vero amore. Perché esso viene oscuramente ed inconsapevolmente sentito, come una misteriosa porta d’accesso all’Eterno.

 

La “cotta” adolescenziale

Della stessa stoffa descritta da D’Annunzio è quell’innamoramento che è tipico degli anni adolescenziali. Solo, le “immagini” sono meno poetiche, e talvolta francamente rozze. A partire da una certa attrattiva fisica, si immagina una certa atmosfera. Così con le quindicenni, fa strage il bel tenebroso, che ha cura di circondarsi di un alone di mistero, con un adatto abbigliamento. Tra i ragazzi la “fata” bionda seduce ed ammalia, molto attenta anche lei, all’uso di certe calze. Il catalogo delle atmosfere immaginate è praticamente infinito. Ma se “ci si mette insieme”, presto viene la conoscenza reale e la disillusione. Uno dei due ci arriva prima e smette. L’altro, ancora ubriaco/a di illusione si affligge. Intendiamoci, ci sono coppie che si sono unite a 17 anni, e durano tutta la vita. Stiamo parlando di ciò che in genere succede.   Si è passati in fondo da una prigione all’altra. Dai sensi alla immaginazione, credendo di aver trovato la liberazione, ma non è così. Purtroppo certe delusioni sono così profonde da generare, nelle personalità più fragili, dei veri squilibri.

 

Dalla” cotta” adolescenziale all’innamoramento

 Tocchiamo adesso un argomento delicato. Molti infatti, vivono il matrimonio in mezzo a più o meno notevoli difficoltà. Le condizioni che presiedono ad una unione sono infatti svariate. C’è chi si sposa in età adolescenziale o quasi, per sfuggire ad una famiglia oppressiva o povera. C’ è chi trova tutto fatto perché il matrimonio è stato combinato. Molti sono i destini provvidenziali come gli errori, e non vogliamo qui toccare delle suscettibilità. Proviamo però a meditare la frase del Vangelo secondo Matteo che dice:

L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Spesso si pone l’accento sulla prima parte della frase: la separazione da parte di uno dei due coniugi.

Ma c’è poi questo: ciò che Dio ha unito. E come unisce Dio un uomo ed una donna per farne una famiglia? Di certo la Provvidenza usa molte vie, ma vogliamo qui concentrarci su quella che almeno qui, nei paesi occidentali, viene considerata ordinaria: l’innamoramento. Due persone si sposano perché si sono innamorate. Dio li ha uniti attraverso l’amore. E cioè? Cioè due persone, un maschio ed una femmina, si sono uniti sfuggendo alla prigione della sensualità. L’odio tra i sessi si è tramutato in unione stabile. Ma come succede? Succede che il desiderio di approdare allo Spirito, partendo dai sensi, è stato coronato da successo. Non si tratta più del fascino della immaginazione e della fantasia. Si tratta di una attrazione verso una o più qualità dell’altro, che hanno la caratteristica di essere reali. L’uno vede nell’altro quella o quelle qualità, che risuonano nel proprio essere con profondità. Sono qualità di cui si sente di aver bisogno, per avere in sé completezza. Si vede inconsapevolmente nell’altro la fonte viva di un proprio sviluppo, di una propria maturazione. A vedere bene, non si tratta di caratteristiche poi così legate alla identificazione sessuale. Sono qualità o attributi intercambiabili tra uomo e donna. Questa intercambiabilità pare esserci, anche quando le virtù amate sembrano colorarsi, a prima vista, con toni legati al genere: per esempio la forza per un uomo o la tenerezza per una donna. Ma ad una più attenta analisi non è così. Ci sono uomini dolci e teneri e donne forti.

 

Il dito di Dio

Ma…..e che c’entra Dio? C’entra, perché a ben vedere, ogni qualità in grado di suscitare un sincero desiderio amoroso, è un attributo divino. È una energia divina. La spontaneità infantile, la mitezza, la fortezza, la creatività, la generosità, il distacco dagli interessi materiali, l’energia, la scienza, l’intelligenza, la rettitudine e tante e tante altre qualità, sono attributi Divini, sono energie divine. Esse sono quelle stesse qualità che Gesù ci mostra e ci insegna nei racconti del Vangelo. Esse sono “scoperte” nell’altro o nell’altra, per somiglianza, per inconsapevole comparazione, con tutto ciò che è manifestazione Divina. I dotti direbbero: sono teofanie.

Ma non soltanto. Chi ci aiuta a fare queste scoperte? È Dio stesso che opera in noi. I Padri della Chiesa ci insegnano che lo Spirito Santo agisce in tutti, e ispira ogni uomo dirigendolo verso la virtù. È dunque l’azione dello Spirito che apre i nostri occhi. Possiamo allora dire con ragione che noi sappiamo amare perché siamo fatti a immagine di Dio, che ama.

Tutto ciò ci rivela un aspetto fondamentale dell’Amore:

Si ama solo Dio e si ama solo con l’amore di Dio. Si ama Dio amando il coniuge, i figli, il prossimo e perfino il nemico. C’è un solo Amore. Il resto è solo immaginazione.

La bellezza fisica che talvolta vediamo nell’altro o nell’altra, ci guida alla sua bellezza spirituale. Con gli anni è quest’ultima poi a prevalere. Quando il partner si comporta generosamente diciamo: bello! E così quando sa dare un consiglio esatto per scienza. E così se dimostra mitezza o potenza. La bellezza spirituale è molto più potente di quella fisica, perché più vicina a Dio e pertanto è capace di unire stabilmente. La bellezza è la porta di ogni manifestazione divina, ed il matrimonio una educazione sentimentale. Una educazione all’Unico Vero Amore.

Ecco perché quel “…che Dio ha unito”. San Paolo, con i Padri della Chiesa, ci ricorda poi

che lo Spirito Santo agisce in tutti e per mezzo di tutti. Nei credenti come nei non credenti. Esso illumina i cuori e mostra all’intelletto il dono divino dell’altro. Ed in particolare, lo ripetiamo, quel dono o quei doni spirituali, con cui l’innamorato sente un bisogno profondo di unirsi.  Di integrarsi. Di vivere più da vicino.

 

Il percorso spirituale del matrimonio

L’innamoramento fa scattare la decisione di vivere insieme e di fondare una famiglia. La vita comune fa scattare, giorno dopo giorno, la trasformazione del cuore. San Giovanni Crisostomo, nella sua omelia sul matrimonio, di importanza fondamentale, fa notare come nell’antico testamento l’unione tra i coniugi è significata da un vocabolo che vuol dire conoscere. Si fa conoscenza l’uno dell’altro. Una intuizione spirituale bellissima! Il senso del matrimonio sta nel procreare, trasformandoci attraverso una intima e profonda conoscenza. Per questo la prostituzione è un peccato grave. Perché l’unione tra un uomo ed una donna è sacra. Essa è suggellata da un sacramento che benedice il supremo riconoscimento, l’uno nell’altro, di una manifestazione divina in cui ci si vuole trasformare. Che si vuole integrare. Si benedice l’unione di corpo e di anima a vantaggio dello spirito. Pertanto anche il matrimonio, come la vita monastica è un cammino di trasformazione e santificazione. Esso presenta difficoltà diverse dalla vita monastica. Secondo San Paolo difficoltà maggiori a causa degli affanni, e delle distrazioni della vita secolare. Cionondimeno è via di santità. La consapevolezza! La consapevolezza del percorso tracciato dall’Amore Coniugale, è pertanto essenziale. Fondamentale.

 

Conclusione

Il matrimonio è un sacramento, non un contratto che permette di fare ciò che altrimenti è illecito. Ed i sacramenti non ci sono dati solo per la nostra salvezza, ma anche per la nostra progressiva santificazione. Tutti infatti siamo chiamati alla santità. Tutti hanno la stessa dignità, come San Paolo insiste nella prima lettera ai Corinzi, capitolo 12. Non c’è chi è superiore e chi inferiore. Non c’è chi è chiamato alla santità e chi no. San Paolo lo dice molto chiaramente. Dobbiamo credergli. Ed ha ragione. Ha ragione da vendere! Guardiamo allora al matrimonio con occhi davvero casti, e proviamo a scoprirne le bellezze spirituali. Sapremo allora come iniziare, ma non sapremo quando finire!

 

Bibliografia:

S. Giovanni Crisostomo. Omelia sul matrimonio

Pavel Evdokimov. Il matrimonio sacramento dell’amore. Edizioni Qiqajon