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A – INTRODUZIONE GENERALE

La teologia dell’Incarnazione

 L’ Incarnazione, il Dio fattosi Uomo, la Divinità e l’Umanità di Cristo, rappresentano il fondamento di ciò che noi intendiamo per Vocazione Religiosa del Laico. Cosa intendiamo con questi termini? Intendiamo ciò che di Cristo hanno detto i Padri della Chiesa, ed in particolare vorremmo fare riferimento a due testi per consentire a chi vuole approfondire, di riuscire a farlo:

  • Giovanni Damasceno, La Fede Ortodossa, Città Nuova Editrice, soprattutto nella parte dedicata alla Incarnazione, in cui vi è perfetta coincidenza con la Teologia di San Massimo il Confessore sull’ argomento

Per approfondire il tema delle due nature e delle due volontà:

  • Massimo il Confessore, Disputa con Pirro, in  Umanità e Divinità di Cristo, Città Nuova Editrice

San Massimo il Confessore è ritenuto uno dei maggiori Teologi dell’Incarnazione, tra i Padri.  E’ dunque per questo che questo Blog è nato sotto la protezione di questo grande Santo.

Ma quale è alla fine  il fondamento di una vocazione religiosa del laico?

 

La Chiesa attualità della incarnazione

 La vera grande novità del Cristianesimo sta nell’Incarnazione. Non un Avatar, non un Angelo in sostituzione, non una sola ma due nature. La natura umana e la natura divina, in una unità senza confusione. Due nature e due volontà. Solo così l’uomo poteva essere salvato e divinizzato. Solo con un Dio che, fattosi uomo donasse la redenzione alla carne, assumendola. Questo grande mistero continua anche nei nostri tempi. Esso è profondamente interpretato dalla Chiesa, che è il Corpo di Cristo. Come tale la Chiesa svolge tante funzioni ed ha tanti organi.  Tutti ben integrati ed amalgamati. Essi continuano nell’oggi l’Incarnazione del Signore interpretandola. Nel Vescovo e nel prete suo aiutante troviamo Gesù che predica. Negli eremiti che lottano in lande desolate, il Gesù che affronta Satana nel deserto. Nei monaci e nelle monache che fuggono dalle città rinunciando a tutto, la Chiesa vive il Gesù che si allontana dalle folle per pregare. Tutta la vita del Signore, così come narrata dai Vangeli viene interpretata dal Corpo di Cristo, cioè dalla Chiesa. Ma ricordiamoci di quanto dice San Paolo nel famoso paragone del corpo di 1Cor12,12-27: ”12Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. 13E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. 14Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. 15Se il piede dicesse: «Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. 16E se l’orecchio dicesse: «Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. 17Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». 22Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; 23e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, 25perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. 26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.” Questa ineguagliabile descrizione della Chiesa come Corpo di Cristo, ricorda le diverse funzioni delle varie parti del corpo, l’integrazione delle parti fra loro, la pari dignità e l’azione dello Spirito Santo. Ma perché riportare questa lunga citazione? Perché vi è una parte della vita di Gesù, che viene poco ricordata ma è interpretata forse dalle membra meno nobili, cui comunque il Signore assegna pari dignità con le altre membra. Si tratta della vita di Gesù a Nazareth. E’ la vita nascosta del Signore, passata in umiltà in famiglia e nel lavoro. Un lavoro da artigiano, nella bottega del Padre. Si tratta della parte più estesa, come numero di anni. E probabilmente corrisponde alla parte più estesa della Chiesa come Corpo di Cristo. Cioè ai laici. Essi non sono bocca che predica od occhio che contempla nella solitudine. Apparentemente meno nobile è, come dice San Paolo, onorata da Dio al pari delle altre parti. I laici. I lavoratori, le casalinghe. La famiglia, i figli. Nazareth. Questo un primo punto di riferimento per una teologia dell’impegno del laico nella Chiesa. Per evitare ogni sorta di equivoci vogliamo qui fare tre chiarimenti, la cui sostanza appare già da quanto scritto fino ad ora:

  • In nessun modo per vocazione religiosa del laico intendiamo la consegna della predicazione e la somministrazione dei sacramenti, ad altre figure che non siano i preti ordinati. Il Sacerdozio del laico, che pure esiste, è ben altra cosa da quello ministeriale.
  • In nessun modo si propone direttamente o anche soltanto indirettamente, una critica alla vita monastica. Non si tratta di “Trasformare il Monachesimo” come purtroppo altri in casa Ortodossa hanno proposto (vedi Paul Evdokimov, Monachesimo interiorizzato, Cittadella Editrice). La vita Monastica resta tuttora una esperienza preziosa, ed una parte essenziale della Chiesa. Essa semmai, è in grado di ispirare e di arricchire la spiritualità del laico.
  • Infine vorremmo sottolineare che stiamo parlando di corpo di Cristo e NON di imitazione del Cristo. Stiamo cioè parlando di come la Chiesa, sotto l’azione dello Spirito Santo, realizza il suo “essere Corpo di Cristo”, NON di una vocazione a imitare Gesù. Vedremo fra poco l’importanza di questa differenza.

 

Charles De Foucauld e la spiritualità che guarda a Nazareth

A questo punto non è possibile evitare una meditazione sulla vita e l’opera di Charles De Foucauld. Questo santo Cattolico, vissuto tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, ha avuto grande importanza nella Chiesa Romana soprattutto negli anni 50 del secolo scorso.  In quel periodo si diceva che non vi era spiritualità disponibile, se non quella espressa dalla vita di De Foucaul. Nacque una generazione di Preti, che si dedicò all’apostolato dei quartieri poveri, lavorando come operai. Anche la vita religiosa prese a modello il Santo francese, soprattutto in ordini che a lui direttamente si richiamavano, come i Piccoli Fratelli di Gesù e del Vangelo.  Questo grande successo era dovuto alla “scoperta” di Nazareth, cioè della vita nascosta di Gesù.  Tutto nacque da un viaggio che il Visconte De Foucauld compì in Terra Santa dopo la conversione. Una conversione davvero radicale, visto che appena confessato e comunicato, dopo molti anni di lontananza, sentì profondamente di dedicare tutta la sua vita al Signore. Dobbiamo riconoscere in questo una genuina “Devozione”, nel senso più vero della parola: donare tutto sé stesso a Dio, il nocciolo, il nucleo fondante di ogni autentica vocazione religiosa. Ma la svolta spirituale avvenne, durante il pellegrinaggio, in quella che a quel tempo era ritenuta l’abitazione della Sacra Famiglia a Nazareth. Il “Visconte” fu colpito dalla povertà della casupola. Sentì di non voler essere diverso dal Signore Gesù che amava e voleva seguire come discepolo. Nazareth divenne la sua Stella Polare spirituale. Come comprensibile, visto il tipo di vocazione, De Foucauld rifiutò per moli anni di essere ordinato sacerdote e cercò una vita di abiezione presso l’ordine monastico dei Trappisti. Da questo uscì dopo 7 anni, per passare tre anni, da solitario e laico, come giardiniere presso un monastero di monache, appunto a Nazareth. Ricevuti gli ordini sacri si diresse in Algeria, dove visse come solitario nel deserto del Sahara, prima a Beni Abbes e poi a Tamanrasset, dove morì, per mano di un giovane rivoltoso. Per tutta la sua vita De Foucauld meditò sulla vita di Gesù a Nazareth, con il fermo proposito di imitarla. In ambito cattolico, fu uno dei primi ad individuare nei Laici Cristiani impegnati, una importante risorsa nell’apostolato verso i non credenti.

 

Una riflessione su “Nazareth”

 Dobbiamo prima di tutto esprimere tutta la nostra ammirazione e tutto il nostro rispetto, verso questo santo cattolico di grande rilievo. E non possiamo che esprimere anche stima e rispetto, per coloro che ne hanno seguito la spiritualità, affrontando una vita durissima dentro miniere, in fabbriche malsane, in mezzo a tribù estremamente povere. I piccoli fratelli hanno saputo portare con coraggio, la voce e la vita del Vangelo anche a popolazioni povere, in condizioni di guerra, in Iran ed in Vietnam. Detto questo però è anche doveroso cercare di cogliere un insegnamento da tutte queste esperienze. Un insegnamento che parta dal buono già fatto per trovare nuovi sviluppi. Secondo chi scrive, questo potrebbe essere possibile alla luce di un ritorno alle origini Patristiche del Cristianesimo. Alla luce della lezione della teologia della Tradizione. Cominciamo con il tema del nucleo fondante la vocazione religiosa.

 

Il rapporto personale con Dio e la vocazione religiosa

 Dobbiamo prima di tutto riconoscere a Charles De Foucauld una forte esperienza di Dio, molto distante dagli intellettualismi che imperversavano alla sua epoca. Si avvicinò alla devozione al Sacro Cuore di Gesù, probabilmente perché in quegli anni, essa  era la sola via per incanalare il fuoco della Carità che ardeva nel suo petto. Un amore per Dio disinteressato e ispirato senza dubbio dallo Spirito. Lo si comprende anche dai suoi scritti. Anche quando meditava il Vangelo, non cessava mai di dialogare intimamente col Signore. Un amore che era dedizione assoluta, abbandono, come la preghiera che compose per i novizi della Trappa Siriana, dove visse un certo tempo: “Padre mio io mi abbandono a te….”. Una preghiera bellissima, che esprime una devozione autentica e sincera. Ma il frutto più bello di questo dono dello Spirito, era il desiderio di realizzare questo amore, non tanto con il sacerdozio, ma con uno stile di vita. Un particolare decisivo. Nella Chiesa Cattolica a quei tempi come ora, la “Vocazione” era in gran parte identificata con il sacerdozio. Soprattutto per gente con la cultura e la nobiltà di De Foucauld. Chi non era adatto al sacerdozio, nei monasteri, veniva considerato un “converso”. Una figura di minore importanza, a cui si affidavano i lavori pesanti e la cucina.  Il Visconte, impressionato dalla povertà della casupola di Nazareth, non volle essere superiore al Maestro, e cercò nel monastero la collocazione più umile. Questa, si può dire, è l’anima di una vocazione religiosa. Un amore che spinge ad un bruciante io-tu, in un dialogo continuo, che diventa preghiera incessante. Da qui la necessità di riflettere consapevolmente su come passare ogni minuto della propria vita. Uscito dalla Trappa De Foucauld non si lascia andare alla propria libertà, ma continuamente scrive e riscrive la regola della propria vita, che immagina destinata ad essere condivisa da un gruppo di compagni. Questo è un formidabile esempio per il laico. Preso dagli affanni del mondo, il Cristiano che vive in famiglia o da solo, rischia di essere fagocitato. Il mondo preme su di lui con doveri di ogni tipo, e soprattutto contrattempi. La giornata è continuamente spezzata da telefonate, urgenze, preoccupazioni. Per chi vuole accettare una vocazione ad essere tutto/a per Dio, allora, la consapevolezza diventa centrale. Fondante. Inevitabile. Consapevolezza sul come viene impiegato il tempo e della necessità di ordinarlo al Signore con decisione. A parere di chi scrive, si è riflettuto troppo poco sulle regole che il Nostro faceva e rifaceva. Su questo Spirito di non lasciare nulla al caso. Di non sprecare nemmeno un minuto. Se manca questa attitudine, una vita religiosa nel “Mondo” risulta solo una illusione. Preda delle fauci del “Leone Ruggente”. Chissà se qualche fallimento nello slancio religioso, non sia proprio dovuto alla scarsa attenzione che si è posta alla consapevolezza. E quante “vocazioni Religiose”, sono davvero caratterizzate da quel rapporto personale con Dio, che viveva De Foucauld? Quanti cercano e vivono un io-tu o piuttosto un ideale, un bellissimo ideale di amore? L’abnegazione e la rinuncia a sé stessi, fino ad accettare la morte, di tanti militanti socialisti e comunisti, dovrebbe far pensare. Gli ideali sono la “Scimmia” della fede. E si può avere un ideale Cristiano. Anche radicale. Charles De Foucauld ci insegna che per avere una Vocazione Religiosa non basta avere una grande passione per Dio e per la sua causa. Potrebbe infatti essere quello un semplice ideale. Migliaia di Comunisti si sono fatti uccidere e torturare per una grande passione per la Giustizia. Il segno della vocazione religiosa è invece la Carità. Un amore gratuito per Dio, che De Foucauld esprimeva in ore ed ore di preghiera. Ecco perché insistiamo, forse anche fastidiosamente, sul fatto che non c’è vocazione religiosa, senza un profondo rapporto personale  con Dio.

Non si riflette mai abbastanza su questo. Molti giovani sono attratti dalla vita religiosa, come ideale. E dalla spiritualità di De Foucauld, perché credono nell’”andata ai poveri”.  Come non attendersi l’inevitabile fallimento. Il nostro Visconte non aveva un ideale, era innamorato. Senza la prova di un serio ed intenso rapporto personale con Dio, non si dovrebbe accettare o promuovere, la vocazione religiosa di un giovane.

 

Dalla Imitazione alla Deificazione

Detto questo, è però inevitabile pensare ad un superamento di alcuni aspetti della “Spiritualità di Nazareth”. Charles De Foucauld parlava e scriveva spesso, che scopo della sua vita era “Imitare Cristo Gesù” nella sua povertà di Nazareth. Bisogna calare tutto ciò nei tempi. Cristo lo si immaginava povero, ma oggi sappiamo che un falegname, nella Palestina di 2000 anni fa, non era affatto povero. Aveva in mano una professione sicura e richiesta, che consentiva di vivere ad un livello, che oggi definiremmo da ceto medio. Bisogna capire il “Visconte” ricchissimo e proprietario di palazzi e castelli. Per lui quella era povertà. La Spiritualità della povertà ha affascinato molti giovani cattolici, e presenta lati sicuramente interessanti. Tuttavia il tempo ha fatto emergere dei limiti. Molti dei punti che segnano la vita del laico nella società, e che qui di seguito descriveremo, non vengono affrontati da questa spiritualità. Il problema sta soprattutto nella “imitazione”. Essa può essere un fine o un mezzo. Vediamo di inquadrarla meglio. Un detto dei Padri tra i più lapidari e chiari sullo scopo della vita cristiana è il seguente: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo divenisse Dio”. Il fine della vita Cristiana è appunto la Deificazione o “Theosis”. Essa inizia col Battesimo, procede lungo l’arco della vita con la purificazione, quindi arriva alla illuminazione ed alla glorificazione. Essa non finisce mai. Dura tutta l’eternità.

Il nucleo fondamentale, allora, di quello che intendiamo come spiritualità di Nazareth, diventa l’uso della vita ordinaria e quotidiana nel mondo, nella società, al fine di raggiungere l’unione con Dio. La santità. Non tanto quindi come mezzo di apostolato, come strattagemma per raggiungere gli ultimi. La vita di Nazareth, invece, come via di santificazione.

A tal fine, se l’imitazione rappresenta un modo per aprirci all’azione dello Spirito, alla sua azione trasformante e deificante, questo è comprensibile. Rientra nella ricerca di uno stile di vita consono al Vangelo. Se invece, seguendo i teologi Aristotelici e Scolastici, molto attivi in Francia all’epoca di De Foucauld, consideriamo l’imitazione il fine della vita cristiana, allora siamo davanti ad un impoverimento. Siamo davanti ad una restrizione in chiave morale e idealistica, di quella che i Padri chiamavano “Unione con Dio”.  In pratica si finisce per ignorare la “Theosis” ed il suo percorso. Questo ha delle conseguenze precise. Vediamole:

 

B – LA SPIRITUALITA’ DEL LAVORO

De Foucauld insisteva, quando era ospite nel monastero femminile di Nazareth, per una esecuzione perfetta dei compiti assegnati.  Questo è comprensibile, ma molto limitato. Eppure non viene molto di più da dire o cercare. L’immaginazione ci porta nella bottega artigiana di Giuseppe e poi non molto di più.  I discepoli del Visconte hanno esteso il tema del lavoro all’apostolato; essere “come loro”, anche nel lavoro, per esprimere vicinanza ed avvicinare alla fede con l’amicizia. Certamente interessante e valido. Anzi, ancora valido, nonostante i ripetuti fallimenti in questo senso. A veder bene il tutto risulta utile ma ancora un po’ povero. Questi limiti si possono superare su più versanti:

  1. Il lavoro come ascesi mirata. Prima di pensare all’apostolato, cominciamo a vedere il lavoro come apertura all’azione dello Spirito. A pensarci bene si tratta di restituirgli dignità. Di non considerarlo un mero strumento per l’apostolato. Il prezzo che deve pagare Adamo per il peccato, corrisponde ad un’opera in sé redentrice. Come? Si tratta di conoscere sé stessi a fondo, e di imparare a vedere le conseguenze mentali delle nostre passioni. Facciamo due esempi. Chi soffre della passione della avarizia, tende in genere a risparmiare anche i sentimenti e ad essere molto chiuso, perfino solitario. Trovare un lavoro che lo costringe ad avere rapporti con il pubblico, in un negozio o in una amministrazione, potrebbe aiutarlo a guarire dalle conseguenze della sua passione dominante. Al contrario, chi soffre di vanagloria tende ad utilizzare i rapporti con gli altri per assecondare il proprio desiderio di lodi. Può essere utile allora un lavoro solitario, almeno per un certo periodo, che induca a scoprire l’importanza dell’interiorità. Bisogna tenere presente che il proprio perfezionamento è utile anche agli altri.
  2. Il lavoro come modo di espressione dei propri carismi ed attributi Spirituali. Il lavoro non è solo ascési. Per esempio, San Paolo parlava nel passo sopra citato del carisma delle guarigioni. Chi fa una delle tante professioni sanitarie, potrebbe essere un buon candidato a sviluppare tale dono. Lo Spirito Santo è lo stesso per tutti, naturalmente, ma ciascuno è in grado di esprimerne i doni in base al progetto che Dio ha su di lui. Vi sono infatti persone più capaci di vivere la Misericordia, altre la Giustizia, altre ancora la Conoscenza etc. Ognuno, nella Volontà di Dio, ha uno o più attributi o virtù da sviluppare. Non come ideale da seguire (l’imitazione), ma come attitudini da esprimere. E’ ovviamente immediata l’evidenza che la maturazione dei doni rappresenta un tesoro per tutta la comunità.
  3. Il lavoro come opera di “apertura” del Mondo alle energie Divine. Un operaio che tramite il sindacato, riesce a strappare condizioni di lavoro più giuste per i suoi colleghi, non fa solo politica. Rende il Mondo più trasparente alla Giustizia. Un artista che produce un’ opera creativa, rende il Mondo più trasparente alla bellezza. Operare per una maggiore pulizia materiale, come fa uno spazzino, può essere il simbolo di una purificazione interiore. Il lavoro può in mille maniere, manifestare direttamente o indirettamente la Divina Presenza.
  4. Il lavoro come partecipazione all’opera creativa di Dio. In Giovanni 5,17 leggiamo ”Ma Gesù rispose loro:” Il Padre mio opera sempre ed anche io opero”. Versetto fondamentale che ci fa comprendere come la Scrittura annunci la creazione continua da parte della Trinità. Qui bisogna essere sinceri. Chi scrive, su questo punto, ha trovato difficoltà presso certi ambienti cattolici. Chi, infatti, si sente ancora legato alla scolastica, considera Dio un motore immobile, che ha ormai cessato di operare. Gli storici sottolineano come questo fosse il pensiero di tutto il medioevo cattolico. Ma la scrittura parla chiaro: Il padre mio opera sempre. La creazione è continua e l’uomo è chiamato già dalla Genesi (Gen 1,28) a cooperare con Dio. Il lavoro, quindi, a qualsiasi livello inteso, è un’opera di co-creazione. Anche un’opera come quella di tenere la città pulita è una collaborazione. Anche i lavori più ripetitivi sono a pieno titolo collaborazione. Di fronte a Dio, come ci ha spiegato San Paolo, tutto ha senso e tutto ha la stessa dignità. L’uomo è chiamato a operare con il Signore e ad ascoltare quella voce dello Spirito che suggerisce modi sempre nuovi di cooperare. Considerata l’epoca in cui è vissuto, possiamo però capire come Charles De Foucauld ignorasse questo lato del lavoro dell’uomo. Ancor di più comprendiamo il silenzio dei suoi discepoli. Ma il cristianesimo deve andare avanti. E paradossalmente sono proprio gli antichi Padri a promuoverne il futuro, visto che per la loro teologia, l’atto creativo dell’uomo può unirsi a quello di Dio.
  5. Il lavoro come liturgia. Il laico è in realtà un sacerdote che offre la propria vita al Signore. Pregare durante il lavoro fa parte di questa offerta. Il lavoro, di per sé, non è preghiera, come crede qualcuno. Pregare durante il lavoro brucia su un altare invisibile, l’offerta del lavoro. Il calore del cuore, nella recita della preghiera di Gesù, durante le attività, è fuoco che si alza gradito al cielo. Nella cultura contadina, in Italia ed in Francia, c’era la buona abitudine di recitare l’Angelus durante il lavoro, più volte al giorno. Pratica immortalata da un celebre quadro di Millet. Molto si può approfondire su questo versante.

 

C – LA VITA DEL LAICO GLOBALMENTE INTESA COME SACERDOZIO

Esaminiamo questo passo della Scrittura, 1Pt 2,4-6:  “Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura:

“Ecco io pongo in Sion
una pietra angolare, scelta, preziosa
e chi crede in essa non resterà confuso”.

Naturalmente non si intende fare riferimento al “Sacerdozio Universale” così importante per i protestanti, dove esso viene interpretato in chiave anticlericale. Facciamo invece riferimento ad una antica tradizione della Chiesa Ortodossa, oggi probabilmente in parte perduta, e ricordata da Juliet Du Boulay. Questa studiosa inglese ha vissuto un’esperienza davvero straordinaria. Negli anni 60 andò a vivere in un villaggio greco di montagna, a mala pena raggiunto da una strada sterrata. La Du Boulay ebbe modo di  descrivere , prima che andasse perduta l’esperienza di vita dei contadini di quel tempo. Tutta la vita dei laici appariva permeata dalla liturgia. In particolare, le salme dei deceduti venivano vestite con un lenzuolo bianco, della larghezza di 30 centimetri, lungo il doppio della lunghezza della salma. Questo telo, detto savano presentava al centro un foro per permettere il passaggio della testa del defunto che veniva così ricoperto davanti e dietro. Il Savano costituiva, diversamente da come è inteso ora, la versione laica dell’Epitrachilion, una importante veste sacerdotale. Esso veniva a simboleggiare il sacerdozio del laico.  Come già detto, questo costume è oggi perduto. Il  Savano esiste ancora, ma viene accostato al sacro Mandilion, raffigurante il volto di Gesù. Abbiamo però ricordato questo antico costume, perché esso sottolinea in modo solenne, al momento della morte, il ruolo liturgico del laico. Esso è chiamato da Dio ad essere sacerdote della vita che si svolge nel secolo, nella società   degli uomini.  (Juliet Du Boulay, Cosmos, Life and Liturgy in a Greek Orthodox Village, Denise Harvey Publisher.)

 

D – LA DEIFICAZIONE ATTRAVERSO LA FAMIGLIA.

  1. L’amore tra i coniugi come trasformazione. L’ omelia di San Giovanni Crisostomo sul matrimonio è illuminante. Certamente il fine procreativo è importante, ma questo grande Padre della Chiesa, nella parte iniziale della omelia, suggerisce qualcosa di più. L’amore tra i coniugi, sottolinea il Crisostomo, è anche una conoscenza reciproca che sancisce luna unione profonda, capace di cambiare la personalità dei due coniugi.
  2. L’educazione dei figli. E’ un compito che non si limita alla educazione religiosa, ma si estende a tutti gli aspetti della vita. Questo comporta l’apprendere a conoscere l’uomo e quindi anche i bambini. Saper riconoscere il temperamento dei propri figli per valorizzarne i punti di forza e smorzare i punti di debolezza, rappresenta un impegno a volte difficile, ma ineludibile.
  • Vivere la famiglia e la vita della famiglia. La vita familiare offre un modello di comunità, validato da millenni. I ruoli diversi che vengono vissuti e interpretati da coloro che la costituiscono, ne garantiscono la stabilità. Quando esiste tra i genitori ed i figli, un solido legame affettivo, la comunità, richiedendo di accettare la diversità, diventa trasformante. Tutti i membri cambiano nel tempo, e non solo i figli che crescono

 

E – L’UOMO COME MEDIATORE TRA DIO E LA CREAZIONE, IN VISTA DI CIELI E TERRE NUOVE

Tutte queste cose e forse molte altre attendono una risposta ecclesiale che non sia limitata alla morale sociale. Il laico che si sente chiamato ad un impegno radicale spesso si lamenta dello scarso spessore che crede di trovare nella vita parrocchiale. Ciò che i “professionisti di Dio” offrono infatti è un percorso in cui i sacramenti della Confessione e della Eucarestia, rappresentano i due pilastri principali, orientati entrambi alla “Salvezza”. Il fine della vita cristiana diventa cercare di non morire in stato di peccato, per potersi salvare. Per tutto il resto basta comportarsi onestamente e rispettare i comandamenti. A nessuno sfugge la presenza di limiti in questa prospettiva, anche se, dobbiamo ammettere, essa serve a molti. Il popolo di Dio è vasto e c’è anche chi, per ragioni sociali, può essere spinto al delitto. Dunque non si vuole in alcun modo contraddire questo approccio. Esso però manca di qualcosa, manca della SPERANZA!     Il Cristianesimo è anche speranza in Cieli Nuovi e Terre nuove!  Manca di quella prospettiva che riempiva di stupore, la solitudine eremitica di Sant’Isacco di Ninive. I sacramenti sono certamente un grande aiuto. Essi sono assolutamente insostituibili. Talenti però che dobbiamo essere capaci di investire nella vita, perché possano fruttare, quando dieci, quando cento.

 

Un immenso progetto creativo

Non possiamo capire bene il famoso adagio dei Padri, appena citato, che ricordava come la deificazione fosse lo scopo della vita cristiana, se non ci rendiamo conto di essere al centro di un immenso piano creativo. Come già detto, Il Vangelo di Giovanni ci annuncia infatti, che la creazione non è finita.  (Gv 5,17). San Massimo il Confessore, sulla scorta di San Gregorio di Nazianzo e Dionigi Aeropagita, indica l’uomo come mediatore di una grande operazione creativa di Dio che, partendo dalla materia, arriverà alla unione senza confusione dello Spirito e della Materia. San Paolo, infatti, in Romani 8, 18-25 ci dice:

“Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza”. San Paolo afferma chiaramente che noi stiamo attraversando solo un frammento della storia della Creazione divina spiegandolo in 1Cor 15, 20-28;): “Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”.

In questo lungo e complesso processo di trasfigurazione della Creazione, in cui Dio sarà tutto in tutti, l’uomo, secondo san Massimo il Confessore rappresenta in sé analogicamente tutta la creazione. In lui ritroviamo infatti le proprietà di tutti i regni, minerale, vegetale, animale e spirituale. In tal modo l’uomo si presenta come un microcosmo, si che ottenendo e vivendo lo Spirito Santo egli parteciperà alla grande opera del Signore come “Mediatore” e profeta della trasfigurazione del cosmo. Ma per adempiere a questa grande opera deve partecipare dello Spirito Santo, e per farlo deve guardare con gli occhi della fede al Cristo Salvatore, fonte dello Spirito. Deve vivere la vita dello Spirito sia nei sacramenti sia in uno stile di vita orientato al Vangelo.

Ecco dunque la centralità della vita secondo il Vangelo, della apertura alla azione dello Spirito che è tipica di una sensibilità tutta “Laica”. Ecco un ritrovato senso dei sacramenti, sicuramente indispensabili e fondamentali, ma   inquadrati in un progetto più ampio della mera “salvezza personale”. Un progetto che vede il laico protagonista di un discepolato che lo promuove mediatore nei confronti di quel creato che Dio stesso in Gen 1,28 gli aveva affidato.

Vedremo quindi in seguito, di approfondire questi temi in capitoli dedicati, che speriamo di riuscire a rendere di facile e piana lettura.

 

F – LA NECESSITA’ DI UNA VOCAZIONE RELIGIOSA ED INSIEME LAICA

Quanto detto fino ad ora mette in luce due punti che sembrano fondamentali:

  • L’evidente insufficienza del “modello Nazareth” così come proposto dai discepoli di Charles De Foucauld, e la necessità di approfondire, più che superare questa prospettiva. Il ritorno da una teologia razionale e scolastica ad una teologia positiva, cioè quella teologia che si fonda sulla esperienza spirituale, sembra promettere sviluppi più ricchi e favorevoli. Si tratta di un ritorno profondo e strutturale ai Padri della Chiesa
  • La necessità di una vera e propria “Ricerca Spirituale”, che sappia approfondire con serietà e dilatare, tutti i temi sopra accennati, e scoprirne di nuovi.

Questo implica necessariamente l’esistenza di una vocazione di impegno radicale, da parte di alcuni laici, chiamati a vivere e a diffondere questa dimensione. La dedizione necessaria a promuovere questi sviluppi richiede chiaramente una “vocazione religiosa”. Vocazione interpretata non nel senso di chiamata alla vita monastica fuori dal mondo. Piuttosto una vocazione da interpretare nel mondo. Non si tratta del “monaco nel mondo”, ma del “Laico Religioso”. Cosa ben diversa, perché non si vuole trasportare la vita  monastica nella società degli uomini, ma piuttosto vivere con radicalità evangelica la vita del Cristo a Nazareth, come parte del corpo della Chiesa.

 

Le testimonianze già presenti

 La presenza di laici con questo profilo di vita già è presente. Migliaia di persone sposate o solitarie, di entrambi i sessi, vivono la loro vita di dedizione evangelica nel mondo. La maggior parte di loro non sembra desiderare di emettere dei voti. Né si vede quale senso potrebbe avere pronunciare il voto di castità da sposato. Alcuni di loro hanno trovato una collocazione istituzionale, in apposite congregazioni o associazioni cattoliche. Molti non sentono la necessità di un inquadramento ufficiale, pur sentendosi chiaramente chiamati ad una vocazione speciale. Questi ultimi sono forse la maggioranza. Giustamente. Ci sembra che l’essenza della vocazione religiosa non sia di per sé il celibato, cosa che avrebbe escluso San Pietro dal governo della Chiesa. Come abbiamo già esposto precedentemente, il segno di riconoscimento, ci sembra piuttosto essere un urgente e radicale desiderio di dedizione totale a Dio. Ma come potremmo inquadrare tale chiamata dal punto di vista della scrittura?

 

Il possibile fondamento scritturistico della vocazione religiosa del laico

 Chi risponde ad una vocazione religiosa, cerca una forma di vita, non il ministero sacerdotale. Non stiamo quindi parlando di laici che si mettono a predicare (a parte i diaconi), o di laici e che vogliono presiedere alla liturgia Eucaristica. Questo deve essere assolutamente chiaro e lo ripeteremo più volte.

Dunque la Scrittura indica tre grandi categorie di fedeli:

  • Gli Apostoli in numero di 12 (e qui si può annoverare anche il sacerdozio)
  • I discepoli, che erano 72 (Lc 10,1:” Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”). Secondo la Tradizione i discepoli sarebbero stati 70, così come indicato da Ippolito di Roma che ne elenca i nomi. Ricordiamo anche che la Chiesa Ortodossa il 4 Gennaio li festeggia tutti insieme.
  • Terza porzione Il popolo dei fedeli, che ascolta e approva la predicazione di Gesù.

Il Signore nel Vangelo, ben sapendo come sono fatti gli uomini, non ha mai parlato di una differenza di dignità ed importanza tra queste diverse parti della Chiesa. San Paolo ha notoriamente ribadito la diversità di funzioni che si integrano come parti di un corpo unico.

Quando parliamo di vocazione religiosa come di una vocazione speciale nella Chiesa potremmo indicare quindi come esempio i 72 scelti da Gesù e riportati dalla Tradizione. Ci sembra una proposta sensata (anche se per ora solo una proposta). Essi, infatti, non sono come i 12, ma anche loro sono chiamati a rinunciare a tutto per seguire Gesù.  A quei tempi erano mandati “in avanscoperta” nei luoghi dove Gesù sarebbe andato a predicare. Anche oggi il Discepolo è mandato dal Signore a “preparare il terreno”, affinché il seme della Parola cada in una terra buona e pronta ad accoglierla. Missione che potrà compiere in vari modi, dall’apostolato della Amicizia, alle opere di misericordia, alla preghiera contemplativa per il mondo. Non si finirà mai di sottolineare che l’opera di Evangelizzazione e di Santificazione del Popolo di Dio richiede operai con diversi compiti. E’ una illusione non rispettare e non seguire gli insegnamenti del Vangelo, buttandosi in una predicazione di genti non adeguatamente preparate. Questo è vero soprattutto ora. Duemila anni fa infatti la predicazione era supportata dai miracoli. Oggi purtroppo non più. Forse sono altre le cose da fare. Preparare il terreno alla caduta del Seme Evangelico è probabilmente una di queste. Dunque è assolutamente necessaria una avanguardia. Questa potrebbe essere offerta, come nel Vangelo, dal Discepolato, cioè, dalla vocazione Religiosa del laico.

 

CONCLUSIONI

Siamo partiti dal giusto riconoscimento della originalità e della importanza, delle intuizioni spirituali di Charles De Foucauld, a proposito della vita di Gesù a Nazareth.  Ci è sembrato però opportuno proporre quelli che a nostro parere sono degli inevitabili sviluppi, oggi ancora in potenza. Per dare una svolta ci è sembrato decisivo abbandonare le prospettive offerte dalla teologia scolastica, dentro i cui confini si muoveva De Foucauld. Si è pertanto proposto un  ritorno alla teologia della esperienza, propria dei Padri della Chiesa, ed alla loro prospettiva di “Nuova Creazione”, nell’ambito della quale collocare il progetto Divino di Deificazione dell’uomo. Si è quindi creduto di identificare in un gruppo di Laici, sposati e non, chiamati dal Signore ad una vita religiosa nel mondo, l’analogo dei 72 Discepoli scelti da Gesù per preparare il terreno della predicazione. Questa la nostra proposta teologica, senza dubbio provvisoria, e semmai valida come stimolo, come generatrice di una discussione di cui si sente l’urgenza, piuttosto che come tesi conclusiva. Lo diciamo consapevoli che nel momento in cui scriviamo, migliaia di laici vivono quanto esposto in questo articolo. Lo vivono con coraggio e determinazione, spesso senza l’incoraggiamento di un riconoscimento ufficiale e pubblico della loro opera. Quasi a sottolineare che “E’ il nascondimento la cifra della vita di Gesù a Nazareth”.