Home English EN French FR German DE Greek EL Italian IT Portuguese PT Romanian RO Serbian SR Spanish ES

Un punto cruciale

Curare il proprio rapporto personale con Dio è forse uno dei passi più importanti nel nostro cammino di fede. Questa cura è ancora più importante nel cammino del laico che cerca un impegno radicale col Signore. La Sacra Scrittura quando parla di fede, parla di un rapporto. Tutta la rivelazione è la storia d’amore tra Dio ed il suo popolo Israele. Il Patto, la Legge, la promessa di una Terra, tutto sarebbe incomprensibile senza un rapporto. I Salmi declinano questo rapporto nell’universo individuale. Si certo, è David che parla. Si certo alcuni Salmi sono profezia del Messia. Ma basta recitarne qualcuno con un minimo di serietà, per sentirsi a casa propria. I Salmi parlano di noi. Inequivocabilmente. E molti di essi parlano della nostra quotidiana battaglia con gli Spiriti Maligni, con i tranelli dei tentatori. Così li pensavano i padri del Deserto. Così li pensavano i Padri della Chiesa. Così li ha pensati ed interpretati da secoli la tradizione monastica, sia Occidentale che Orientale.  Nella parte dedicata alle distrazioni ne parleremo più a fondo. Qui basterà ribadire uno dei più profondi insegnamenti dei Salmi. L’uomo di fede, il Cristiano è un combattente. Se la fede non avrebbe senso senza un rapporto con Dio, un Dio che libera  non avrebbe nulla da liberare, se il suo fedele figlio non avesse da combattere. Un tema importante da riprendere. Ma cosa intendiamo per rapporto personale con Dio? Intendiamo un colloquio. Intendiamo un atteggiamento costante di preghiera, ma di una preghiera libera, non di una recita, non la ripetizione di un Salmo. Intendiamo un io-tu franco, sincero, da figlio a Padre. L’ importanza di questo atteggiamento costante di preghiera sta nel fatto che esso rappresenta una sorta di “allenamento” della punta del nostro Spirito, di quello che i Greci chiamano con una parola intraducibile Nous. E’ una educazione a rivolgersi a Qualcuno che non è presente visibilmente ma invisibilmente. Attraverso questo rivolgersi a Lui costante impariamo letteralmente a percepire. A sentire con il nostro “senso spirituale”, con il nostro Nous, la Presenza di Dio, esercitando così la nostra fede.

Imparare a regredire

Vangelo di Matteo 18,1-5,10.12-14. “Se non vi convertirete e diventerete come bambini”… Tra le molte sfumature nascoste

nella interpretazione di questo passo del Vangelo vi è proprio quella che ci vuole spontanei. Dio ci vuole   semplici come fanciulli quando ci rivolgiamo a Lui. Una mamma, quando gioca con il proprio bambino, deve imparare a “regredire”, a diventare cioè un po’ bambina anche lei. Se non lo fa il bambino sente che “non gioca bene”. Così bisogna fare con il Signore. Essere un po’ bambini, nella spontaneità e nella semplicità. Diventa quindi molto importante la preghiera spontanea, vocale o mentale. Nel tempo di preghiera che ci siamo dati, questa forma di orazione dovrebbe avere una collocazione, anche solo per breve tempo. Essere sinceri, se occorre discutere, lamentarsi, ma anche raccontare, gioire, ringraziare. Soprattutto essere sé stessi, non recitare una parte.

Tutto questo non è affatto facile. Alcuni si sentono ingessati, molti si vergognano ad essere spontanei. Occorre cambiare urgentemente rotta. Il Vangelo parla chiaro.

 

Cosa succede nella preghiera personale e quale ruolo ha nella vocazione religiosa del laico

Esaminiamo meglio perché, per chi sente di essere chiamato ad una vocazione religiosa da laico, il rapporto personale con Dio è così importante.  Mettiamo per questo in parallelo due passi della scrittura

1Corinzi 12,13 e seguenti:

“E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo abbeverati ad un solo Spirito”.

Segue una bella e chiara descrizione della diversa funzione delle varie parti dello stesso corpo.

In questo passo San Paolo ci insegna che con il Santo Battesimo siamo stati tutti inseriti in un Corpo Invisibile. Questo corpo è la Chiesa. In essa siamo chiamati a svolgere una funzione diversa da quella di altri. Tuttavia, pur nella diversità, siamo tutti invisibilmente ed armonicamente ad essa coordinati.

Il secondo brano che potrebbe essere utile confrontare con questo è Matteo 6,22:

“La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro tutto il tuo corpo sarà nella luce.…”.

A cosa può essere utile questo accostamento? Forse ci aiuta a scoprire due punti essenziali nella vocazione del laico:

  • Prima di tutto San Paolo ci permette di inquadrare la Chiesa come Corpo Invisibile. Questo è importante perché in questo periodo storico, imperversano teorie materialiste della Chiesa. In base a queste dottrine, sia in casa Cattolica che Ortodossa, c’è chi sostiene l’importanza della Comunità nel suo senso fisico. Si sarebbe Chiesa solo e soltanto nel “gruppo”, inteso nel senso della presenza visibile e materiale. Per questi teologi, in pratica, tutta la tradizione eremitica, durata secoli e secoli con  tanti Santi, sarebbe una fanfaluca per ingenui. San Charbel, un santo Cattolico di cui manca una immagine da vivo, tanto ritirata è stata la sua vita da eremita, sarebbe un equivoco. E questo nonostante che la sua tomba abbia emanato una luce visibile a diversi chilometri di distanza per un lungo periodo. La valanga di miracoli a lui attribuiti sarebbe per questi “sapienti” una pura illusione. Possiamo poi eliminare Santa Maria Egiziaca, non solo santa Ortodossa ma anche Cattolica, ed onorata a Roma da una splendida chiesa barocca. Questa celebre Santa si può agevolmente eliminare con un tratto di enna, dicendo semplicemente che non è esistita.  E’ sconcertante come queste persone abbiano perso il senso del ridicolo. Ma quel che è peggio questo vasto movimento “comunitarista” che ha investite le Chiese, sull’onda del successo delle filosofie esistenzialiste e personaliste, ha disturbato e sviato molti sinceri credenti. Il metodo è facile: si accusa la solitudine con Dio di “intimismo”, “vuoto sentimentalismo” ed “individualismo”. E’ allora arrivato il momento che qualcuno ribadisca che anche da soli si è chiesa, dal momento che siamo battezzati. Come tali partecipiamo dello stesso Spirito degli altri credenti, come ci assicura San Paolo. Quando poi recitiamo un salmo, meditiamo le scritture o un passo dei Padri della Chiesa, non siamo soli.  Quando anche semplicemente lo Spirito prega nei nostri cuori con gemiti inesprimibili, TUTTA LA CHIESA INVISIBILE E’ PRESENTE, GLI ANGELI, I SANTI ED I DEFUNTI.  Dunque nessuno prega da solo, anche se si rinchiude in una tomba, come fece Sant’ Antonio il Grande o Abate.
  • Il secondo brano scelto ci spiega perché le Chiese hanno sempre onorato gli eremiti (come i Certosini, le Clarisse, i Trappisti etc.). Essi infatti hanno svolto la funzione di “Occhio” nel corpo invisibile della Chiesa. La loro rinuncia alle passioni, con l’ascesi a cui si sono sottoposti. Con la Luce Spirituale della Contemplazione a cui sono stati chiamati, hanno reso più chiaro il loro essere occhio. Questo ha permesso di illuminare tutto il Corpo della Chiesa, che ne ha beneficiato. Ora questo ruolo non è svolto solo dai santi eremiti ma anche da tutti i cristiani quando si pongono sinceramente in dialogo con Dio. L’adoratore in Spirito e Verità, vivendo nel silenzio la parola di Dio che dice “….prega il padre tuo nel segreto…” (Matteo 6,6), vede intensificarsi al suo “occhio” ,cioè  al suo senso spirituale, la percezione dell’Invisibile Divina Presenza. QUELLA E’ APPUNTO LA LUCE CHE PASSANDO DA LUI ILLUMINA TUTTO IL CORPO DELLA CHIESA.  Dunque, come da secoli sostenuto sia dalla Chiesa Cattolica che dalla Chiesa Ortodossa, chi prega contribuisce alla discesa della Grazia Divina SU TUTTA LA CHIESA. Non solo ma si preparerà adeguatamente all’apostolato. In particolare sarà pronto a quell’apostolato della amicizia così chiaramente adatto al laico. Questo apostolato individuale richiede infatti una severa purificazione della intenzione con cui è svolto. Il motivo è chiaro: si deve entrare in profondità nel cuore, e nella sensibilità degli altri. Questa purificazione avviene per mezzo della preghiera. Solo la luce della Presenza di Dio può infatti conferire quella delicatezza e quella attenzione nell’ascolto, che sono così importanti in questo genere di missione

 

Il tempo dedicato alla preghiera

Questo dunque è un punto irrinunciabile per chi si sente vicino alla spiritualità di questo Blog.  La collocazione potrà variare come la durata.

Il principio base a cui sarebbe utile attenersi sta nel considerare con molta serietà la sacralità   del tempo dedicato alla preghiera. E’ infatti vero che il laico deve saper pregare in ogni situazione (per esempio durante il lavoro). E’ necessaria poi una certa scioltezza, senza ingessature di riti preparatori. Il tempo dedicato in special modo alla preghiera ha dunque una importanza tutta particolare. Esso, come già detto, costituisce una specie di “ripetitore” (sia consentita la metafora) della potenza della Grazia, profusa dai sacramenti. Un “ripetitore” che ravviva i doni ricevuti, rendendoli attuali nella vita quotidiana.

 

La cura del tempo di preghiera

La sacralità del tempo di preghiera dovrebbe essere curata in quattro dimensioni:

  • Lo spazio. Deve essere sempre lo stesso. Va scelta possibilmente la stanza più silenziosa e tranquilla della casa, e va usata sempre quella. E’ del tutto sconsigliabile cambiare spesso. Essa dovrebbe divenire una specie di “cappella” casalinga, fornita di apposite icone. Ci si dovrebbe disporre in modo da stare seduti abbastanza bene, senza eccessive ristrettezze. Contrariamente a quanto riportato da alcuni, secondo l’esperienza di chi scrive, la posizione del corpo è ininfluente, ha poco significato.
  • Il tempo. Anche questo dovrebbe essere costante. In generale le ore del primo mattino o della tarda nottata sembrano le più propizie. Naturalmente durata e collocazione dipenderanno dal percorso di ognuno. Soprattutto dalle diverse   difficoltà offerte dalle condizioni in cui ciascuno vive.
  • Le suppellettili. Molto importanti le icone. Tra queste ve ne dovrebbe essere almeno una raffigurante il Cristo, per esempio il Cristo Pantocrator. Le icone dovrebbero essere benedette. Per essere tali devono stare nei pressi di un altare per almeno tre liturgie Eucaristiche. Un contenitore con sabbia dove poter infiggere una candela ogni volta che si prega. Essa simboleggia la luce della preghiera, e costituisce una piccola offerta. Sarebbe meglio se fosse di cera

d’ api,  e non troppo grossa, per rispettare i tempi che ciascuno si è dato. Un turibolo o incensiere,  dove porre un carboncino a presa rapida (si consigliano quelli che si accendono dopo pochi secondi di esposizione al fuoco). I carboncini si trovano facilmente nelle librerie San Paolo o nelle chiese Ortodosse. Al momento della preghiera si accende il carboncino posto sopra il turibolo, e vi si mettono alcuni grani di incenso. L’incenso è molto importante perché facilita il raccoglimento.  Esso in tutte le tradizioni viene indicato come un agente in grado di purificare l’ambiente da spiritelli di dubbia origine. I mozziconi delle candele ed il carboncino bruciato non vanno gettati nella immondizia perché hanno reso un servizio sacro di fronte alle icone del Signore e dei santi. Questi resti vanno raccolti, messi insieme   e seppelliti o gettati in un fiume: vanno messi in un posto sui quali non si cammina e questo vale anche quando si seppelliscono. Va cercato un posto un po’ discosto.

  • La struttura della preghiera. L’orazione dovrebbe avere una “ossatura” costante, anche se da persona a persona è giusto che vi sia una certa libertà.

Potrebbe essere raccomandabile una preghiera o alcune brevi preghiere di inizio e di fine, in modo da sancire, marcare liturgicamente, l’inizio e la fine del tempo di preghiera.

Dopo la preghiera iniziale si può procedere con il pentimento, proseguire con il ringraziamento (per ogni cosa), e con l’intercessione. Pregare per il mondo, per la Chiesa, per i familiari, per i malati, per chi lo richiede, fa parte della tradizione cristiana di sempre. Possiamo aggiungere delle intenzioni di preghiera per chi non conosciamo e per i problemi che il Signore conosce e che noi ignoriamo. E’ una forma di orazione molto bella, che tutto lascia decidere a Dio.  Potrebbe seguire un salmo, o esserci una  preghiera spontanea. Quindi per chi si sente pronto, l’adorazione silenziosa per un tempo variabile in rapporto al cammino di ciascuno. Infine si può concludere con la intercessione, manifestando le nostre intenzioni di preghiera.

 

Il modo di pregare

Ciascuno dovrebbe comunque scegliere l’approccio alla preghiera che più sente vicino al suo percorso.  Recitare alcuni salmi identificandosi col salmista, leggendo lentamente e meditando parola per parola ciò che si dice, è un metodo valido piuttosto diffuso. Nella chiesa Cattolica ricordiamo l’adorazione Eucaristica (quando realizzabile). Assente nella tradizione Ortodossa, questa forma bellissima di preghiera è fortemente raccomandabile per i credenti di tradizione latina per la sua maturità e per il forte taglio Cristocentrico. Uno spazio di rilievo potrebbe essere dato alla preghiera di Gesù ed alla preghiera silenziosa di adorazione. Progressivamente si dovrebbe poter portare l’attenzione sul cuore. Vi sono due modi di realizzare questa tappa. Il primo sarebbe da definire “frontale” e consiste nel concentrarsi attivamente sulla zona del petto contenente il cuore. San Teofane il recluso consigliava di concentrarsi sui battiti, e di armonizzare con questi la recitazione della Preghiera. Può essere una via. Ve ne possono essere altre che coinvolgono la respirazione e l’aggancio della preghiera ai due atti, inspiratorio ed espiratorio. Non si tratta di un ”metodo” quanto piuttosto di una forma attiva di preghiera. Essa è attiva come è attiva la liturgia in chiesa. Chi parla di metodo non si rende conto della differenza che c’è tra preghiera passiva ed attiva, né di come questa conduca piano piano a quella. Piano piano, nel corso del tempo, il “cuore” si fa infatti sentire con un “calore”. Per discernere se questo calore viene da Dio basta rendersi conto se si accompagna, anzi se esso costituisce letteralmente un sentimento amoroso verso il Signore. Si tratta di una sorta di amore cieco, non rivolto ad alcuna immagine, concetto o ricordo. Sentiamo di amare il signore con un gemito silenzioso che parte dal nostro petto senza un oggetto preciso se non  Dio, Invisibile ma Presente. Allora il calore è autentico perché è frutto dello Spirito. Si passa alla seconda fase in cui l’attenzione al cuore non è più attiva, in qualche modo “cerebrale”, ma un sentire spontaneo un essere consapevole che il cuore prega “con gemiti inesprimibili”

(Romani 8, 26-27; e  ancora il passo di Isaia 30,15: Quando ti volgerai gemendo, allora sarai salvato e capirai dove eri” ).  Per avere una descrizione più approfondita di questo modo di pregare il lettore di tradizione cattolica (ma anche ortodossa) può far riferimento al testo Cattolico Inglese del XIV° secolo “La Nube della non conoscenza” . In questo testo è anche ben spiegata la tradizionale distinzione Latina tra vocazione attiva e contemplativa. Il lettore di tradizione Ortodossa può invece far riferimento a “L’arte della Preghiera” di Caritone di Valamo, ed. Gribaudi.  Successivamente il Signore può fare silenzio   nella nostra mente e nel nostro cuore, durante la preghiera: è il momento della “Esichia” e della contemplazione “passiva”.  L’adorazione allora si fa più facile ed è più forte la percezione della Divina Presenza.  Per una descrizione più dettagliata della Preghiera di Gesù vedi il paragrafo dedicato in  questo Sito-Blog.

Le  distrazioni

E’ l’argomento principe di chi ha difficoltà a pregare.” Ho troppe distrazioni, meglio smettere.” Dispiace sentire queste considerazioni. Purtroppo le distrazioni dipendono da due fattori almeno:

  • Le condizioni psicologiche con cui noi ci mettiamo a pregare. Stati di ansia,

preoccupazioni materiali, forte stanchezza mentale possono ridurre la nostra concentrazione. E’ quindi bene lavorare alla base del nostro stato d’animo cercando le condizioni migliori per il tempo della preghiera

  • La mancanza di fede. E su questa si può fare poco. La medicina sta nella pazienza.

Non vi sono “sistemi” che attraverso la respirazione o certe parole eliminino le distrazioni. Se un certo modo di respirare ci aiuta a trovare un po’ di calma ben venga ma esso non risolverà il problema in modo radicale.  Non ci possiamo dare la fede da soli, non è dato di avere l’Esichia e la “Contemplazione passiva” a comando fin dai primi passi.  Ci accorgiamo di essere stati dieci minuti a fantasticare? Pazienza ritorniamo all’oggetto della preghiera. Teniamo presente, a parte tutto, che la mente dell’uomo per sua costituzione è sempre in movimento.  Ci distraiamo di nuovo? E’ normale, torniamo di nuovo a pregare e così molte volte. Il Signore NON SE NE OFFENDE, sa che la nostra mente vaga ed è difficile da fermare. Anzi dovremmo RINGRAZIARE perché ci lascia in questa tribolazione. Essa non può che maturarci attraverso il “Lavoro Contemplativo” che consiste appunto nel ritorno costante della attenzione nel suo centro. Vediamo a questo proposito cosa dicono i Padri del Deserto.

Chiesero ad Abba Agatone:” Padre, quale Virtù nella vita Spirituale richiede maggior fatica?” Rispose: “Perdonatemi, penso che non vi sia fatica simile al pregare Dio. Sempre, quando l’uomo vuole pregare, i nemici cercano di impedirglielo; sanno infatti che da nulla sono ostacolati quanto dal fatto che uno preghi Dio. Qualsiasi cosa poi l’uomo intraprenda, se persevera in essa, trova pace, ma la preghiera esige lotta fino all’ultimo respiro” (Detti editi e inediti dei Padri del Deserto, ED Quiqajon, pag. 160, Alf, Agatone 9).  Un passo bellissimo. Ci dice una cosa molto chiara: la preghiera, per chi non lo avesse capito, è fatica. Non è un passatempo riposante, per chi non ha voglia di lavorare. Non ascoltiamo la Marte di turno. Come ricorda Abba Agatone, la preghiera è prima di tutto combattimento. Come illudersi allora di trovare da subito una “preghiera senza distrazioni”? Piuttosto da bravi soldati di Cristo apprestiamoci alla lotta ed al lavoro contemplativo.  Abbiamo chi ci sostiene. Anche se a volte la nostra mente divaga, il nostro corpo è lì e prega. Se recitiamo la preghiera di Gesù od un salmo, presto arriverà un sostegno. Gli effetti di questa preghiera si manifesteranno sotto forma di Gioia dello spirito.  Anche se siamo distratti. Ed essa  porterà il suo frutto.

 

In questa parte è stato delineato un approccio al nostro rapporto spirituale e personale con Dio. Forse in qualche parte tale approccio può essere sembrato un po’ “prescrittivo”. Ci scusiamo se il tono può sembrare non opportuno ma non si è stati capaci di trovare un altro modo di comunicare alcuni dettagli che crediamo importanti.  Vi sono altri aspetti che riguardano il nostro dialogo con Dio, in particolare la lettura spirituale e la Scrittura. Saranno trattati a parte.