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L’apostolato della amicizia, sembra essere uno dei punti forti della vocazione religiosa del laico. Il contatto umano, soprattutto diretto, in persona e non virtuale, è qualcosa di profondo e misterioso, sul quale non basterebbe scrivere un libro intero. Intere scuole filosofiche del 900 hanno fondato la loro speculazione sull’incontro personale. L’annuncio della parola in pubblico è di grande importanza, e storicamente è la prima forma di Apostolato conosciuta. Essa riveste un ruolo centrale nella Chiesa, e giustamente non si può improvvisare. Saper predicare richiede una preparazione teologica che non sempre il laico può offrire. A questi si attaglia di più il ruolo del diffusore capillare, di colui che sa adattare la Parola predicata alle singole storie, alle singole e specifiche situazioni. Ed ancora al laico spetta il ruolo di chi attende nel silenzio il momento di Dio, di chi ascolta, di chi si fa coinvolgere personalmente, gioendo con chi ride e soffrendo con chi piange (Romani 12,14-15).  Dare l’amicizia non è come fare una elemosina: si da sé stessi. Diventa allora fondamentale maturare, nel tempo, una sempre più profonda capacità di ascolto. Nel tratteggiare alcuni aspetti importanti della amicizia spirituale, si avverte la certezza di essere inadeguati, di trascurare inevitabilmente, cose molto importanti. Bisognerà almeno cominciare riservando alcuni approfondimenti a capitoli dedicati.

 

L’impostazione generale

Innanzitutto l’atteggiamento generale. Una vera amicizia non è condiscendenza.  Guai a sentirsi la persona superiore, che dà per carità al bisognoso. L’amicizia non è per chi si sente buono e vuole donare al povero. Non si fa misericordia della propria presenza al bisognoso. Pertanto non c’è spazio per un altruismo programmatico e costruito. Il rapporto personale con un uomo o una donna ha qualcosa del rapporto personale con Dio. Si potrebbe dire che è “…la stessa officina”…

 

Si impara ad ascoltare l’uomo che si vede per maturare la capacità di ascoltare Dio che non si vede. Si impara ad amare Dio che non si vede per amare dello stesso amore l’uomo che si vede.

 

L’adorazione del Signore, lo stare con Lui per lunghe ore, parlare con Lui, amarLo in silenzio, ha nel cuore lo stesso luogo delle lunghe serate passate ad ascoltare i guai di un amico, della partecipazione al pianto di una amica, come alla gioia di chi ha avuto il primo figlio.

 

Ecco perché l’apostolato della amicizia è così spontaneamente connaturato all’Adoratore in Spirito e Verità. Al laico che, lontano dalla recitazione di lunghe liturgie, crede nel rapporto “cuore a cuore” con l’Invisibile e col visibile. Un rapporto che dà, ma riceve anche. Diamo il nostro tempo a Dio, e lui ci consola, ci parla con la sua presenza. Diamo noi stessi ascoltando l’amica, ma impariamo anche qualcosa da lei. A volte anche più di qualcosa. Non ci può essere spazio per atteggiamenti di superiorità.

Non possiamo programmare di “dare qualcosa all’altro”. Nell’amicizia non siamo noi che decidiamo cosa serve all’altro, è il Signore. Se decidiamo noi, il “consiglio” che ne esce è spesso maldestro. La Grazia dello Spirito Santo scende sull’umile. Se noi impariamo dall’altro, allora attireremo la Grazia, che in un modo a noi imprevedibile darà all’altro ciò che per lui è veramente utile. Spesso una parola o una frase per noi insignificante o casuale. Certo. Non siamo noi a decidere.

 

Lìascolto

L’ascolto è qualcosa di veramente complesso. Per molti, abituati a parlare molto, è veramente difficile. La cosa non meraviglia, se è vero che ascoltare è amare ed amare è ascoltare.  Dunque imparando ad ascoltare impariamo ad amare. Quando ci disponiamo ai primi passi, è necessario cominciare a comprendere che parliamo troppo. Per quanto faticoso sia imparare a parlare di meno. Per quanto difficile sia concentrarsi su ciò che l’altro esprime. Qualcosa in qualche modo arriva in nostro aiuto. Da subito ci accorgiamo che l’altro ha da regalarci qualcosa. Riflettere su quanto impariamo stando zitti al momento giusto, rappresenta un piccolo, efficace incentivo.  Il cammino prosegue migliorando sempre di più la passività dell’ascolto. Non si ripete mai abbastanza che ascoltare è incompatibile col giudicare, con l’analizzare, con l’esaminare l’altro. Si impara a recepire, incamerare, fare tesoro in silenzio.

C’è poi un percorso che segue, a volte contemporaneamente, tre distinti piani:

  • Ascolto del corpo
  • Ascolto della mente
  • Ascolto delle qualità spirituali.

 

Ascolto del corpo

Si tratta di scoprire la bellezza spirituale di chi ci sta davanti. Quando potremo dire di esserci riusciti? Quando tutti ci appariranno belli. Quando scorgeremo dagli occhi di chi ci sta davanti, l’anima brillare di vita. E poi la bellezza armoniosa dei movimenti. Ci si dovrebbe chiedere come sia possibile! In alcuni all’armonia dei muscoli si aggiunge il gesto elegante, oppure trattenuto e riservato per il pudore. L’immobilità di tanti tradisce una pace che spesso sembra cozzare con i racconti. Eppure la voce calda e pacata, che si intona segretamente ad una immobilità olimpica, tradisce in certe donne ed in certi uomini, quella pazienza maturata in anni di tribolazioni, di cui neanche si accorgono. La cura dei vestiti non sempre manifesta vanità. Talvolta è rispetto per l’altro, desiderio di presentarsi decenti per non offendere e non far sembrare all’altro che non si tiene conto di lui.

Ascolto della mente

E’ la parte forse più facile, da cui conviene sempre cominciare. Dobbiamo affinare l’attenzione e la capacità di concentrazione per seguire il racconto. Meditare le parole, le espressioni usate. Il modo di dirle, e osservare l’espressione che l’ accompagnano. Lo sguardo. Le mani. Dobbiamo stare attenti a non interrompere. Partecipare col cuore. Sentire. Sentire la persona, l’amico/a dentro di noi per portare tutto in preghiera, gioie ed affanni. Guai a criticare, correggere. Così non si aiuta. Se viene chiesto un sostegno si può provare, ma non è detto che sia opportuno. Il vero aiuto viene dall’alto. Piuttosto recepire le parole passivamente, senza interferire. Accogliere dentro di noi ciò che viene detto e permettere al nostro cuore che venga coinvolto. Nessun distacco. Nessuna difesa ma partecipazione.

Ascolto delle qualità spirituali.

San Paolo ci insegna in Romani 8,29 e in Colossesi 1,15 che Gesù è il primogenito di molti fratelli. Di una moltitudine di fratelli. I fratelli si somigliano per qualche caratteristica: chi per il naso, chi per gli occhi, chi per la corporatura. Insomma essere fratelli vuol dire condividere delle caratteristiche, degli attributi. E’ dunque verità scritturistica, che nel nostro percorso di santificazione ci venga chiesto di somigliare al Cristo. Questo può avvenire per certi attributi, per i quali a buon diritto possiamo sentirci fratelli. Scoprire, conoscere e sviluppare questi attributi divini, nella misura che ci è concessa dalla grazia, è il fine della nostra vita. Ecco perché è importante più che i difetti saper scoprire negli altri questa scala segreta. Una scala che è loro assegnata per portarli alla glorificazione. Certamente questi doni saranno più sviluppati in alcuni, meno in altri, mortificati in altri ancora.  Forse si può allora dire che il vertice dell’ascolto, si raggiunge proprio quando lo Spirito ci illumina sulle qualità della persona che ascoltiamo. Abbiamo già parlato della straordinaria pazienza che mostrano taluni in mezzo alle vicissitudini della vita. Altri rivelano una notevole sensibilità per il prossimo, altri ancora sono disposti a pagare di persona per fare la Verità, sul proprio posto di lavoro. Notare questa bellezza spirituale e saperla restituire è un bel modo di lodare il Signore. Lo possiamo fare descrivendola in modo realistico e chiaro. E’ forse il modo migliore per sostenere ed aiutare chi è in difficoltà.  Ma anche chi è nella gioia e rischia di dimenticare. Molte persone quando entrano in difficoltà si concentrano sui propri errori, e sui propri limiti. Gli amici non sempre sono adatti a sostenere.  Chi coglie la bellezza spirituale presente o potenziale lo è molto di più. Quale opera di Carità è più mirabile di aiutare qualcuno a salire i gradini di quella scala di santità che gli è assegnata. Ogni attributo, dalla Misericordia alla Conoscenza, all’Umiltà, necessita di uno sviluppo che spesso richiede lunghi anni. Inoltre si aiuta portando gioia. Fiducia in sé stessi, e nella Providenza. Ma come intervenire?

 

Intervenire dopo l’ascolto

Il modo migliore per aiutare una persona, con delicatezza e rispetto, non è quello di dichiarargli quello che si pensa. Né è sempre opportuno lanciare idee.  Fare delle domande. Domandare la cosa giusta al momento giusto, e lasciare che la persona, rispondendo, capisca da sola. Infatti non si tratta di imporre il proprio punto di vista ma di aiutare l’altro a scoprire da sé ciò che a lui/lei conviene. Si tratta di maturare ed imparare l’arte di porre delle domande.

 

Intervenire per diffondere il Vangelo

Infine se il momento è opportuno, per esempio se c’è una richiesta esplicita, non è il caso di tirarsi indietro. Niente è meglio di un rapporto interpersonale di fiducia reciproca per iniziare un discorso sulla Parola di Dio e sul Signore. E’ infatti il luogo opportuno per esprimersi portando la propria esperienza personale, cosa più preziosa di una retorica raffinata.  Esperienza alla luce della Parola di Dio. La Parola del Signore è viva, ed è potente. Esperienza e Parola potrebbero essere le due colonne portanti di un annuncio amicale, personalizzato.

 

L’Apostolato della Amicizia come vocazione specifica per il laico

Come già detto, altro è l’annuncio della parola   in pubblico, altro è l’apostolato individuale. Nel primo caso si danno principi generali e da questi ciascuno ricava l’insegnamento specifico per sé stesso. Nel secondo ci si impegna ad entrare, attraverso un ascolto attento, nella vita di ciascuno. Si cerca così di adattare alla singola persona ed alle sue esigenze, il messaggio evangelico. Sono due carismi diversi con diverse attitudini. Da una parte si parla e bisogna saper parlare, dall’altra si ascolta e bisogna saperlo fare. Di qui la necessità profonda della vocazione religiosa dei laici. Difficilmente si sanno fare tutte e due le cose. Il sacramento della confessione utilizzato da alcuni potrebbe non essere il luogo adatto per l’apostolato, che richiede tempi lunghi e molti incontri. La “direzione spirituale” dovrebbe in teoria essere soprattutto luogo di discernimento, e non di apostolato. Tuttavia, seguendo l’impropria interpretazione che alcuni ne danno, sembra somigliare all’apostolato della amicizia. Ha però un inconveniente: è troppo asimmetrica. C’è chi in pratica dirige o insegna, e c’è l’allievo”. Questa condizione è suscettibile di dare dipendenza in chi cerca un “Padre” o un “Maestro”, Non sempre questa situazione è favorevole. L’amicizia alla pari o “relativamente” alla pari può consentire ad alcuni una apertura ed una confidenza maggiore. Soprattutto può permettere una maggiore frequentazione in persona, anche nei momenti di svago. Questo può consentire una maggiore conoscenza reciproca, e quindi  una maggiore efficacia dell’apostolato.

 

Questa prima succinta esposizione su quello che potrebbe essere l’apostolato della amicizia si conclude qui. Data la vastità dell’argomento,   successivamente sarà dedicata a questo tema una serie di capitoli.