Home English EN French FR German DE Greek EL Italian IT Portuguese PT Romanian RO Serbian SR Spanish ES

Dio chiama in ogni condizione di vita. La storia del Cristianesimo ce lo racconta. Eppure chi è già sposato si sente a volte fuori dai giochi. Come già detto, una cultura ancora prevalente, vuole che “Vocazione” sia sinonimo di Prete o Frate (nel cattolicesimo) o Monaca/o (sia nel Cattolicesimo che nella Ortodossia).  Ma sarà vero? Vediamo che dicono le scritture. La guarigione della suocera di Pietro è attestata dal Vangelo di Matteo (Matteo8,14-15), di Marco (Marco 1,29-31) e di Luca (Luca 4, 38-39). In pratica tutti e tre i Sinottici concordano su un fatto: Pietro aveva una suocera, dunque era sposato (e relativamente giovane, visto che la suocera era ancora viva).  Ora si dà il caso che:

  • Pietro viene chiamato a seguire Gesù in Luca 5, 1-11.
  • Pietro viene considerato da Gesù degno di partecipare all’episodio della Trasfigurazione in Matteo 17,1-8, in Marco 9,2-8 e in Luca 9, 28-36, insieme con Giacomo e Giovanni. Dunque è una figura preminente tra gli apostoli.
  • Gesù chiede a Pietro un rapporto particolare di amore spirituale con Lui: Pietro mi ami tu? In Giovanni 21,15-23.
  • In Matteo16,13-20 infine Gesù affida a Pietro davanti agli apostoli e solennemente un ruolo preminente nella Chiesa.

Abbiamo bisogno di altro? Chi si è inventata la storia che il Signore chiama solo al celibato ecclesiastico? Non c’è nessun passo della Scrittura, né scritto Patristico che affermi di dritto o di rovescio che la vocazione a essere discepoli del Signore, voglia dire non essere sposati. Non solo, ma la storia della Chiesa ci consegna Vescovi sposati come Pietro. Anzi l’impressione che si ha è piuttosto che questo particolare, di un San Pietro sposato, venga gentilmente omesso. Non negato, no assolutamente. Messo sotto il tappeto, come la polvere. E’ d’altra parte un po’ il Vangelo lo aveva predetto: gli Apostoli discutono su chi tra loro è il più grande in Matteo26,31-35; Marco 14, 27-31; Luca 22,8 e Giovanni 13,31-38. Il problema è così grosso ed importante, che viene riportato da tutti e quattro i Vangeli. Si d’accordo, viviamo nella carne, siamo deboli etc. ma se si arriva al punto di mettere una parte della Chiesa così grande, come i fedeli sposati, in una condizione di “paria” dello Spirito, allora non si può tacere.

 

Gesù chiede ad un uomo sposato un amore profondo per Lui

San Pietro era sposato ed è stato scelto da Gesù per un rapporto personale con Lui di intimo Amore spirituale (Pietro mi ami ti?….). Ricapitoliamo: è sposato ma Gesù, che lo sa benissimo, gli chiede “Mi ami tu?….”. Perché vuole questo amore? Pietro non è forse distratto dalla moglie e dai doveri familiari? Dobbiamo credere che Pietro abbia lasciato la consorte? Ma allora perché in Matteo8,14-15 Gesù va nella casa di Pietro per guarire sua suocera? E’ inverosimile. No Pietro è sposato, ma nonostante questo Gesù chiede a lui un amore speciale. Gli chiede di essere amato e praticamente lo rimprovera di non amarlo abbastanza: vuole più   amore da lui. Addirittura. E la moglie di Pietro?  Evidentemente non c’era e non c’è tutta quella contraddizione che qualcuno vuole vedere, forzando San Paolo (vedi sotto), tra amore per Dio ed amore coniugale. Ma perché Gesù chiede questo amore a Pietro? Pare di capirlo dall’ordine che gli impartisce subito dopo: “Pasci le mie pecore”. Gesù sta dando a Pietro una grossa responsabilità. Anzi ribadisce a Pietro la grossa responsabilità già data in Matteo 16, 13-20.  Per assolvere la grande responsabilità affidatagli, Pietro deve amare Gesù in profondità. Gesù gli fa notare che non è così.  Il tradimento successivo lo confermerà. Dunque non solo Gesù sceglie un uomo sposato come discepolo, ma chiede a lui più che ad altri un amore profondo. Quell’amore che assicuri un’autentica presa di responsabilità spirituale dei fedeli che saranno a lui affidati.  Sembrerebbe quasi che Gesù scelga per le responsabilità della Chiesa chi si è già sperimentato con le responsabilità della famiglia. Basterebbero queste semplici considerazioni   per chiudere il problema. Problema che non c’è.  Ma andiamo avanti.

 

Il vero senso del celibato ecclesiastico

Vediamo le ragioni dei celibi. Il celibato ecclesiastico trova essenzialmente due fondamenti scritturistici: Matteo 19 10-12 e 1Corinzi 7, 32-34. Esaminiamoli con attenzione.

Dice il Vangelo:  ”Gli dissero i discepoli: se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla  donna, non conviene sposarsi. Egli rispose loro: Non tutti possono capirlo ma solo coloro ai quali è stato concesso. ….e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire capisca….”. Dunque c’è un problema di convenienza. Sembra di capire che da sposati vi sono degli obblighi nei confronti della moglie, compreso la fedeltà, mentre chi si fa eunuco è più libero per il Regno. Chi si fa Eunuco sceglie una condizione più conveniente. Non tutti possono capirlo. Giusto. Nulla di più vero e verità ribadita da San Paolo.

 

1Corinzi 7, 32-34.

Il Contesto. Al versetto 7, 7, San Paolo specifica:” Vorrei che tutti fossero come me, ma ciascuno ha il suo proprio dono da Dio, chi in un modo chi in un altro”.  Poiché sta parlando di sposarsi o no, sembra chiaro che riconosca come dono sia il celibato che il matrimonio.  Inoltre: “Ai non sposati ed alle vedove dico che è cosa buona per loro rimanere come sono io…. (Corinzi 7, 8)”. Ma poi specifica “Agli sposati ordino non io ma il Signore….” (vv7,10). Dunque c’è un contesto che ci dice: a) questo consiglio non viene dal Signore, ma da me perché non vorrei vedervi preoccupati b) Ciascuno però ha il suo dono, il matrimonio od il celibato.

  • 2 Il contenuto dei versetti 7.32-34. San Paolo in questi versetti non parla di cuore ma solo di preoccupazioni, E con ragione aggiungiamo noi. Per il celibe è vero che è più facile dare spazio alla propria passione per Dio, mentre lo sposato deve combattere con le necessità economiche ed affettive della famiglia (e non solo della moglie). Dunque per lo sposato è più difficile seguire il Signore in un discepolato radicale, che vuole tutto donare a Lui. Ma non impossibile, perché “Ciascuno ha il suo dono da Dio”. E in questo dono, l’esperienza di tutti i giorni ci dice che è contenuta anche quella forza della Grazia che fa superare, al laico sposato, le difficoltà a cui, giustamente, accenna San Paolo. San Paolo non parla di un amore per Dio imperfetto da parte dello sposato. Parla in modo pratico di preoccupazioni, del rischio di dispersione. Dunque avere una grande passione per Dio da sentire il bisogno di concentrarsi interamente in Lui, e di amarlo con tutto il cuore, non giustifica di per sé il celibato. Questo è possibile, anche se con più difficoltà, anche agli sposati.

 

Conclusioni

Precisiamo quindi:

  • In nessuno dei due passi del Nuovo Testamento che giustificano il celibato ecclesiastico, si sostiene che SOLO i celibi possono essere discepoli di Cristo. Sarebbe una bella contraddizione con la chiamata di Pietro.
  • In nessuno dei due passi citati si sostiene che il celibato ecclesiastico sia superiore al matrimonio
  • In entrambi i passi, decisamente coerenti tra loro, il celibato viene giustificato dalla CONVENIENZA: esso rende più facile, più agevole, meno disturbato dalle preoccupazioni il cammino di sequela di Cristo del Discepolo.

 

Dunque animo, anche gli sposati sono in pista. Valga per loro quello che vale per tutti, sposati e non: quando si sente nel cuore il desiderio di dedicare tutto se stesso al Signore, quando si vorrebbe stare sempre con Lui e leggere ed ascoltare su di Lui ci dà gioia, quello è il segno che Lui chiama.  Questo è il segno che dobbiamo sempre tenere presente, per far fronte alle tentazioni, ai contrasti ed alle difficoltà. E’ quello, solo e soltanto quello il segno che conta veramente.