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Il celibe non consacrato

Il Signore chiama tutti. Anche chi, sentendo l’appello del suo amore non intende fare voti o collocarsi in un monastero. C’è chi attempato/a   vorrebbe ancora sposarsi ed attende l’anima gemella, come chi ha ormai perso le speranze, e tuttavia non sente sua una strada istituzionale. C’è chi è rimasta/o vedova/o o chi si è separata/o dal coniuge, ed infine c’è è chi semplicemente non sente la vocazione a fondare una famiglia. Si tratta di un’area piuttosto vasta della popolazione. Oggi, a quanto pare, in crescita. E’ importante se non urgente arricchire di senso questa posizione, specialmente in chi si sente attratto dal dare tutta/o se stessa/o a Dio. Queste persone rientrano in pieno in coloro a cui è indirizzato l’appello di Paolo in 1Corinzi 7: Al versetto 7, 7, San Paolo specifica:” Vorrei che tutti fossero come me, ma ciascuno ha il suo proprio dono da Dio, chi in un modo chi in un altro”.  Ed ai versetti 17 e seguenti, esorta a rimanere come si è al momento del battesimo, se sposati sposati, se celibi celibi. Eppure il grosso rischio è che questa posizione non venga tutelata. Al più si sente dire che chi è rimasto solo è associato alla croce di Cristo. In confessionale si può assistere a scenette simili: “Padre mi sono masturbato” “Sei sposato?” “No” “Allora sposati!”

Fantastico, in fondo basta andare al mercato a comprarsi un marito o una moglie. Questo senso di incomprensione acuisce, a volte la solitudine della nubile o dello scapolo. Eppure chi scrive ha un solo ricordo di santo incontrato nella vita. Anzi una Santa.

 

Una santa nascosta laica, sola e senza voti

Maria Grazia Tomaselli è morta da più dI 20 anni, ma il suo ricordo è ancora vivo.  Conosciuta molti anni prima, si fu subito profondamente colpiti dalla sua serenità e dalla sua pace contagiosa. La fede che viveva con serietà ed intensità, moderava le asperità della sua difficile vita. La pace le conferiva un senso di felicità sobria e pacata, che stupiva chiunque la incontrasse. Era una donna di mezza età veramente provata dalla vita. Fin da piccola aveva sofferto di una rarissima forma tumorale, che tendeva a moltiplicarsi soprattutto nelle ossa, provocando fratture ripetute. La vita però, almeno nei primi anni, le era risparmiata. La riparazione delle numerose fratture aveva causato una serie interminabile di interventi chirurgici, degenze ospedaliere e cure di ogni genere. Le rotture agli arti inferiori avevano, inoltre, provocato una bassa statura. Maria Grazia viveva sola, non si era sposata, ed insegnava con passione presso una scuola.  La solitudine affettiva, la sofferenza per la malattia che aveva costanti e dolorosi sviluppi, e l’incertezza per la stessa sopravvivenza, avrebbero sopraffatto chiunque. Maria Grazia invece stava lì, al suo posto, sorridente e serena totalmente abbandonata al Signore, di cui parlava con piacere, affetto e pacatezza misurata. Colpiva la totale assenza di quelle punte di eccesso che spesso si notano, con tristezza, in situazioni simili. Niente ira, niente risentimento, niente euforia e niente manie o “pallini”. Calma e sorridente parlava sempre con affetto evidente del Suo Signore, e sempre bene di tutti. I suoi parenti le chiedevano di recarsi in qualche santuario per chiedere la guarigione, ma lei resisteva:

“Se il Signore ha permesso questo per me, vuol dire che va bene così”. Parlando con lei ci si rendeva subito conto che la sua non era rassegnazione, ma amore. Amava il suo Signore ed era grata per la vita che Lui le aveva assegnato. Era una donna indipendente ed aperta, curava con sobrietà ed apertura le sue amicizie, ed era sempre disposta ad ascoltare per ore i guai degli altri, spesso ben più lievi dei suoi. Era assolutamente evidente che i dolori della sua vita, così particolare, avevano forgiato in lei, con l’opera della grazia, una pazienza solida ed indefettibile. Non era un pezzo di legno, aveva i suoi momenti di sofferenza, ma li superava sempre meravigliosamente bene. Maria Grazia non aveva bisogno di fare miracoli: la sua vita era il miracolo. Infatti senza la potenza dello Spirito non sarebbe di certo stata possibile.

Questo blog vorrebbe proporre un simile modello di Santità. Non un monaco carismatico che si sposta sollevato dieci centimetri da terra, né il mistico col dono della bilocazione. Questi sono modelli importanti ed utili per tantissime persone, e ad essi è dovuto un grande rispetto ed ammirazione. Tuttavia abbiamo tanto bisogno di esempi di vita cristiana più vicini alla nostra vita quotidiana. Abbiamo bisogno di laici che ci mostrino il miracolo dello Spirito nella loro pazienza, umiltà, nella semplicità. In una parola nelle virtù che tutti possiamo perseguire. Anche queste in realtà sono miracoli. Un ubriacone che diventa un digiunatore è un miracolo. Un malato che ringrazia il Signore per aver permesso la sua malattia è un miracolo. Un egoista che diventa attento agli altri e caritatevole, è un miracolo. E’ allora una cosa bellissima che sia una celibe non consacrata, una insegnante che viveva sola, senza mai pensare a voti di un qualche genere., ad essere il modello di santità per i laici che si sentono in sintonia con questo blog. Lo diciamo con commozione e trasporto.

Maria Grazia ci ha fatto vedere che anche nella solitudine, il Cristiano può crescere e farsi santo.  Questo blog fornirà vari spunti e stimoli, che il celibe potrà condividere con lo sposato, per un interesse comune. Tuttavia possiamo intanto qui mettere a fuoco alcuni aspetti più specifici, specialmente utili per chi vive solo.

 

Maturare nella solitudine

Dobbiamo infatti tenere ben presente che la solitudine è comunque una difficoltà, una prova importante che viene chiesta al credente. A parere di chi scrive due sembrerebbero a prima vista gli aspetti più importanti di questa prova. Il senso di mancanza sul piano affettivo, e l’incertezza per il futuro. La prima si manifesta a volte in certi momenti della giornata, come il risveglio od il momento di coricarsi. E’ molto frequente il desiderio della presenza fisica di una persona con cui parlare, per esempio a pranzo o a cena. Inoltre vi è l’esigenza di un appoggio nei momenti di difficoltà che incorrono nella vita, per esempio nel lavoro. In queste circostanze gli affetti familiari sono basilari e conferiscono stabilità. L’insicurezza per il futuro può avere aspetti immediati, come la preoccupazione di non avere un aiuto se dovesse succedere qualcosa alla salute. Vi può essere timore di   un incidente domestico, come una frattura dovuta ad una banalità. La solitudine può generare ansia per il proprio destino a lungo termine, nella vecchiaia. La vita da soli comporta poi altre difficoltà, come quelle economiche: una coppia di sposi che lavorano possono pagare l’affitto di casa con più facilità, per esempio. Abbiamo qui accennato solo ad alcuni aspetti, quelli che ci sembrano più importanti, ma la vita da soli comporta svariate altre problematiche. Di fronte ad una condizione così sfaccettata ci sembra intanto utile proporre un principio generale volto ad attutire l’impatto della solitudine: se c’è un appello di Dio a donarsi a Lui con tutto il cuore, la risposta coerente a questa chiamata, sia pure imperfetta, rappresenta un’ottima risorsa per vivere con più serenità la solitudine. Anzi si può dire che la chiamata di Dio rappresenta, in questi casi, un vero dono straordinario. Vediamo quali sono i mezzi con cui essa può arricchirci:

  • L’amicizia spirituale.

Vi è un percorso nel Signore che forse può aiutare qualcuno. E’ quello tracciato da alcuni santi, ed è quello della amicizia spirituale. Si tratta di un modo molto bello di esprimere amore per il prossimo, e fonte inesauribile di esperienze di volontariato. Quando facciamo una elemosina diamo dei soldi. Quando diamo la minestra agli immigrati in fila diamo del cibo a qualcuno.  Quando diamo la nostra amicizia, diamo noi stessi, e spesso saremo ricambiati più dell’atteso.  Ci sono tante persone che chiedono amicizia: altre persone sole, ammalati gravi, amici in difficoltà, persone arrivate da poco in Italia e disorientate. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Altri contatti ancora si possono sviluppare frequentando corsi biblici, o di genere profano. Non dobbiamo avere paura di mettere in gioco la nostra affettività. Anzi, sono proprio le persone con bisogni affettivi quelle naturalmente predisposte a ricevere il dono dell’ascolto. Un dono bellissimo che pochi hanno, e che consola tante persone. Si potrebbe forse dire che proprio il cammino di perfezionamento attraverso l’ascolto, potrebbe rappresentare il carisma della persona sola. Un carisma in realtà molto complesso e ricco, che può portare

chi vi scava a fondo, a giungere ad esperienze notevoli di percezione spirituale. Si tratta di imparare ad “ascoltare” Dio che non si vede, imparando ad ascoltare l’uomo che invece si vede.  Possiamo riservarci un angolo di vita solitaria tutto per noi se lo gradiamo, altrimenti possiamo far diventare la nostra casa un porto di mare. Dipende dalla nostra sensibilità e dal nostro temperamento. La bellezza di una amicizia casta fatta nel Signore, sta anche nel fatto che possiamo portare i nostri amici nel cuore durante la liturgia eucaristica. E poi anche, naturalmente, nella nostra preghiera personale. Infine il nostro stesso perfezionamento potrà giovare ai nostri amici.

  • Viaggi e soggiorni a carattere spirituale.

L’assenza dei legami familiari può consentire, se il lavoro lo permette o se si è già in pensione, di effettuare viaggi di lunghezza variabile per ravvivare il nostro spirito. Si può fare un pellegrinaggio a Gerusalemme e nei luoghi santi di una settimana, ma si possono anche passare 6 mesi nel deserto. Ci sono tante possibilità che si aprono con più facilità, per il celibe piuttosto che per lo sposato

  • Maggiore regolarità nella organizzazione della propria vita spirituale.

La gestione di una famiglia con i suoi numerosi contrattempi e cambi improvvisi di orario, può rendere difficile seguire un filo organizzato della propria vita spirituale.  L’ordine nella propria vita e la costanza dell’impegno, come abbiamo visto in uno dei capitoli precedenti, sono basilari nella vita religiosa del laico. Il celibe può dunque usare la propria solitudine per conferire spessore al proprio impegno cristiano

  • Frequenza sistematica a corsi biblici e corsi

di laurea in scienze religiose.

La maggiore libertà può consentire un grosso arricchimento sul piano teologico e scritturistico

  • Maggior impegno nella preghiera.

Vi sono due linee di sviluppo di questa opportunità. Una consiste nella possibilità  concreta di dilatare i tempi dedicati alla orazione, e di collocarli più liberamente. Un’altra linea di sviluppo consiste nella più facile organizzazione di giornate di ritiro presso monasteri o luoghi adatti. Questo è realizzabile sia mensilmente (per qualcuno anche settimanalmente), sia con un ampio ritiro annuale. Una buona idea potrebbe essere quella di scegliere un punto di riferimento fisso, una comunità o un monastero, in modo da fare di esso il nostro appoggio spirituale. Meglio se ci vive anche il nostro Padre Spirituale.  Con gli anni potremmo cominciare a sentirci una parte speciale, particolare, di quella comunità.

  • Maggiori possibilità di accedere ad impegni istituzionali: diaconato, lettore, responsabilità di gruppi o settori della chiesa locale etc.

Queste in linea di massima alcune osservazioni. Nei precedenti capitoli abbiamo approfondito le possibili caratteristiche della vita religiosa del laico. Negli approfondimenti vedremo i possibili sviluppi  nel lavoro e nel tempo libero, cosa che interessa il celibe come lo sposato.    Possiamo però concludere che la solitudine del celibe, della vedova/o o del separato/a, che ha sentito nella vita una chiamata all’unione profonda con Dio, pur mantenendo la sua difficoltà,   può diventare fonte di arricchimento e di gioia spirituale.