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Marta e Maria

 Il 4 di giugno abbiamo festeggiato le sante sorelle di Lazzaro, Marta e Maria. Ricordiamo insieme il brano evangelico che ne parla:

“Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta” (Luca 10,38-42).

In seguito si capirà che le due sono sorelle di Lazzaro, quello che poi morirà e risorgerà.

Questo passo del Vangelo non è così semplice come sembra a prima vista. Innanzitutto ci sono delle obbiezioni legittime da fare. Ha ragione Marta! Perché il Signore le dà torto? Insomma Marta faceva gli onori di casa come si conviene a degli ospiti. Apparecchiava la tavola, probabilmente cucinava, etc. La sorella invece si guardava bene dal lavorare e se ne stava ad ascoltare, scaricando tutto il peso dell’ospitalità sulla sorella. Beh! Insomma! Mica tanto carino. Giusto che si alzasse e desse una mano. No? E invece Gesù dà ragione a Maria. Siamo sinceri. C’è una difficoltà. Il Signore sembra mettersi dalla parte del torto. Come si fa a superare questo ostacolo?

 

L’ interpretazione simbolica

Una parte dei commentatori, quelli di osservanza Romana, si sentono autorizzati a trasferire il significato del brano evangelico, su un piano simbolico. Marta sarebbe il simbolo della “Vocazione attiva”. Per intenderci, la vocazione di coloro che si preoccupano di assistere i poveri e di badare al funzionamento pratico della Chiesa. Maria invece sarebbe il simbolo della “Vocazione contemplativa”. La vocazione cioè di coloro che si sentono chiamati alla preghiera e si chiudono in un monastero, ad intercedere per il mondo. Addirittura, seguendo questa interpretazione, vi sarebbero due cristianesimi, uno “attivo” ed uno “contemplativo”, e quindi due tipi diversi di cristiani. Questa interpretazione sembra avere un qualche riscontro nella vita della Chiesa, dove effettivamente troviamo sia gli uni che gli altri. Ma davvero è così? La Chiesa Ortodossa, nella sua saggezza, è poco incline a seguire questi sviluppi. Come si fa infatti ad accettare che ci sia chi è superiore e chi inferiore? Come si fa a destinare una parte dei fedeli (la stragrande maggioranza) a qualcosa di meno importante? La lettura simbolica dell’episodio evangelico di Marta e Maria, sembra soddisfare in un primo momento. Ma basta un po’ di riflessione per coglierne i limiti. No, le difficoltà non paiono superate. Ma allora?

 

Maria fissa lo sguardo sul serpente di rame

Allora proviamo a leggere il Vangelo con il Vangelo. Uno dei metodi più sicuri ed affidabili. Proponiamo questo brano:

“E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Giovanni 3,14-15). Questi versetti si riferiscono ad un famoso episodio accaduto a Mosè, di cui forniscono una profonda e bellissima spiegazione spirituale. Gli Israeliti, avendo peccato contro il Signore, vennero assaliti da serpenti velenosi. Essi allora si pentirono, e chiesero a Mosè di domandare a Dio la salvezza da questa calamità. Questa fu la risposta di Dio. “Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita”.   Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita” (Numeri 21,8-9).  Dunque, il Vangelo di Giovanni dà questa bella interpretazione spirituale dell’episodio, attualizzandolo: il Figlio dell’uomo dovrà essere innalzato, cioè crocifisso, e sulla Croce sarà come quel serpente di Rame di Mosè. Chiunque guardi a Lui con fede, credendolo il Messia, sarà salvo, esattamente come gli Israeliti, che si salvarono dal morso velenoso dei serpenti, guardando al Serpente di Rame di Mosè. Il morso dei serpenti, sta per il peccato Ancestrale. Dunque chi guarda con fede a Gesù, sarà salvo dalle conseguenze del peccato Ancestrale. Peccato che, lo ricordiamo, fu dovuto alla tentazione di un serpente, appunto.  Inoltre bisogna aggiungere un particolare sorprendente. I commentatori ebrei, notano che la parola ebraica “Mashiah”, cioè Messia, corrisponde alla parola nahash, che appunto vuol dire serpente. Davvero la bibbia è parola di Dio!  Il significato del brano di Marta e Maria quindi, alla luce di questo passo del Vangelo, comincia a chiarirsi. Maria “guarda a Gesù”.  Egli è la salvezza e dunque credere in Lui, guardare a Lui, è la prima cosa. La cosa più importante. Gesù coglie lo spunto dal bisticcio tra sorelle, per darci un insegnamento che, nelle sue lettere, ci darà anche San Paolo: la salvezza non viene dalle molte opere, ma dalla fede in Gesù Cristo.  Naturalmente se c’è la fede, anche le opere acquistano un valore, ma si ribadisce che “guardare a Gesù, come al serpente di Mosè è la cosa più importante”. E Maria guarda Gesù. Lo ascolta. Oggi si direbbe “si beve le Sue parole”, ama la Sua Presenza. Sta alla Sua Presenza.  Maria sta ai piedi del Maestro. Del vero Maestro. Dell’Unico Vero Maestro. E ascolta. Guarda al Serpente di Rame che la salverà, anzi, già la sta salvando. Come?

Un vero Maestro è capace di trasformare i suoi allievi

 

Concludiamo questa meditazione su Marta e Maria con un altro parallelismo.

“Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli….E non fatevi chiamare ‘maestri’, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo” (Matteo 23,8.10). Perché Gesù è l’unico maestro? In fondo i suoi insegnamenti, contenuti nella Bibbia, possono essere appresi e divulgati anche da un uomo. Un maestro, appunto. Non avviene forse proprio così ordinariamente?  Sì, avviene così, ma il Vero Maestro, quello con la M maiuscola non trasmette soltanto concetti. Il Vero Maestro trasforma e salva. E’ la parola di Gesù, la parola del Vangelo, che tocca in profondità l’anima umana come ci spiega S. Paolo. Maria sta ai piedi del Signore e beve le sue parole. Questo prima di tutto ci deve essere chiaro. Il Maestro ci trasforma quando leggiamo e meditiamo la parola di Dio. Poi, la contemplazione. La presenza, la Divina Presenza cambia piano piano il nostro temperamento. Smussa i nostri spigoli, ci santifica gradualmente, anno dopo anno, ed infine ci salva. Altro che maestri di carne. Nessuno ha il potere di trasformarci realmente. Solo la Grazia che la Divina Presenza emana può farlo., quando come Maria stiamo con Gesù E lo fa amandoci. La Divina Presenza emana amore, e noi ce ne accorgiamo perché sentiamo un cuore che ama il Signore, senza sapere perché. Senza immaginare. Così….gratuitamente. E questo è esattamente quello che si chiama Carità. La Carità, infatti, non consiste nel fare delle elemosine, ma consiste nell’amare Dio per sé   stesso e gli altri con l’amore di Dio.  Questo ci insegna San Massimo il Confessore.  Dunque, quando stiamo alla Sua presenza il cuore si riscalda ed arde di amore per Lui. Questo, soprattutto questo, ci trasforma, ci cambia, ci rende piano piano un poco più somiglianti a Lui. Come ci ricordano i Padri. Dice infatti San Diadoco di Fotica nella Filocalia (Definizioni. Discorso ascetico in cento capitoli, n°89):” Infatti nessuna altra virtù può procurare all’anima l’Impassibilità” (Cioè la vittoria sulle passioni) se non la sola carità, perché pienezza della legge è la carità”.

 

Imitare Maria

E allora come imitare Maria? Non è difficile. Vediamo:

  • Prima di tutto dobbiamo fare “nostro” il Maestro con il suo corpo ed il suo sangue. La Divina Eucarestia, preceduta, se è il caso, da una buona confessione, è il primo modo per entrare in contatto profondo con il Maestro. Un Maestro che per prima cosa ci dona sé stesso.
  • Quindi si tratta di coltivare la grazia dell’Eucarestia nella vita di tutti i giorni. Bisogna innaffiare questa pianta che il Sacerdote ha messo nei nostri cuori. Leggere e meditare la Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento. Fare come Maria, abbeverarsi alla Parola. Dedicare a questo compito un breve, anche brevissimo ma costante angolo della nostra vita. Un Vangelo si può mettere in tasca e si può leggere in autobus. Bastano poche righe. é sufficiente per pensare e meditare sulla nostra vita. Quindi coltivare il nostro cuore con la preghiera personale. Pregare tutti i giorni, almeno per un po’. Mettersi tutti i giorni nei panni di Maria. Stare con Lei ai piedi di Gesù, del Maestro. Coltivare giorno dopo giorno, quella divina presenza che sola è in grado di cambiare il nostro carattere.

 

Non ho tempo

 E’ la risposta di tutti. Se telefona un amico abbiamo spesso il tempo di stare un quarto d’ora al telefono. Se telefona il Signore …trova sempre occupato. In realtà pregare ci annoia. Vorremmo evitare. È normale. All’inizio ci vuole un po’ di convinzione e di forza di volontà. Il segreto sta nel non chiedersi troppo. Si può cominciare con 5 minuti. Per esempio leggendo un salmo. La mattina non è un grande sacrificio svegliarsi 5 minuti prima, e recitare un bel salmo. Si può iniziare l’orazione con questa preghiera: Signore, abbi pietà di me e insegnami a pregare. Sempre. Tutte le volte che intendiamo leggere un salmo. Poi possiamo iniziare la lettura, facendolo lentamente. Pensando di essere noi quello che parla. Se il salmo 22 dice” Il Signore è il mio pastore non manco di nulla”, diciamolo pensando di riferirci a noi stessi, alla nostra fiducia in Lui. E se poi i versi continuano”….se anche camminassi in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me…” Ecco, quella valle oscura sono i nostri problemi,  le difficoltà sul lavoro, le preoccupazioni per la salute, etc. Dobbiamo recitare i salmi convinti di parlare di noi stessi:” ….Il Signore ascolta il gemito dei prigionieri e li libera…” Ecco quei prigionieri siamo noi, la liberazione è la liberazione dalle nostre passioni dal nostro peccato. Dobbiamo rivolgerci con coraggio a Qualcuno che riteniamo presente. All’inizio ci vergogneremo. Ci verrà ogni sorta di pensiero derisorio. Ci sentiremo come degli stupidi che parlano al muro, ma non dobbiamo scoraggiarci. Se insistiamo nel chiedere la Preghiera il Signore ce la darà. Egli aspetta soltanto per saggiare la nostra decisione. Piano piano cominceremo a renderci conto che non parliamo più al muro. Piano piano la Divina Presenza si manifesterà. La fatica verrà ricompensata e quei primi 5 minuti ci sembreranno troppo pochi. Diventeranno 10, poi 20, etc. Alla fatica subentrerà la gioia, e cominceremo a capire di più Maria. Cominceremo a sentirci come lei.

 

Le distrazioni

Non c’è niente di più presuntuoso che pretendere di pregare senza distrazioni. Chi si fa catturare da questa forma di orgoglio, smette ben presto di pregare. Le distrazioni sono il sale della preghiera. Quando ce ne accorgiamo riportiamo l’attenzione sulla Presenza di Dio, senza drammi. Questa pazienza ci verrà computata a merito e sarà all’origine di grazie spirituali. I Padri del Deserto insegnavano che le distrazioni ci saranno tutta la vita. Diamogli credito e andiamo avanti con fiducia.

 

Conclusioni

 Il segreto di Maria, sorella di Lazzaro, è forse svelato: la cosa più importante sta nell’avere una fede centrata su Gesù Cristo e coltivata con l’Eucarestia. Si tratta di stare il più possibile ai piedi della Sua Divina Presenza, e di imparare a “fissarlo” con la preghiera e la supplica. Tutti i giorni. Si tratta di imparare ad amare il Signore per sé stesso, con il sentimento semplice e purificato del nostro cuore.  Se facciamo questo il nostro carattere lentamente migliorerà. Saranno gli altri a farcelo notare. Ci vorrà del tempo, ma succederà. Allora anche le nostre opere saranno animate da più retta intenzione. A quel punto, certo, potremo fare anche un po’ le “Marte”, e dedicarci con più lena al servizio.