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La Caduta Ancestrale

 Nel Giardino dell’Eden Dio aveva piantato molti alberi. Due tra questi erano speciali. Uno era l’albero della vita e l’altro quello del bene e del male. Il Signore, come noto, proibì ad Adamo ed Eva di mangiare del frutto di quest’ultimo, avvertendoli che se fosse successo sarebbero morti. A proposito dell’Albero della Vita non ci furono però comandi particolari. Ricordiamoci, a questo punto brevemente, cosa successe: “Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi” (Genesi 3,4-7). Perché Eva cade nella disobbedienza? Perché il serpente gli aveva detto “si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male”. E cosa successe in realtà? “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi”. Cosa vuol dire? Ce lo dice un Padre della Chiesa, il Siriaco, Ishodad:

“Essi erano stati creati impassibili nell’ordine degli angeli, ed erano nella contemplazione delle realtà spirituali, ma quando trasgredirono il precetto, da tale contemplazione scesero alla contemplazione delle realtà corporee, e così videro la nudità dell’uno e dell’altro, e furono spinti dal desiderio l’uno verso l’altro”.

Ecco cosa è successo: si è oscurato il loro occhio interiore, il Nous, l’occhio dell’anima, con cui contemplavano le realtà celesti.  Al suo posto hanno prevalso gli occhi di carne, che hanno visto la carne, cioè la nudità. Ma non solo, dice Ishoad. Non contemplando più le realtà spirituali, essi non hanno più rivolto il desiderio verso Dio, ma verso sé stessi, in modo egocentrico.  Qui sta tutto il nucleo fondamentale della caduta. Questo ha appunto un riflesso decisivo su come l’uomo vede il Bene ed il Male. Infatti il peccato ancestrale si è comunicato a noi, generazione dopo generazione, per cui tutti ragioniamo nell’oggi, come Adamo ed Eva dopo il morso fatale. In fondo, il Serpente aveva ragione. Ora conosciamo il Bene ed il Male, ma purtroppo a modo nostro. La cosa ha enormi conseguenze nella nostra vita. Vediamo quali.

 

La Sacra Scrittura ci soccorre insegnandoci il Bene ed il Male nella Morale

 Dio ha poi cacciato Adamo ed Eva dall’Eden, è vero, ma non ha lasciato l’uomo da solo. Si è rivelato attraverso le meraviglie del Cosmo ed attraverso la Bibbia. Ha soccorso l’umanità, fornendola della saggezza morale che le era indispensabile. Ha donato i dieci Comandamenti ed il Vangelo. Non uccidere. Non rubare. Non desiderare la donna d’altri. E poi, Sii misericordioso ed avrai misericordia. Ama il tuo nemico. Ed insieme a questi tanti altri precetti. Cosa hanno in comune queste parole del Signore? Hanno in comune il rifiuto dell’egocentrismo. Mi farebbe comodo sbarazzarmi di un mio concorrente uccidendolo, ma la Legge me lo vieta. Potrei rubare quella cosa di cui ho bisogno, ma il Signore non vuole. Anzi vuole che superi a fondo me stesso, ed invece di ucciderlo mi ordina di amare il mio nemico. Dunque abbiamo la “cura” Divina: il bene non corrisponde al mio piacere ed alla mia convenienza. Se obbedisco alla legge del Signore opero oltre ciò che apparentemente mi conviene. Non guardo al mio piacere. Non guardo allo star bene. Esco dall’egocentrismo e mi rivolgo verso Dio, come mi chiede il primo comandamento. Sollevo lo sguardo dai miei interessi. In buona sostanza opero contro le conseguenze del peccato ancestrale.

 

Il dolore e la povertà della nostra visione del Bene e del Male

 Qui arriviamo ad un punto delicato. Chi scrive è stato educato dagli eventi, a tacere di fronte al dolore. Di fronte ad una sofferenza devastante, come la morte di un coniuge o di un figlio, come l’avere una malattia grave ed inguaribile, come perdere il lavoro e non sapere come mantenere la famiglia, non si ha diritto di parlare. Soprattutto di insegnare. Chi scrive è il primo a ribellarsi contro Dio di fronte ad una sofferenza imprevista ed acuta. È il primo a gridare: perché Signore? Perché nascono bambini paralizzati e ciechi? Perché ci sono terremoti con migliaia di vittime innocenti? Perché tanti muoiono di fame? Perché? Dio non doveva farlo. Non doveva lasciarmi nel dolore così. Cosa avevo fatto mai? Non resta che condividere il dolore. Partecipare al dolore di tutti. Eppure…Eppure qualcosa dobbiamo fare. Abbiamo bisogno di crescere. Guardiamo ancora una volta ai Padri. Cosa ci hanno insegnato?

“Se non sollevi gli occhi crederai sempre di essere nel punto più alto”

 Così recitava una scritta sul muro di una cittadina toscana. Una frase profondamente vera. Essa rappresenta un commento a quanto detto dal Siriaco Ishoad a proposito delle parole “…Allora si aprirono gli occhi di tutti e due…”. Lo ripetiamo:”… erano nella contemplazione delle realtà spirituali, ma quando trasgredirono il precetto, da tale contemplazione scesero alla contemplazione delle realtà corporee…”. Seguendo Ishoad possiamo dire in sintesi: dopo il peccato ancestrale gli uomini guardano in basso. E possiamo aggiungere: …ma si credono nel punto più alto. Come conviene alla superbia, cioè alla sostanza del peccato di Adamo ed Eva. È la combinazione di due fattori che ci rende ciechi. Guardiamo in basso e crediamo di essere nel punto più alto. Proviamo allora a sollevare gli occhi domandandoci:

se il Signore indicandoci il Bene Morale ci ha fatto capire che esso nasce dalla rinuncia al nostro egoismo, dalla rinuncia a vedere sempre la nostra convenienza, il nostro vantaggio (apparente), il nostro piacere, perché allora il Bene dovrebbe sempre coincidere con lo star bene, non avere mai malattie, non avere lutti, nel guadagnare molto, nella nostra convenienza, nel non soffrire mai?

 

Una buona ragione per comprendere che il nostro concetto di Bene e di Male è sbagliato

 La Scrittura viene incontro al nostro dolore ed alla nostra ribellione. Ci suggerisce un fratello. Giobbe, davvero fratello di tutti. Dopo aver perso tutto, si ritrova coperto di piaghe sopra un mucchio di immondizie. I suoi amici lo tormentano: “è colpa tua!”. “Dio ti ha punito!”. “Hai fatto qualcosa che non va, hai sbagliato!”. La vita è piena di “Amici di Giobbe”. Credono di dare buoni consigli, ma Dio li detesta, e nella Bibbia è sancita la loro condanna. No, non c’è una colpa nascosta in Giobbe. Ma allora perché Signore! Grida Giobbe ribellandosi, proprio come facciamo noi. “Non dovevi farlo, Signore!”.  Giobbe è risentito contro Dio, e spesso, anche noi lo siamo. A volte senza neanche rendercene conto. Giobbe è costernato. Non capisce. Ma appunto, tutto il nocciolo sta nella comprensione.  Cosa risponde infatti Dio a Giobbe? Ecco:

“Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante? Cingiti i fianchi come un prode: io t’interrogherò e tu mi istruirai! Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la corda per misurare? Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e acclamavano tutti i figli di Dio?” (Giobbe 38,2-7)

Dunque la prima e più importante ragione della nostra incapacità di comprendere, è questa: la nostra intelligenza non è quella di Dio. È la prima cosa che il Signore dice a Giobbe. In effetti Dio, se è Dio, è l’Altissimo. Ha un’intelligenza infinita che nemmeno possiamo immaginare. Il nostro pensiero, invece, vola rasoterra. Proviamo a lasciare un attimo da parte il dolore e la rabbia. Legittimi, come la stessa Sacra Scrittura certifica presentandoci le reazioni di Giobbe. Fermiamoci un attimo a riflettere. Se ciò che accade fosse prevedibile secondo la nostra mente, e rispondesse ai nostri criteri di bene, Dio sarebbe ancora l’Altissimo? Se tutto procedesse in modo comprensibile, Il Signore penserebbe come noi, ragionerebbe come noi. Organizzerebbe il mondo come lo potremmo pensare noi. Ma allora avrebbe una intelligenza umana. Sarebbe come noi. Sarebbe un vecchio con la barba. Gli atei dicono proprio questo: se esiste il male, vuol dire che Dio non esiste. Certo non esiste un vecchio con la barba che recita la parte di Dio. Hanno, per certi versi ragione. Quel Dio non esiste. Se ragiona come noi allora è una nostra invenzione. Una stampella a cui ci appoggiamo, come dicono loro. La fede cristiana si gioca tutta qui. Nel credere in un Dio che è davvero un Dio: con una intelligenza infinitamente più grande della nostra, e per questo è Qualcuno che spesso dispone gli eventi e la storia, in modo assolutamente incomprensibile per noi. Infatti, non sempre ma spesso, ciò che è bene per il Signore, contrasta con il nostro star bene, come succede per le leggi morali. Si può dire, al contrario degli atei, che la dimostrazione che Dio esiste, sta proprio nel fatto che non lo capiamo.  Ed è qui che lo Spirito Santo ci guida a fare un salto. Un salto difficile. Molto difficile per tutti. Nessuno in questo può fare il primo della classe. Siamo tutti deboli. Siamo tutti come Giobbe. E manchiamo tutti della vera fede.

 

Mordere la mela giusta: quella dell’albero della vita

Nel giardino di Eden non c’è soltanto l’albero della conoscenza del bene e del male. C’è anche l’albero della vita, proprio nel mezzo:

“Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male” (Genesi 2,9).

Il Signore non aveva proibito di mangiare i frutti dell’Albero della Vita. E con una ragione profonda che i Padri hanno compreso. Sentiamo Beda il Venerabile: “L’Albero della Vita è figura anche di un mistero spirituale, cioè del nostro Dio e Signore Gesù Cristo”.  Dunque l’Albero della Vita, secondo i Padri, è la croce. Infatti chi crede in Cristo e nel suo mistero di morte e resurrezione, ha la vita eterna. Dunque per comprendere meglio come procedere, come affrontare la difficoltà di un dolore incomprensibile, dobbiamo rivolgersi a Lui, sola sorgente di vita. Ed è attraverso la sua passione che cominciamo “ad alzare lo sguardo”.  La delicatezza del Signore nel comprendere la nostra contrarietà, e il nostro dolore, si rivela prima di tutto nell’episodio del Getsemani. Narra il Vangelo: “E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!” (Matteo 26,38-39). Gesù in questo episodio è vicino a tutti noi. Anche Lui diventa triste fino alla morte. Anche Lui cerca di evitare la Croce. Ci spiega che comunque, in ogni occasione e ad ogni modo, dobbiamo pregare. Pregare insistentemente perché il calice del dolore ci sia risparmiato. Pregare per la guarigione. Pregare per la soluzione del problema. Insistere. Fare tutto il possibile. Ma poi, se Il Signore non ci accorda la sua grazia, se non ci dà una soluzione, ecco la risposta di Gesù: “Però non come voglio io, ma come vuoi tu!…Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà” (Matteo26,39.42). Ritorna la rinuncia all’egocentrismo, al proprio interesse personale (…non come voglio io…) che avevamo visto a proposito del bene morale. E la storia di Gesù ci insegna che grazie alla croce si realizza il progetto Divino, annunciato nel tempo attraverso le scritture: la morte e resurrezione che redime e salva l’umanità.  Dunque il dolore della croce era necessario. Così è per ognuno di noi. Dio ha un piano. Ha un piano per tutti. E come ricordato sopra, appunto, a Giobbe il Signore dice: “Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante?” Dio ha un piano per l’eternità, ma noi giudichiamo in base all’oggi. Questo è un secondo aspetto del modo con cui viviamo il dolore. Egli non è soltanto infinitamente più intelligente di noi, ma ha uno sguardo sull’eternità, ed in base all’eternità fa i suoi piani. Noi invece guardiamo all’oggi nella carne e nel tempo. Ma un dolore dell’oggi, per esempio, può in noi produrre più Pazienza, se accettato con fede. E la Pazienza dura in eterno e ci abbellisce nella vita futura. Il dolore invece, termina con la vita nel secolo. Passa. In confronto all’eternità, dura un attimo. Ma questo è difficile da comprendere se non si alza lo sguardo. Siamo limitati nei nostri ragionamenti. Molto limitati. I nostri orizzonti sono corti, in tutti i sensi. Guardiamo allora con fede al nostro Signore Gesù Cristo. Lasciamo da parte la rabbia ed il comprensibile risentimento verso Dio. Nutriamoci dell’Albero della Vita, disposto dai piani del Signore per redimerci dall’errore dei nostri progenitori. Facciamolo con la divina eucarestia e con la preghiera. Proviamo o almeno tentiamo di guardare a Lui con un atto di fede nel vero Dio. Non in un Dio pagano che accontenta i suoi sudditi con beni terrestri, in cambio di riti. Ma nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nel Dio Altissimo che ha per noi un progetto di vita eterna. Chiediamo a Lui la forza che non abbiamo e non possiamo avere per questo atto di fede così difficile ma di grandissimo valore.  E con Lui leviamo un po’ più in alto il nostro sguardo. Allunghiamo il nostro orizzonte. E preghiamo con Lui recitando mentalmente o a bassa voce il salmo 22 (LXX), medicina per le nostre anime ferite:

“Il Signore è il mio pastore,
non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.

Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza”.