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Il primo gradino: la carità nel mondo sensibile

Leggiamo in Matteo 6, 3-4

“Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Dunque il Signore ci chiede di fare l’elemosina, ma ci spiega anche come fare: evitare di mostrarla a tutti per essere lodato, ma piuttosto farla in segreto. E’ quello che potremmo chiamare il primo gradino della Carità. E già è tanto. L’elemosina fatta in segreto è uno dei primi passi della carità, ed il Signore ci chiama a praticarla senza indugi. Ma perché è il primo gradino? Perché si tratta dell’approdo più facile e semplice per tutti. Non c’è bisogno di aver fatto un grande cammino per comprendere, che aiutare una persona indigente, con un po’ di danaro o un po’ di cibo, rappresenta l’amore per il prossimo, la Carità che ci insegnano le scritture. Dunque non perdiamo tempo e siamo sempre pronti a dare qualcosa.

 

Il secondo gradino: dalla carità materiale a quella spirituale

Tuttavia con il tempo, la fede vissuta e lo Spirito infuso in noi dai sacramenti, ci cominciano a proporre situazioni diverse. Non si danno più danari ma ci viene chiesto di ascoltare. Di comprendere. Di dare la nostra presenza, la nostra compagnia e perfino la nostra stima. E’ un passaggio cruciale. Per molto tempo siamo stati abituati a pensare che, “fare la Carità” volesse dire dare qualcosa di concreto, magari un passaggio in macchina, ma qualcosa che si potesse vedere, toccare con mano. Ci sentivamo pratici, concreti.  Non ci accorgevamo che il Signore, nel comandarci l’elemosina, teneva conto della nostra debolezza: il bisogno di fare riferimento a qualcosa di visibile. Egli sa che in fondo partiamo tutti da una condizione di forte materialismo, per cui ci risulta vero solo ciò che si vede e si tocca. I soldi si vedono e si toccano. Un passaggio in macchina si vede e si tocca. Ma un bel giorno il Maestro potrebbe chiederci di più: noi stessi. In pratica, la nostra attenzione. Questa non si vede e non si tocca, ma è Carità di una qualità forse superiore: non diamo qualcosa, diamo noi stessi. L’attenzione non si vede e non si tocca, ma è amore. Ascoltare chi ha bisogno di essere ascoltato, gioire con chi gioisce e soffrire insieme a chi soffre. Dare compagnia a chi è solo e stima a chi si sente disprezzato. E poi ascoltare, ascoltare, ascoltare, e ancora ascoltare. Si tratta di un amore più profondo dell’elemosina perché imita ciò che Gesù Cristo ha fatto per noi: Lui ha dato sé stesso, noi diamo noi stessi.  Ce lo raccomanda San Paolo:

“Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26).

 

Il terzo gradino: scoprire l’Amore per il Signore

Dire di fare la Carità quando si fa un’elemosina è entrato ormai nell’uso comune. Ma nella dottrina cristiana Ortodossa (e pure in quella Romana), davvero è in questo tutto  il significato di Carità? Cosa ne dicono i Padri, massimi interpreti della Scrittura? Essi ci fanno scoprire qualcosa di bello e di puro che si nasconde in noi stessi, e che abbiamo sperimentato dopo una eucarestia ben fatta, dopo una agripnia (Veglia) o dopo un momento di intensa preghiera. Quel calore che sentiamo nel nostro cuore, quell’amore intenso quanto inspiegabile, che lo Spirito Santo ha riversato nella punta del nostro Spirito. Quello, proprio quello è Carità. Essa è infatti:

Amare Dio per sé stesso, Amare Dio in modo disinteressato, ed il prossimo per amore di Dio.

Fermiamoci un attimo a riflettere. Sentiamo questo amore, ma abbiamo mai visto il Signore? Siamo forse attratti dalla sua immagine? Non lo abbiamo mai visto né sentito. Nulla di nulla. Dio è trascendente e si nasconde oltre il visibile. E allora perché proviamo amore, attrazione, riconoscenza, devozione? Perché vorremmo addirittura dedicare a Lui tutta la nostra vita? Perché? Chi ce lo fa fare? Perché quello che proviamo non è frutto di psicologia umana, ma è un dono di Dio. Troppe volte abbiamo sentito parlare di sentimentalismo da parte di chi, senza rendersene conto ed in buona fede, finisce per fare della fede una ideologia. Sì, perché chi disprezza il sentimento, finisce spesso nell’amare delle idee. Un cambio decisamente poco interessante. Sentiamoci invece liberi: amare Dio è il senso pieno della Carità. Non proviamo vergogna, ma piuttosto ringraziamo. Ringraziamo il Signore di questa grazia straordinaria ed ineffabile del dono dello Spirito che geme in noi (Romani 8,26). Ma c’è di più. Quando scopriamo questo amore, notiamo che Esso è lo stesso che proviamo per nostra moglie o marito, per i figli, per i poveri, per i fratelli.  Scopriamo che l’Amore non si divide, rimane sempre lo stesso. Capiamo allora che la Carità è quell’amore per gli altri che proviene dall’amore per Dio.  Non sottraiamo a Dio nulla se di questo amore amiamo i fratelli. E comprendiamo anche perché il Signore ha posto per primo il comandamento di amare Lui con tutto il cuore e dopo, come secondo, l’amore per il prossimo.  Diversa è la condizione di quello che talvolta viene chiamato amore, mentre invece è desiderio. Desiderio di possedere i corpi (per esempio voler comandare), desiderio sessuale, desiderio di avere oggetti, etc. Questo sì. Questo è in concorrenza con il Signore, perché è una anomalia, una distorsione del vero Amore, e ci sottrae a Dio. La Carità, invece, si può moltiplicare all’infinito: rimane sempre sé stessa.

 

Il quarto gradino: amore e verità si incontrano

“Misericordia e Verità si incontreranno” -Sal 84(85),11. Questa profezia si è avverata. Con la morte e resurrezione di Cristo Gesù, ci è stato donato lo Spirito Santo. E lo Spirito ci conduce gradualmente e progressivamente ad una esperienza straordinaria. Una esperienza che noi poveri peccatori immaginiamo, sbagliando, che debba essere riservata solo ai grandi Santi. Se fosse così, la Chiesa sarebbe rivolta solo ad una élite ristrettissima. Invece no. Stiamo parlando della percezione spirituale della “Presenza Divina”. Essa è un dono dello Spirito destinato a tutti coloro che cercano il Signore, con cuore sincero, e si manifesta durante la liturgia e nella preghiera profonda. Non è raro, durante una Veglia, che per qualche momento, certo, solo per pochi istanti, la Presenza di Dio si faccia sentire più forte al nostro cuore. Ce lo insegna San Gregorio Palamas: l’uomo non può vedere Dio che è oltre lo stesso invisibile, perché trascendente, ma può percepire le Sue energie, come la Sua invisibile e Spirituale Presenza. E quando questo succede comprendiamo in un attimo ciò che mille libri non riescono a spiegare.

La Verità è una persona e non un concetto. La Verità è una esperienza d’Amore che ci fa percepire misteriosamente la Divina Presenza. Comprendiamo allora che nessun concetto può rappresentare la Verità. Il discorso e la logica possono marcare come bandierine, quel percorso che conduce ad una autentica esperienza di Verità. Ma questa è e rimane una Persona Divina, Cristo Gesù. Egli infatti di sé ha detto:” IO sono la Via, la Verità e la Vita” (Giovanni 14,8).

Perché sia proprio la Carità a condurci verso questo mistero, ce lo illustra San Massimo il Confessore, che nel primo rigo della prima centuria sulla Carità, ci insegna: “La Carità consiste nel desiderio di conoscere Dio”.

Dunque dapprima proviamo un amore oscuro. Non conosciamo l’amato, ma segretamente e sottilmente, lo Spirito alimenta la vera sostanza di questo amore, che è il desiderio di conoscere Dio. E Davide conferma nel Salmo 26 (27): “Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco”. E’ questo infine il nocciolo profondo della Carità. Cosa c’è di più bello? Non a caso San Paolo chiama la Carità il dono più bello dello Spirito, e ad essa dedica uno splendido inno.

 

Conclusioni

Abbiamo effettuato un viaggio nel mondo della Carità, aiutati dalla Sacra Scrittura e dai Padri.  Abbiamo simbolicamente suddiviso l’itinerario seguito in quattro gradini. Questo salire gradino dopo gradino, però, non ci deve intimorire. Tutti possiamo salire questa scala, non solo i santi! Tutti, ma proprio tutti, se animati da una fede sincera e dalla frequenza ai sacramenti ed alla preghiera, sono chiamati al Divino Banchetto della Carità.