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Tutti attendono il loro cibo da Dio

Che meraviglia leggere queste belle parole nel Salmo 103, che non a caso rappresenta il cuore della liturgia ortodossa del Vespro:

“Fai crescere il fieno per gli armenti
e l’erba al servizio dell’uomo,
perché tragga alimento dalla terra:
il vino che allieta il cuore dell’uomo;
l’olio che fa brillare il suo volto
e il pane che sostiene il suo vigore.

Si saziano gli alberi del Signore,
i cedri del Libano da lui piantati.
Là gli uccelli fanno il loro nido
e la cicogna sui cipressi ha la sua casa.
Per i camosci sono le alte montagne,
le rocce sono rifugio per gli iràci.

Per segnare le stagioni hai fatto la luna
e il sole che conosce il suo tramonto.
Stendi le tenebre e viene la notte
e vagano tutte le bestie della foresta;
ruggiscono i leoncelli in cerca di preda
e chiedono a Dio il loro cibo.
Sorge il sole, si ritirano
e si accovacciano nelle tane.
Allora l’uomo esce al suo lavoro,
per la sua fatica fino a sera.

Quanto sono grandi, Signore,
le tue opere!
Tutto hai fatto con saggezza,
la terra è piena delle tue creature.
Ecco il mare spazioso e vasto:
lì guizzano senza numero
animali piccoli e grandi.
Lo solcano le navi,
il Leviatàn che hai plasmato
perché in esso si diverta.

Tutti da te aspettano
che tu dia loro il cibo in tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono,
tu apri la mano, si saziano di beni”.

(Salmo 103,14-27, versione LXX).

Nonostante la sua lunghezza questo brano andava riportato tutto perché il versetto a cui questa volta vorremmo fare riferimento è il seguente:

“Tutti da te aspettano
che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”.
Giustamente collocato in un ampio affresco naturalistico che vede protagonisti piante, animali e uomini. E tutti, tutti loro aspettano con fiducia il cibo dal Signore. Questa verità proclamata dall’antico testamento è ripetuta e ribadita dallo stesso Gesù nel Vangelo, quando ci insegna a pregare col Padre Nostro:

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Ma come…?si potrebbe dire. Il salmo stesso dice: “Allora l’uomo esce al suo lavoro,
per la sua fatica fino a sera”. E gli stessi animali cacciano cercando la preda. Noi tutti lavoriamo “per guadagnarci il pane”. Siamo noi in realtà che provvediamo a noi stessi! Altro che il Signore!

 

Vivere nella illusione ottica

No, cari amici, non è così. Ma questo contrasto stridente tra la nostra azione e quella di Dio, ci offre l’opportunità di approfondire i modi in cui si realizza la grazia. Lo Spirito infatti opera completando la Creazione. Secondo i Padri, infatti, non soltanto Dio crea uomini e bestie, ma queste creature per sussistere devono guardare al loro creatore. Attendere da lui la vita. Dunque noi abbiamo la percezione di guadagnarci il pane da soli, mentre il Padre nostro ci dice di chiederlo. Come si mettono insieme queste due cose?

 

Ascoltare e Vedere

Se il popolo Ebraico ci ha regalato la cultura dell’ascolto della parola (….”Ascolta Israele….),  quello greco, che ha dato una espressione alla nascente fede cristiana, ci ha donato il Vedere. La contemplazione. Questa è la chiave per risolvere l’apparente contraddizione a cui abbiamo sopra fatto cenno. È vero infatti che l’uomo lavora e fatica, ma perché il suo lavoro riesca deve guardare, contemplare il Signore.  Certo a dirlo è un po’ una roba strana. Che c’entra la contemplazione col lavoro? La risposta è più semplice del previsto. Perché un lavoro qualsiasi riesca deve essere fatto “a regola d’arte”. Nessuno pagherebbe un’opera mal fatta. E per fare bene, dobbiamo pensare bene. C’è infatti prima il pensiero e poi l’agire. Tutto quindi dipende dal pensare bene. Ma per pensare bene bisogna operare seguendo dei sani principi. I sani principi si possono, in questo caso, chiamare anche Virtù. Per esempio è una virtù fare in modo che chi acquista il nostro lavoro ne sia soddisfatto. Si tratta della Giustizia. In caso contrario siamo nel territorio della truffa. È una virtù faticare per lavorare la terra in modo corretto al fine di ottenere quel raccolto di cui necessita la nostra famiglia. Per un impiegato delle poste è una virtù saper ascoltare le richieste a lui rivolte dal pubblico per interpretarle al meglio. Per il commerciante di scarpe è una virtù individuare con pazienza la scarpa adatta al piede del cliente. Ha qualcosa della carità. Si potrebbe continuare all’infinito. Potremmo infatti aggiungere la pazienza e la sopportazione della fatica e del dolore, la prudenza ed il consiglio, che ci suggeriscono il modo corretto di agire. Etc. E questo in tutti i lavori. Anche nei più ripetitivi. Anche alla catena di montaggio. E perché guardare, contemplare le virtù per ben lavorare significa guardare Dio? Ma perché i Santi Padri ci insegnano che le Virtù sono il modo ordinario in cui oggi possiamo vivere il Cristo, l’incarnazione del Logos. Infatti il Figlio di Dio riassume in sé tutte le virtù, e quindi contemplare nella mente, sia pure per un attimo, le virtù, significa contemplare il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E quindi colui per mezzo del quale tutte le cose sono state create. Eccoci tornati là da dove siamo partiti: non si può lavorare efficacemente se non contemplando Dio.

 

L’opera di Dio attraverso ciascuna vocazione

Ma c’è un modo ancora più profondo di guardare a Dio: sentirci al nostro posto. La gioventù dona le energie necessarie per la nostra battaglia personale: trovare il nostro posto nella società. Prima di tutto questo è rappresentato dal “nostro” lavoro. Prima di tutto, perché ad esso è chiamato anche chi non si sposa. È una battaglia perché la provvidenza può farci passare da territori tortuosi. Emigrare, fare un lavoro inadatto per iniziare, studiare, essere disoccupati, essere sottopagati. Fa parte del gioco. Dio vuole essere cercato, e spesso questo finiamo per dimenticarlo. Ma perché “sentirci al nostro posto” vuol dire “guardare al Signore”? Perché faticare per trovare la nostra collocazione, equivale addirittura a cercare Dio? Perché è il posto da cui meglio possiamo contemplarlo. Perché lavorare meglio, con più amore e pazienza, anche nella stanchezza e nelle difficoltà, significa vivere e riflettere più compiutamente, come “specchio”, le energie divine. È la grande rivoluzione della teologia ortodossa, che poi è la teologia dei Padri. Secondo questa preziosa sapienza, Dio non è solo “Trascendente”. Cioè Dio non è soltanto al di là di tutte le cose e di tutte le forme. Dio agisce anche nel mondo, attraverso le sue energie. Cioè le sue “Azioni” ed i suoi “attributi”. Un riassunto delle energie divine nel mondo è rappresentato dalle azioni di Gesù, così come sono raccontate nel Vangelo. Ora i santi sono stati dei riflettori, degli “specchi” che per somiglianza, ci hanno riproposto  queste energie, queste azioni: la compassione, la misericordia, l’ascolto, la prudenza, la conoscenza, il consiglio etc. Anche noi siamo chiamati a fare da “specchio” di queste belle virtù, in buona parte con il nostro lavoro. E meglio lo facciamo meglio riflettiamo. Non ci sono lavori privilegiati. Dal punto di vista spirituale nessuno lo è. Solo un punto di vista carnale e materiale, può fare una classificazione dell’importanza dei lavori umani, sulla base del loro rilievo sociale. Dal punto di osservazione dello Spirito, tutte le virtù sono uguali, e quindi tutti i mestieri che di esse si nutrono. E dunque il posto dove ci possiamo esprimere al meglio diventa il posto dove meglio possiamo contemplare il nostro Salvatore, riflettendone nel modo migliore per noi le “Energie” Divine, per somiglianza.

 

Conclusione

Solo se “guardiamo a Lui” possiamo lavorare. Dunque è Lui che ci dona il pane guadagnato con il lavoro. Pregare chiedendo “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” diventa veramente più comprensibile. Perché senza di Lui il nostro lavoro non arriva a niente. Santifichiamo dunque il nostro lavoro. Onoriamolo. Rendiamoci meglio conto che il sacerdote nella liturgia eucaristica, offre il pane ed il vino, frutto del lavoro non solo contadino, perché diventino il corpo ed il sangue del Signore. Si tratta di una verità profonda, che chiede di essere meditata con serietà.