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Noi non ce ne rendiamo conto, ma tendiamo a sopravvalutare il mondo materiale in cui siamo immersi. Certo. Abbiamo un sacco di problemi da risolvere, e non abbiamo tempo per star dietro ad angeli o potenze invisibili. Ma il Signore ha cura di noi. E risolve i nostri problemi molto meglio dei nostri progetti. Alcune delle sofferenze che abbiamo, se ci pensiamo bene, ce le siamo procurate da soli. Abbiamo fatto e facciamo scelte senza l’opportuno discernimento. E non sempre abbiamo l’umiltà di riconoscerlo. Noi vogliamo risolvere i nostri problemi materiali, e crediamo di poterlo sempre fare da soli. Il Signore, rispettosamente, ci lascia soli, e ci facciamo del male. Chi è più anziano lo sa. Guardando indietro nel tempo…quanti errori!

Essere pesanti ed essere leggeri

Proviamo ad inquadrare meglio quello che ci succede, sì da capire dove sta il bandolo della matassa. Esaminiamo un passo della Scrittura sulla “Voce del Signore”. Da 1 Re 19,9-13.

“Elia entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?».

Un passo famoso che molti lettori conosceranno. Le interpretazioni sono numerose e complesse. A noi però preme sottolineare un punto in particolare. Dove sta la Voce del Signore?

La Voce del Signore non sta nel vento impetuoso, non sta nel terremoto, non sta nel fuoco. Sta invece “nel mormorio di un vento leggero.

Cosa simboleggiano il vento impetuoso, il terremoto ed il fuoco, dove Dio non sta? Queste immagini ci raccontano le nostre passioni. Anche nel linguaggio comune si parla del “fuoco della passione”. Anche il vento molto forte, capace di trascinare via cose e persone, viene identificato da molti poeti tra cui Dante, nelle emozioni passionali dell’uomo. Esse ci destabilizzano, esattamente come il terremoto. Quando spirano con violenza tutti i nostri valori ed i nostri punti di riferimento, saltano, crollano. Proviamo di fronte ad una scelta un forte sentimento di entusiasmo. Siamo così eccitati che non riusciamo ad addormentarci. Eccoci. È un esempio pratico. Probabilmente Dio non sta in questa euforia. E facciamo errori che poi ci fanno soffrire. A volte non sappiamo distinguere tra Gioia e contentezza. Se la nostra squadra del cuore vince nel Derby con l’avversaria di sempre, siamo contenti. Se abbiamo un aumento di stipendio, siamo contenti. Se nostro figlio si laurea, siamo contenti. Ma la gioia è un’altra cosa. La Gioia è un frutto delicato dello Spirito. Rifugge l’eccitazione tipica della contentezza. Essa si nasconde rispettosa nelle pieghe del nostro cuore, ed è portatrice di pace, non di eccitazione. La contentezza è un’emozione forte, che aumenta la nostra energia e ci stimola. La gioia calma, rasserena. Abbassa la voce, non la alza come nell’entusiasmo. Il parlare si fa lento, pacato. Anzi, si tende a parlare poco, perché la gioia sazia. La contentezza ci fa parlare di più. Vogliamo raccontare ai nostri amici. Vogliamo festeggiare. Brindare. È tutta un’altra cosa. Ma non è facile comprenderlo. Non solo. Ma anche quando sembrano “soffiare” sentimenti più pacati, non è la stessa cosa. Di fronte ad un panorama o passeggiando in mezzo alla natura, la poesia ci restituisce solo l’incanto. Ma il vento leggero dello Spirito, che sottile riscalda i cuori, ci introduce alla bellezza dell’Eterno. Altra cosa. Sta qui, insomma, la differenza tra pesantezza e leggerezza. Purtroppo noi siamo malati, e per questo tendiamo ad essere pesanti. Forse qualcuno ce l’ha anche detto:”…ma come sei pesante!” Talvolta siamo pesanti anche con il corpo. Più spesso nell’anima. Ecco perché facciamo errori. Tanti errori. Abbiamo bisogno di guarire per vivere con gioia il meraviglioso mondo dell’invisibile. Un mondo che si intreccia nella nostra vita e ci dona frammenti di infinito. Solo se siamo capaci di “vedere”. Di ascoltare la brezza tenue e gentile con cui si comunica a noi.

 

Guarire con la Sapienza dei Padri

Ma allora come possiamo imparare ad ascoltare la voce lieve dello Spirito? Come possiamo incamminarci verso quel cambiamento, che porta ad arricchire la nostra vita, della presenza degli Angeli e del Signore?

Evidentemente il nostro problema è quello di distaccarci almeno un po’ dalle nostre passioni. Le abbiamo tutte un po’ tutti. Esse sono l’espressione della cecità del nostro cuore, insorta con il peccato ancestrale. Essa ci porta a non percepire la presenza di Dio e quindi a rivolgere il nostro desiderio verso di noi anziché verso di Lui. Inoltre, l’ira che è stata creata per scacciare il male, viene ora da noi impiegata per dare contro a chi ci ostacola. I Digiuni Quaresimali e settimanali che la Chiesa ci propone sono senza dubbio una medicina. Essi non sono fatti per “farci soffrire”. Piuttosto la Chiesa con essi si prende una cura amorosa delle nostre passioni. Ci suggerisce di iniziare dalla correzione della gola, come i Santi Padri consigliano. Tuttavia c’è molto altro da mettere in campo, per la nostra terapia spirituale.  Vediamo meglio.

 

Purificazione attiva e passiva

Un buon mezzo per curare le nostre capacità di discernimento, come abbiamo visto, è costituito dalla rinuncia, dal digiuno, dalla ascési. Bene. Ma ci sono altre possibili strade da percorrere? Ci sono mezzi alla portata di tutti, in grado di rendere più fine e più delicato il nostro ascolto interiore?

Il Gerontikon del Monte Athos ci tramanda questi detti dei Padri:

“Se non ci fossero le tentazioni, nessuno si salverebbe”

“La malattia è una visita del Signore. La malattia è un grande dono di Dio”.

Sono detti che potrebbero indispettire. Siamo abituati ad assegnare le tentazioni agli Spiriti Maligni, i quali operano contro di noi. E poi ci sono tanti santuari dove la gente si rivolge per essere guarita. Perché pensare alla malattia come un dono?

Siamo tutti abituati a concepire la vita ascetica come una lotta, che monaci innamorati di Dio intraprendono praticando una serie di dure privazioni. Digiuni prolungati e radicali, vita in una grotta, rinuncia al sonno ed al riposo, etc. Questa si chiama Ascèsi attiva. Si tratta di una forma di rinuncia a sé stessi che il monaco o il laico volenteroso, intraprende sotto la guida di un padre spirituale. In buona sostanza si programma e si sceglie il proprio percorso. Si chiama “Attiva” perché è l’uomo che ne stabilisce forma, tempi e modi.  Tuttavia se visitate come pellegrini il Monte Athos e chiedete ad un monaco esperto, cosa pensa di questa ascèsi vi risponderà in modo sorprendente. L’ ascesi più importante non è quella attiva, ma quella passiva. In cosa consiste questa ascèsi? Consiste nel saper accettare con pazienza ogni dolore ed ogni tribolazione. Ogni tentazione ed ogni difficoltà. I due detti citati, dunque, descrivono proprio questa forma di rinuncia a sé stessi. Quella appunto considerata la migliore. Essa infatti genera la virtù basilare della Pazienza.  La Pazienza è importante, perché genera a sua volta l’umiltà. E l’umiltà è considerata da tutti gli spirituali la base fondamentale della vita in Cristo. Essa attira la Grazia e quindi tutte le altre virtù.  Di conseguenza, chi è sapiente nello Spirito, considera che il dolore apportato da una tribolazione, al massimo dura tutta la vita. Poi sparisce. La virtù della Pazienza invece dura in eterno. Ce la portiamo dietro dopo la morte. Non solo ma essa, come detto, produce altre virtù. Ciascuna di queste virtù rappresenta un tesoro che nessuno ci può rubare e che la tignola e la ruggine non distruggono (Matteo 6,19-21).

Dunque secondo gli Anziani dell’Athos, conviene. La loro fede ci aiuta ad alzare la testa, ed a guardare al di sopra delle vicende terrene, per comprendere, alla luce del Vangelo, cosa veramente ci è utile. Cosa veramente ci conviene. Si tratta di superare il materialismo e di guardare oltre il visibile, alla Speranza che ci è stata donata con il Battesimo.

 

“Cambiare Pensiero” nei confronti di chi ci offende e di chi ci fa un torto

Un’altra forma di ascési passiva è costituita dal perdono. Perdonare, come è noto, significa essere perdonati, e quindi purificati.

 Possiamo ispirarci ad un santo vissuto nel 1700. San Giovanni il Russo. Arruolatosi nell’esercito per combattere gli ottomani, finì prigioniero, e divenne schiavo. Il suo padrone, similmente a certi capo-ufficio dei nostri giorni, lo vessava in continuazione. Mai San Giovanni il Russo si perse d’animo. Accettò tutto con il sorriso e ricambiò con l’amore la persecuzione. Alla fine la pazienza e l’amore vinsero, ed il suo padrone, con tutta la sua famiglia, passò dalla persecuzione all’ammirazione. Troverete in fondo a questo articolo il link per saperne di più.

Dunque bisogna fare come lui. Amare i nostri nemici perché nostri benefattori. Essi ci aiutano a guarire dall’orgoglio e dalla vanagloria umiliandoci o ferendoci. Coloro che ci offendono sono, come le malattie, un dono di Dio. Si tratta di cambiare letteralmente mentalità a 180 gradi.  D’altra parte la Chiesa Ortodossa inizia il digiuno Quaresimale con il perdono. Non è un caso. Anche la Chiesa ribadisce l’importanza dell’ascesi passiva. Prima si perdona poi si digiuna. Il digiuno non ha senso se prima non si perdona.

 

Come fare?

Tutto va visto da una diversa prospettiva, non solo le offese. Anche gli ostacoli, i lavori faticosi, i contrattempi, le perdite. Ogni tribolazione va vista con occhi diversi. Con gli occhi della fede, essa diventa una cura ascetica del nostro cuore. Ma tutto questo non possiamo farlo da soli. Abbiamo bisogno della forza della Grazia. In una parola, abbiamo bisogno di confessarci e di comunicarci, prima di tutto. I poli della cura sono due strettamente legati: a) confessione e comunione abbastanza frequenti b) preghiera individuale o liturgica un po’ tutti i giorni. Sono due facce della stessa medaglia, che procedono strettamente unite.

Possiamo pregare, recitando sottovoce la preghiera di Gesù, in autobus o sulla Metro, quando andiamo o torniamo dal lavoro. Se non abbiamo tempo, lì almeno lo possiamo trovare, utilizzando un momento morto. E poi a casa. In fondo basta, per iniziare, un solo quarto d’ora. Poi di solito ci si prende gusto e si aumenta. Possiamo leggere un salmo immedesimandoci, concentrandoci in modo da sentirci noi come David che lo ha scritto.  La preghiera è il segreto della santità. Imparare a pregare da soli, e soprattutto a pregare per chi ci ha offeso, stabilendo un rapporto personale con Dio, è basilare per il Cristiano. L’ orazione infatti, permette di far crescere dentro di noi il seme Divino posto dal Signore con i sacramenti.

 

Conclusioni

Come cristiani siamo chiamati al discernimento. All’ascolto di quella “brezza leggera”, che mormora sottilmente in fondo al nostro cuore. Una brezza che ci guida sulle strade dello Spirito, ma che è coperta dalla voce chiassosa dalle passioni. Abbiamo fatto un breve percorso, che ci ha introdotto nel cammino di chi vuol guarire, sotto la guida della Chiesa, dal disordine delle emozioni. Proviamo allora a fare qualche passo lungo questo percorso. Il Signore stesso ci insegna nel vangelo, che questo piccolo sforzo ci procurerà tanto. Tantissimo. Più di quanto siamo capaci di immaginare.

 

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