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Una scuola ad Alessandria

Clemente era un ragazzo ateniese intelligente ed assetato di conoscenza. Girò per maestri, come usava a quel tempo, ma non trovò quello che cercava.  Decise allora di intraprendere il grande viaggio. Le scuole di filosofia, infatti, dopo la distruzione ad Atene, della Accademia e del Liceo, si erano trasferite in buona parte nella capitale culturale dell’Impero: Alessandria. Là un giovane assetato di sapere, poteva trovare il meglio della Sapienza dell’epoca. Ma Clemente trovò qualcos’altro. Si accostò ad una scuola diretta da un Santo siciliano, Panteno, e rimase folgorato. Era la conversione al Cristo dei Vangeli. Siamo intorno al 170 D.C. e la Chiesa pativa la persecuzione dello Stato Imperiale. Tutto era successo grazie ad una ispirazione grandiosa di Panteno. Fondare una scuola per preparare non già i catecumeni al Battesimo, ma i già Battezzati ad una migliore conoscenza del Signore. Bisognava infatti saper rispondere a chiunque, per rendere ragione della Speranza cristiana (1 Pietro,3,15). E non era facile. La chiesa aveva tutti contro. I filosofi declamavano la verità della ragione, mettendola in contrapposizione al Vangelo. I seguaci dei misteri pagani offrivano soluzioni a buon mercato a tutti i problemi. Tra i cristiani stessi, imperversavano le eresie, prima tra tutte, lo gnosticismo. Bisognava fare qualcosa. La eccezionalità della ispirazione di San Panteno era dovuta a questo: per la prima volta ci si poneva il problema della armonia tra Ragione e Fede. Di fronte ai tanti nemici, bisognava infatti difendere la fede con le armi della dialettica. A buon diritto, pertanto, possiamo considerare la scuola di San Panteno, chiamata il Didascaleion, il primo “Istituto di Teologia” della storia. Clemente, che poi diventerà Santo e Padre della Chiesa, dopo alcuni anni di formazione, succedette a Panteno, mandato in Persia dal Patriarca, in missione apostolica. Con lui la Scuola ebbe grande impulso, grazie anche ad alcune opere che Clemente scrisse per i suoi allievi e per il popolo. Scritti che sono giunti intatti fino a noi. E qui cominciano le sorprese. Scopriamo che il nostro Santo, quando presenta la fede, racconta qualcosa che non ci aspetteremmo oggi,  uscire dalla bocca di un professore. Clemente insiste:

il nocciolo del cristianesimo consiste nella reciprocità

In pratica ci dice che la fede non è una convinzione, ma un rapporto.

Non solo, ma istruisce i suoi allievi a declamare con coraggio davanti ai filosofi ed agli eretici, che la vera conoscenza è la fede.

 

La Fede come rapporto

Non ci poteva essere contrasto maggiore. Ci aspettavamo qualche ragionamento sulla esistenza di Dio. E invece no. Clemente scava, va a fondo. La sua guida è la Bibbia. E ci insegna. Clemente è ancora vivo, dopo quasi 2000 anni. Si perché anche noi abbiamo bisogno di ricordarcelo. Troppe volte ci lasciamo andare a qualcosa che assomiglia più alla appartenenza ad un partito o ad un gruppo sociale,  che ad una Chiesa. Credere in Dio diventa una Idea. L’Idea di Dio. Sì, siamo convinti che c’è. E questo è tutto. Ma tutto ciò, purtroppo, non è fede. Se lo fosse, essa somiglierebbe ad uno dei tanti ideali che hanno infiammato il ‘900. Un ideale bellissimo di amore per gli altri. Di dedizione. Ma Gesù non è venuto ad annunciare questo. No, Gesù non è morto su una croce per diffondere una bella idea. E’ piuttosto venuto per proporre se stesso. Per proporre un rapporto, un rapporto di amore con Lui.

 

Le tre reciprocità

Dunque San Clemente pone tre rapporti al centro del Cristianesimo. Essi sono:

  • Il rapporto tra Padre e Figlio
  • Il rapporto tra Dio e uomo
  • Il rapporto tra uomo e uomo

 

La reciprocità di amore tra Padre e Figlio, si manifesta nel fatto che il Padre crea l’universo per mezzo del Figlio, il quale è il consigliere del Padre fin dall’inizio dei tempi, e colui in cui Egli gioisce. Il Figlio è l’esatta immagine della Gloria del Padre. Nessuno conosce l’Onnipotente se non il Figlio e colui al quale il Figlio decide di rivelarlo.  Tutto parte da questo rapporto. Se non si comprende questa reciprocità tra Padre e Figlio, non si può concepire lo stesso cristianesimo, poiché essa rappresenta la base di tutto.

Il secondo rapporto è quello tra Dio e l’uomo.

In questa relazione l’uomo ordina tutto ciò che pensa e che fa a Dio, con lo scopo di essere adottato da Lui e quindi “deificato”. Per la precisione, l’uomo tende ad essere assimilato in Dio, ad unirsi a Lui e quindi ad imitarlo per mezzo dello stesso rapporto. E’ esattamente la reciprocità che trasforma l’uomo, perché essa è basata sull’amore. E’ l’amore per Dio che fa dell’uomo un deificato per adozione. Dunque deificato non vuol dire onnipotente ed infinito come Dio. Vuol dire acquisire virtù divine, come la pazienza o la misericordia. Oggi potremmo dire che questo rapporto santificante è mediato dallo Spirito Santo, che il Cristiano riceve con il Battesimo, e che grida nel cuore del credente “Abbà Padre” (Romani 8,15). Infatti l’Amore per il Signore, cioè la Carità,  è il dono più importante dello Spirito Santo. Sarà esattamente questo Amore che presiederà al terzo rapporto, che è quello tra uomo ed uomo, dove la Carità, l’Amore per Dio, diventa amore per il prossimo, per l’altro. Solo tenendo fissi gli occhi del cuore sul Messia, sul Grande Mediatore, l’uomo potrà accedere all’amore del Padre e Salvarsi. Solo così, infatti, credendo ed amando Gesù Cristo, l’uomo potrà partecipare della divinità del Mediatore e divinizzarsi a sua volta.  Ed è esattamente dal rapporto reciproco tra l’uomo ed il Figlio che fluisce quell’amore che dall’uomo va all’altro uomo. Ed alimenta così il terzo rapporto, la terza reciprocità del Cristianesimo.

 

“Invocami, e io ti risponderò, ti annuncerò cose grandi e impenetrabili che tu non conosci” (Geremia 33,3)

E veniamo al titolo del nostro articolo, che adesso apparirà completo. Invocami e ti risponderò….Ecco da dove nasce la conoscenza delle cose impenetrabili e grandi. Esattamente questo versetto, in cui il Signore stesso ci chiede un rapporto con Lui, ci fa comprendere

quale sia la fonte di san Clemente Alessandrino.  Il versetto del Profeta Geremia, è solo uno dei tanti, tantissimi esempi che si potrebbero portare. Si può serenamente dire che la Rivelazione Giudaico-Cristiana, in quanto tale, è solo e soltanto rapporto, reciprocità. Tutto nella Bibbia è rapporto, patto, richiamo, comandamento, rimprovero, dono, supplica lode. Sia individuale che collettiva. I due poli di questa reciprocità sono appunto, il singolo fedele e l’assemblea, la preghiera personale ed individuale e la Liturgia comunitaria. E la Sacra Scrittura stessa ci rivela che da questo rapporto, come sosteneva il nostro San Clemente, nasce la vera conoscenza. Come promesso allo stesso Profeta Geremia. Ma in cosa consiste questa conoscenza? Proviamo ad esplorare insieme le cose grandi ed impenetrabili della fede.

 

Primo mistero: la scoperta del “Nous” ovvero dell’occhio del cuore.

Che differenza c’è tra queste due affermazioni:

“Dio esiste” e “Signore ti supplico”?

La prima può essere il frutto di questo ragionamento:

“Ogni evento è causato da qualcosa o qualcuno, la creazione è un evento, la creazione ha una causa. Questa causa non può essere che un Dio, per cui esiste un Dio creatore”.  Bene. Abbiamo usato la logica, il ragionamento, la ragione, in greco il Logos. Ora, come arriviamo invece a dire ”Signore ti supplico”? Di certo non usiamo il ragionamento. Né la memoria.  I santi Padri poi ci chiedono di non usare l’immaginazione, per non cadere nella illusione. Dio infatti non si può immaginare, perché oltre ogni cosa visibile e pensabile. Allora? Allora, come facciamo a dire Signore ti supplico, credendo davvero che il Signore sia presente e ci ascolti? C’è una sola risposta. Quando siamo sinceri e supplichiamo davvero il Signore con sentimento, senza rendercene conto ci “sentiamo” alla Sua presenza. Cosa vuol dire “sentiamo”? Noi non lo vediamo. Non lo tocchiamo. E allora? Allora il nostro cuore possiede una sensibilità spirituale: il “Nous” o punta dello spirito. Qualcuno lo traduce come intelletto, ma è meglio lasciare la parola greca, “Nous”.  Esso è’ esattamente l’”Occhio” descritto nel vangelo:

“La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce” (Matteo 6,22).

Come dice il Vangelo, tutto dipende dalla purezza di questo occhio: “ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso (Matteo 6,23).  Più il nostro cuore sarà purificato, e più saremo illuminati dalla Luce Spirituale. Da quella che i dotti, con una parola difficile, chiamano Luce intellegibile. Cosa vuol dire questa parola difficile? Vuol dire questo: ci “renderemo conto”, “capiremo” più facilmente, di essere alla presenza di Dio.  Non solo. Questa Santa Luce invisibile, modificherà i nostri ragionamenti. Sì, perché la ragione è uno strumento, e questo strumento, se illuminato dalla luce della fede, arriverà con la logica a dimostrare l’esistenza di Dio. Ma se la Luce Spirituale manca o è poca, la ragione, con le sue operazioni, arriverà a mettere in dubbio tutto, anche l’ esistenza stessa di Dio. Ecco perché  San Clemente era proprio nel giusto,  quando affermava con vigore che la Fede è la vera conoscenza e non la ragione, che le è inferiore.

 

Secondo mistero: amiamo chi non vediamo o sentiamo

Tutti coloro che hanno cominciato seriamente a praticare la preghiera di Gesù, (o comunque tutti coloro che hanno iniziato a pregare seriamente) cominciano ad un certo punto, a provare un sentimento di amore verso il Signore: è il famoso “calore del cuore”. E questo è un mistero. Come facciamo ad amare chi non vediamo, non udiamo, non tocchiamo, non immaginiamo nemmeno? Non è ammirazione, è diverso. E’ amore. Ma come è possibile? E’ possibile perché non siamo tanto noi che amiamo Lui ma Lui che ama noi. Infatti, quando l’occhio del cuore “sente” qualcosa, non percepisce l’Essenza Divina, che assolutamente è al di là di ogni nostra possibile percezione, ed al di là di ogni cosa. No. Piuttosto ci sentiamo illuminati dalla Sua luce, come dice il Vangelo. E la Sua luce è Amore. E tutti i Padri ci spiegano, che quello che possiamo “sentire” sono appunto le “Energie” Divine, i Suoi atti. E l’amore è appunto una Energia Divina. Noi crediamo di amare Dio, ma in realtà siamo amati. E ritorniamo questo amore verso il Signore, come Lui vuole, senza rendercene conto. Crediamo di essere noi, ma in realtà il primo ad agire è Lui. E questo è un altro mistero svelato, dall’approfondire il nostro rapporto con Dio.

 

Terzo mistero: l’amore per Dio ci trasforma

Con il passare del tempo ci rendiamo conto, con sorpresa, di alcuni cambiamenti. Questo amore che proviamo, questa dolcezza, ci fa giudicare diversamente certi eventi. Adesso capiamo che quella certa offesa che abbiamo ricevuto, forse era stata provocata da un nostro comportamento sbagliato. Capiamo che forse la tal persona che ci è nemica, potrebbe avere qualche ragione dalla sua parte. Ci rendiamo conto che l’amore vede e giudica in modo diverso tutto. Anzi, non giudica. Evitiamo così la maldicenza. Qualcuno ci fa notare che da qualche tempo siamo diventati più gentili. E’ questo il “segno principe” che San Clemente descrive in chi, per opera dello Spirito Santo, ha cominciato il processo di divinizzazione. Ripetiamo che la deificazione non consiste nel diventare onnipotenti come Dio, ma piuttosto vivere i frutti dello Spirito Santo (Galati 5,22-23): amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Dunque un altro mistero. Un’altra “cosa grande ed impenetrabile”, che si apre di fronte a noi.

Per ora ci fermiamo qui, ma di cose da conoscere ce ne sono molte. Tante davvero. Quando il nostro rapporto con Dio, non si limita ad essere quello liturgico della comunità, quando abbiamo cura di integrare il rapporto collettivo con quello personale, molto, moltissimo ci viene rivelato. Per la nostra gioia e la nostra pace.

 

Curare il nostro rapporto personale con Dio

San Clemente Alessandrino ripeteva:

meglio un uomo che cade ma che prega, di uno che non cade ma non prega

Vivere la fede come dialogo. Un dialogo continuo alimentato dalla nostra preghiera spontanea. Trovare pochi minuti al giorno per iniziare. Al mattino appena svegli, per esempio. All’inizio ci si può aiutare leggendo un salmo che ci sembra adatto. Per imparare a pregare però, dobbiamo diventare un po’ bambini. Metterci alla presenza del Signore e sentirci veri. Parlare con Lui. Con sincerità e spontaneità. Raccontare noi stessi. Chiedere. Supplicare in merito alle nostre necessità, come raccomandano i versetti del profeta Geremia. E poi piano piano, provare a recitare la preghiera di Gesù: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me. Meglio poco ma con sentimento, che tanto tirato via. E poi, entrando in Chiesa per la Liturgia Eucaristica, fermiamoci davanti ad una icona, per una breve preghiera. Accendiamo una candela. Basta poco per dare al momento comunitario una dimensione di rapporto. Di dialogo. Ci si rivolge tutti insieme al Signore. In fondo per cominciare, non sono necessarie grandi cose. A quelle, se perseveriamo, ci pensa il Signore. E ci possiamo contare.

 

BIBLIOGRAFIA

Philippe Henne, Clément d’Alexandrie, Les Editions du CERF

Eric Osborn, Clement of Alexandria, Cambridge