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Il Dio della fede cristiana non è un Dio filosofico, che abita cieli lontani dalla terra. Piuttosto è un Dio che ama gli uomini e quindi si rivela. E si rivela in più modi. Secondo la Tradizione questi modi sono tre:

  • La Sacra Scrittura
  • La Creazione, ossia il Cosmo
  • I Santi e la loro esperienza divina

In questa prima parte ci occuperemo della prima rivelazione: La Sacra Scrittura.

Dio rivela attraverso la Scrittura di volere un rapporto con l’uomo: “Ascolta Israele”

 La Filosofia e la Metafisica, ma diciamolo, la stessa ragione dell’uomo non potrà mai spiegare questa singolarità: il Dio degli Ebrei e dei Cristiani ama l’uomo a tal punto da cercare di avere un rapporto con lui. E’ la Scrittura che ce lo rivela, altrimenti nessuno se lo sarebbe immaginato. Un rapporto. Un rapporto con l’uomo come collettività, ma anche come individualità. E’ un Dio che discute con Giobbe e con Giona. Mosè fa con Lui il sindacalista per salvare Israele. Tutti i personaggi della Bibbia, prima o poi, lo interpellano, ci parlano, ne ricevono risposte. Dunque un Dio che per primo si rivela. Un Dio che per primo cerca l’uomo, e non viceversa. Per noi è difficile accettare un Dio che si china per primo sull’uomo. Un Dio che per primo….cerca. Ci ribelliamo all’idea. Un po’ il materialismo, che ci fa dare importanza solo a ciò che si vede. Un po’ il cosiddetto “Buon Senso”, ed il desiderio di un certo equilibrio. Fatto sta che per noi Dio è bene che stia lontano. Nel cielo della “Teoria”. Sì, sappiamo che c’è. Ne rispettiamo, se ci riesce, la morale. Ma pensare di avere un rapporto con Lui ci sembra strano. Fuori dalla ragione. A tratti folle. La Bibbia invece ci racconta il contrario. Per la Scrittura siamo noi gli stolti. Perché non accettiamo di avere un Dio che ci cerca, che ci ama. Noi vogliamo un Dio Giudice. Non ci piace, ma alla fine Lo vogliamo così. Una morale. Un Dio Giudice che valuta con scrupolo chi la rispetta e chi no. Poi ce ne lamentiamo, ma questo Dio ce lo fabbrichiamo da noi. Invece Lui ci scusa. E’ disposto a passar sopra. Addirittura ci vuole, ci cerca, desidera un rapporto con noi, ci vuole parlare. Quindi prima sorpresa: la Sacra Scrittura ci insegna per prima cosa che la fede è rapporto. “Ascolta Israele” ….Di più: La Fede è SOPRATTUTTO Rapporto. Un rapporto come assemblea di credenti nella liturgia. Rapporto poi personale con Dio, individuo per individuo.

 

Dio vuole con noi un rapporto esclusivo.

Il Signore ordina al profeta Osea di sposare una prostituta. Osea 1,2: Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse: «Va, prenditi in moglie una prostituta
e abbi figli di prostituzione,
poiché il paese non fa che prostituirsi
allontanandosi dal Signore»”. Dio protesta. E’ geloso. Israele si volge ad altri Dei, e non a Lui. Non c’è peccato peggiore dell’idolatria. Il danaro, il sesso, la gloria. Le lodi degli uomini.  Il potere, la conoscenza. Gli idoli di moda sono questi. Nel XXI secolo non andiamo più a sacrificare a Baal (intendiamoci, purtroppo qualcuno lo fa ancora). E’ la storia di sempre. Ma non è solo la storia di un popolo, è la storia di ciascuno di noi.  Ci sono infatti, anche le nostre passioni sul cui altare sacrifichiamo volentieri. Si può dire che l’Idolatria è il peccato alla base di tutti i peccati. Come dicevano i Padri, la “Philautia”, cioè l’amore esagerato per sé stessi. Ma il Signore non ci vuole fulminare. Sta scritto infatti in Ezechiele 33,11 “Di’ loro: Com’è vero ch’io vivo – oracolo del Signore Dio – io non voglio la morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o Israeliti?” Ci cerca per aiutarci, per farci cambiare rotta. Ma come fare? In cosa consiste un dialogo addirittura con Dio, un rapporto personale col Signore? Come si fa? Di cosa si tratta?

 

Scoprire una scrittura viva

 “Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4,12). Facciamoci raccontare da Agostino d’Ippona cosa vuol dire questa parola di San Paolo. “Così parlavo e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: “Prendi e leggi, prendi e leggi”. Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai.
L’unica interpretazione possibile era per me che si trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. Avevo sentito dire di Antonio che ricevette un monito dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva: “Va’, vendi tutte le cose che hai, dalle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi”. Egli lo interpretò come un oracolo indirizzato a sé stesso e immediatamente si rivolse a te. Così tornai concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: “Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze”.  Non volli leggere oltre, né mi occorreva.  Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.” (Agostino d’Ippona, Confessiones VII).

Un brano bellissimo che ci apre un mondo, fra l’altro ricordandoci l’episodio della vocazione di Antonio, anche quello centrato sulla Parola. E’ urgente scoprire una scrittura viva. Come hanno fatto Antonio ed Agostino. Ispirata da un Dio vivo. Si potrebbero fare tanti altri esempi. Possiamo anche noi vivere le esperienze della parola dei Padri. Tanti, anche al tempo di oggi, raccontano di aver vissuto qualcosa di simile a quello vissuto da Agostino. Il guaio è che questi esempi sono per noi lontani.  Appartengono ad un tempo mitico, quello dei Santi. Noi non apparteniamo a quel tempo. Viviamo nel secolo e ci rivolgiamo ad altri valori. In più riteniamo un po’ folle fare le cose che fanno i Santi. Noi siamo “equilibrati” e non ci buttiamo in certe avventure.

 

Come fare?

 E’ la stessa scrittura che ci aiuta; “In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli»” (Matteo 18, 1-5). Il problema fondamentale che abbiamo sta nel fatto che ci sentiamo persone troppo serie. Non possiamo metterci a parlare con qualcuno che non vediamo. Ci sentiremmo ridicoli. Anzi, se ci proviamo immediatamente ci vergogniamo. Anche se non c’è nessuno. Hanno da insegnarci molto le mamme. Una madre, per giocare efficacemente col proprio bambino, deve “regredire”. Deve diventare anche lei un po’ bambina, sennò il piccolo avverte che “non gioca bene”. Fare il genitore, in effetti, aiuta. Anche col Signore dobbiamo “regredire”. Sentirci quello che siamo: figli. Col Signore noi siamo dei bambini, nulla di più. Anzi, è già troppo. Figli piccoli. Che chiedono, domandano e implorano, capendoci, in fondo, un po’ poco. Si tratta di ritrovare un po’ di spontaneità. Recitare preghiere può essere utile, ma è forse una parte da riservare alla liturgia, dove canto e recitazione hanno uno spazio ben calibrato. Quando siamo soli potremmo provare a pregare spontaneamente, dicendo quello che ci viene. Se non ci riesce ci possiamo aiutare con un salmo. Se recitiamo un salmo immedesimandoci, cioè facendo noi la stessa parte di chi lo ha composto, cioè di David, il suo grido diventa il nostro. Le sue richieste diventano le nostre. La sua lode diventa la nostra. E’ una strada per ritrovare spontaneità. Una semplicità che ci rende pronti ad ascoltare la Parola di Dio, ad interpretarla, a comprendere quando è rivolta a noi. In sintesi, a entrare in dialogo.  Ma dove ascoltare la Parola?

 

La Liturgia luogo della Parola

 E’ molto bello leggersi ogni tanto un brano del Vangelo o delle lettere di San Paolo. Possiamo anche farlo con l’aiuto della interpretazione dei Padri. Ma il “Luogo” per eccellenza dove Dio ci parla, anche individualmente, attraverso la Parola, e risponde alle nostre preghiere, è la Liturgia.  Nella Liturgia Eucaristica, il Sacerdote, nella prima entrata, mostra il Vangelo che verrà subito dopo proclamato. Egli simboleggia il Cristo che ci inizia alla Sapienza. E’ un gesto solenne dal profondo significato. E’ un invito alla apertura, alla disponibilità del cuore al Dio che si rivela. Molti raccontano di aver avuto una illuminazione alla lettura del Vangelo o di una lettera di San Paolo.  Se siamo riusciti a sentirci spontanei come bambini, allora diveniamo recettivi. Come per Agostino d’Ippona, e come per Antonio, una frase, un brano, una parabola, potrà sembrarci diretta proprio a noi e ci interrogherà. Potrà chiederci un cambiamento di vita, oppure consolarci, darci coraggio. Allora cominciamo a percepire un Dio vivo. Non più un Dio filosofico, estraneo alla nostra vita, ma un Dio presente. Cominciamo a vivere il cuore della fede che è dialogo. Che è rapporto, come la Bibbia insegna.

 

Cominciamo a conoscere le Sacre Scritture: la lingua e i testi

 La lingua del nuovo testamento, Vangeli, Lettere Apostoliche, Atti degli Apostoli ed Apocalisse, è il Greco. Il Testo è stato ricavato e validato a partire dal V° secolo dalla Chiesa Ortodossa attraverso un lungo processo che ha utilizzato numerosi manoscritti. Processo terminato intorno al VII°-VIII° secolo. Da allora si osserva una sostanziale omogeneità dei testi tramandati. Esso è giunto fino ad ora, e costituisce l’ossatura della stessa liturgia. Circa l’Antico Testamento le cose stanno diversamente. A prima vista, essendo l’ossatura della religione ebraica, sembrerebbe che la lingua e la versione ebraica siano da preferire. Ma le cose non stanno così. Pochi sanno che la versione definitiva del testo ebraico è circa del 1000 dopo Cristo (!). Perché? Perché ai tempi di Gesù la bibbia aveva due problemi

  • Non vi era una separazione tra le parole: erano tutte attaccate in una stringa continua. Andavano quindi operate delle separazioni per consentire una migliore lettura e conseguentemente una migliore decifrazione
  • Non vi erano le vocali. Le parole ebraiche sono in massima parte formate da tre consonanti, e le vocali ci dicono se queste tre lettere corrispondono ad un sostantivo, ad un aggettivo o ad un verbo. Si possono allora immaginare tutte le arbitrarietà di lettura causate da una attribuzione erronea delle vocali.

Per risolvere questi problemi furono nominati, dal popolo ebraico, dei saggi, chiamati Masoreti, il cui lavoro durò secoli e secoli. Fino ad arrivare, appunto, intorno all’anno 1000, cioè dopo 1000 anni di Cristianesimo, al testo ebraico scritto definitivo. Inevitabili le differenze tra il testo cristiano e ebraico. Per esempio nel salmo che nella versione ebraica è al numero 18, al versetto 50 si trova che Dio “….e fa misericordia al suo unto”. Nella versione Cristiana, invece il termine è più esplicitamente “…al suo “Cristo”.  Un altro problema, ben più grave, è quello provocato dai diversi testi di Isaia 7,14. Questo celebre versetto è citato nel Vangelo di Matteo in 1,23: “ Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”. Un versetto profetico della nascita del Signore Gesù da una vergine. Ma il testo ebraico non riporta “Partenos” come il testo del Vangelo ma un vocabolo ebraico che significa “giovane donna”. Una differenza fondamentale. Ma come mai? Chi ha ragione? Quale sarebbe la versione cristiana dell’Antico Testamento?

 

La Bibbia dei Settanta

 Il Vangelo di Matteo, come gli altri Vangeli, cita una versione della Bibbia molto più antica ed autorevole del testo ebraico medievale. Si tratta di una versione che è stata scritta in greco, perché destinata agli Ebrei di Alessandria, che avevano ormai dimenticato la lingua Ebraica. Un antico documento, la “Lettera di Aristea”, colloca questa versione in tempi non sospetti, verso la fine del II° secolo avanti Cristo. Essa sarebbe stata redatta da 70 Sapienti da cui il nome: ”Bibbia dei Settanta”.  Non solo in Matteo 1,23, ma in tutti i Vangeli, la versione maggiormente citata è appunto quella dei Settanta. Dunque la Chiesa, fin dagli inizi ha preferito la Versione Greca Alessandrina, perché più antica e più attendibile. Soprattutto meno esposta ad interpretazioni personali. E’ quindi questa la versione commentata ed interpretata da tutti i padri della Chiesa, in tutti i suoi libri. Conseguentemente è questa la versione di riferimento della Chiesa Ortodossa.

 

L’interpretazione delle Sacre Scritture

Dunque, tenuto quindi presente che i Padri hanno costituito la Tradizione (con la T maiuscola), a partire dalle versioni della Bibbia ora descritte, si può comprendere come rappresenti un vero cataclisma fare dei cambiamenti su questi temi così importanti, in nome della modernità e della cosiddetta “Critica del testo”. Si sarebbe letteralmente costretti a mettere da parte i Padri della Chiesa, con una vera e propria tabula rasa.  La Chiesa ha invece conservato gelosamente questo tesoro di Sapienza. Esso si dispiega anche nella interpretazione delle Scritture. Vi sono state tra gli antichi Padri due scuole. Una Cappadoce, più interessata al commento morale che scaturisce da una interpretazione letterale dei testi. Tipico esempio, le splendide omelie sul Vangelo di Matteo di San Giovanni Crisostomo. L’altra Alessandrina, più interessata all’interpretazione spirituale, di cui lo stesso Gesù ci ha dato un esempio nella parabola del seminatore (Matteo 13,2-23). Esempi ne sono il commento di Agostino d’Ippona al Vangelo di Giovanni e le omelie di Cromazio di Aquileia. Per avere una idea della ricchezza della interpretazione dei padri presentiamo qui il commento di Sant’ Efrem il Siro a questo brano del Vangelo di Matteo: “Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.» (Matteo13,45-46). Efrem compose una serie di inni, tra cui uno sul simbolo della Perla. Eccone un brano:

Posi (la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,
per poterla esaminare.
Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro lato:
aveva un solo aspetto da tutti i lati.
(Così) è la ricerca del Figlio, imperscrutabile,
perché essa è tutta luce.
Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,
che non diventa opaco;
e nella sua purezza,
il simbolo grande del corpo di nostro Signore,
che è puro.
Nella sua indivisibilità, io vidi la verità,
che è indivisibile»
(Inno sulla perla 1,2-3)”

 

Conclusioni

Abbiamo fatto una breve panoramica su uno dei tre modi con cui Dio si rivela: La Scrittura.  Abbiamo prima di tutto cercato di cogliere l’aspetto vitale e sempre presente della Scrittura. Essa illumina concretamente la vita della Chiesa e dei Cristiani. Ci è sembrato opportuno affiancare anche alcune informazioni di base, quelle che in fondo tutti i credenti dovrebbero conoscere.  Ci auguriamo che questo sia un piccolo tassello per la costruzione del Regno di Dio dentro di noi.