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La vera semplicità

La semplicità è forse uno dei più bei doni fatti da Dio all’uomo. Dio è infatti Il Semplice per eccellenza, e dunque la semplicità costituisce un suo attributo e come tale, increato ed eterno. Partecipare di questo dono, significa dunque vivere l’eternità nel tempo. Ma in cosa consiste, per noi creature umane, partecipare alla semplicità?  La semplicità, per tutta la Sapienza degli antichi, Cristiani e Pagani, era rappresentata dalla capacità di passare dai ragionamenti su Dio, alla contemplazione diretta della Sua Presenza. Una contemplazione che viene consentita dalla attività e recettività del “senso spirituale,” collocato nel cuore, e dalla possibilità di percepire le Energie operanti nel mondo, di quel Dio che è al di sopra di ogni cosa. E’ la semplicità dello sguardo che si incontra con la semplicità di Dio, nel silenzio. Il contemplativo, ad un certo punto, lascia cadere tutti i ragionamenti e tutte le considerazioni, per aprirsi alla luce Divina. Questa genera, quasi impone, il silenzio nel chiacchiericcio della sua mente, e l’orante viene preso dallo stupore. In certi casi il sentimento di indegnità quasi butta a terra il contemplativo, che non vede e non sente assolutamente nulla con i sensi del corpo. Il cuore, tuttavia, è quasi soffocato dalla intensità dello splendore spirituale che emana dalla semplicità divina. E’ il momento in cui ci si accorge, con grande meraviglia, che la Verità non è un discorso che racconta una realtà dimostrata. Essa invece è una Persona Gloriosa, che stimola profondamente in tutti noi il desiderio di vedere, vivere, sentire Qualcuno. Un desiderio che, è Amore.  La Carità infatti, consiste nel desiderare di contemplare la presenza di Dio, come dice San Massimo il Confessore, nella prima meditazione della sua Centuria sulla Carità. Lo ripete anche il Salmo 26 (25) ai versetti 7 e 8 : ”Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi. Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco”. Ecco dunque la vera Semplicità: non cercare Dio con troppi ragionamenti ma contemplare il Suo volto. Ma tutto ciò non è forse troppo alto? Non si tratta forse di qualcosa che è riservato ai santi? Agli asceti o ai monaci? No. Il Vangelo è rivolto a tutti e non a pochi specialisti. Certo, la pienezza di queste esperienze spirituali potrebbe richiedere un percorso di santità e di ascesi. D’accordo. Tuttavia esiste una esperienza quotidiana della Semplicità Divina, che questo articolo vuole segnalare. Esistono esperienze che richiedono soltanto di essere “notate”, scoperte. Esiste un problema di “distrazione” che ci sottrae ad esperienze elementari quanto importanti.  Proviamo allora ad affinare insieme la nostra attenzione.

 

Contemplare la natura come Creazione Divina

I Padri ci insegnano che il primo passo per sollevare il nostro sguardo e renderlo semplice e contemplativo, consiste in quello che loro chiamavano “Teoria spirituale della Natura” (Theoria Physichè). Lo sguardo semplice conduce a delle bellissime sorprese. Ce le ricorda il “Pellegrino Russo” nei suoi racconti. Subito dopo aver iniziato a recitare a lungo la “Preghiera di Gesù”, egli scoprì con meraviglia la bellezza della natura che lo circondava. “Tutto appariva più bello”. La meraviglia nell’apprezzare la bellezza di ogni cosa, è un segno caratteristico della “Teoria spirituale della natura”. Questa si manifesta quando vengono superate preferenze e ripugnanze (per esempio le avversioni per alcuni insetti e serpenti, etc., oppure le attrazioni per certi fiori). Il senso di bellezza traspare dal rendersi conto della complessità e della perfezione di cui è dotato ogni essere creato. I Padri chiamavano queste perfezioni “Logoi” o forme. L’”Occhio dello Spirito o Nous” , viene educato dalla esperienza contemplativa a “rendersi conto” a “vedere” la costituzione, la struttura e le stesse apparenze di ciò che è stato creato da Dio, ed è presente nella natura. Il senso di perfezione si produce dal fatto che ciascuna opera della creazione nasce su un “Progetto Divino”: ”Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati (Matteo 10,30). I “Logoi” di cui ci parlano i Padri, sono appunto questi progetti divini, da cui ogni cosa è stata creata. La contemplazione, quando rivolta verso la creazione, consiste appunto nel cogliere la perfezione di questi progetti nelle cose create, che ci appaiono così, tutte belle, indipendentemente dai sentimenti che ci possono suscitare.

Ma come arrivare a vivere questa esperienza? Abbiamo visto che il Pellegrino Russo comincia a sperimentare qualcosa di simile già all’inizio del suo impegno di preghiera. Ma non è solo questa la strada. A parte eccezioni, che crediamo possano anche esistere, l’esperienza contemplativa può richiedere alcuni semplici requisiti: frequentare abbastanza spesso la liturgia eucaristica, confessarsi e comunicarsi con relativa frequenza. Quando è possibile, dedicare ogni giorno un po’ di tempo al Signore, pregando o leggendo le Sacre Scritture. Si tratta della comune vita di un fedele ordinario. Niente di più, ma neanche niente di meno. In poche parole l’esperienza contemplativa richiede una dedizione sincera.

 

Dalla creazione al Creatore

Il Principe Russo Vladimir inviò dei messi in vari paesi, per constatare con la propria esperienza, quale fosse la fede religiosa migliore.  I messi girarono varie terre e fra queste visitarono Costantinopoli. Di ritorno relazionarono al Principe. “Dopo aver visitato molte contrade, arrivammo a Costantinopoli, dove i Greci ci condussero alla loro liturgia. Lì ci fu grande meraviglia, perché non capivamo se eravamo sul cielo o sulla terra, poiché sulla terra non vi era spettacolo uguale. Tale era la bellezza, che non la sappiamo descrivere con parole. Possiamo solo dire che lì gli uomini sono in presenza di Dio e che quel servizio divino, non ha uguali in altri Paesi”. Saremmo portati a dire che c’è qualcosa di leggendario, come un po’ in tutte le cronache antiche. Eppure è esperienza molto comune trovare cristiani provenienti dal mondo latino che amano la liturgia ortodossa. Si mettono talvolta in fondo alla Chiesa, e raccontano di sentirsi bene e di provare pace. Qualcuno di loro racconta di aver sentito la presenza di tutta la Chiesa, in particolare dei Santi.

Ma chi ha detto agli emissari del Principe Vladimir che quello che provavano lo dovevano alla Presenza di Dio? Lo Spirito si “auto-rivela”. Ed è per questo che la Liturgia è una delle forme più importanti di apostolato della Chiesa Ortodossa. Si lascia lo Spirito Manifestarsi da solo. Ebbene, questa manifestazione ha tutti i caratteri della semplicità contemplativa.

Ma vediamo come può evolvere questa esperienza.

 

Contemplazione e Verità

Chi scrive arrivò per la prima volta all’Athos circa 20 anni fa. Provenendo da una tradizione latina aveva avuto cura di evitare i monasteri, per andare a fare l’esperienza presso un monaco che viveva solitario alla Nea Skiti. Si voleva appunto evitare una lunga liturgia, verso cui non c’era abitudine. Ma arrivò la festività di Pentecoste, ed il “latino”, fu invitato a partecipare, almeno per un paio d’ore, ad una Veglia di preghiera. L’esperienza fu sorprendente. Le parole non si capivano. La musica non piaceva. Buio e candele. Eppure quando tutto finì, ci si sentì defraudati. Avremmo voluto continuare, perché una sottile e profonda gioia animava il cuore. Fu un insegnamento grande: la vita della liturgia Ortodossa è lo Spirito Santo. Non le forme umane, ma lo Spirito. Non c’era nulla in quella esperienza che potesse spiegare ciò che era avvenuto in termini psicologici. Fu uno shock. Non era mai stata fatta una esperienza così chiara, dell’azione dello Spirito Santo in una liturgia.

In questa esperienza si comincia a vedere qualcosa di più. C’è uno stare in preghiera, un partecipare attivamente alla liturgia, sia pure dal Nartece. Nulla di sensibile è intervenuto. Non la luce, che mancava, non la comprensione dei testi liturgici, non una completa visione della azione liturgica, vista la scomoda posizione occupata. Eppure la preghiera si era fatta intensa e forte appariva la Divina presenza. Ora però bisogna dire che il tipo di liturgia a cui si assisteva favoriva molto: la veglia (Agripnia). Essa è davvero qualcosa di speciale. Durante le Agripnie, infatti si possono avere esperienze di concentrazione e di silenzio mentale di fronte alla Divina Presenza prolungate ed intense. Questo può avvenire anche senza che chi ne partecipa se ne renda pienamente conto. Si esce dalla Chiesa felici, pensando di “essere stati bene”, ma in realtà l’esperienza avuta è stata profonda. Chi se ne rende conto, avverte proprio ciò di cui si parlava all’inizio di questo articolo. Ci si accorge che la Verità non è qualcosa che si presenta con dei discorsi, ma piuttosto qualcosa che si “sente”. Si avverte. Essa è ed appare come una Presenza. Una presenza che non si può descrivere con le parole o con le figure della immaginazione o dei sensi. Ma purtuttavia presente e forte. E’ la semplicità della divina contemplazione.

Se la liturgia è il luogo più frequente dove avvengono questi piccoli miracoli, la preghiera individuale ne rappresenta lo sviluppo. Succede a chi obbedisce al Vangelo e prega il Padre nel segreto: “…Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Matteo 6,6). E la ricompensa è Lui stesso! Con il tempo e l’abitudine la preghiera recitata diventa preghiera spontanea, semplificandosi. Poi la Divina presenza, manifestandosi più intensamente, spingerà l’orante al silenzio (Esichia), ed allo stupore. Per qualcuno la ricompensa sarà data da momenti a volte prolungati di contemplazione silenziosa. Un percorso dunque.  Un cammino che può essere vissuto nella quotidianità della liturgia o della preghiera personale. Ma un cammino che può evolversi nel tempo e chissà, forse approdare alle esperienze superiori dei grandi santi.

 

E la ragione che fine fa?

La ragione discorsiva ed i concetti, in realtà, hanno il loro posto preciso. Essi sono guide preziose. Il loro ruolo è quello di “segnalare la strada che conduce ad una corretta esperienza”. Un esempio pratico e convincente è quello del “Credo”.  Il Credo che recitiamo nella liturgia Eucaristica è appunto fatto di concetti. Ma perché è importante a tal punto da essere recitato così spesso? Perché ci insegna quei concetti fondamentali, che ci permettono una vita cristiana felice. Sono “paletti”, “bandierine”, che guidano il nostro percorso. Come arrivare infatti ad una esperienza di semplicità contemplativa seria, senza credere in un Dio onnipotente? Senza credere che Gesù è il Signore e non un uomo? Senza credere nello Spirito Santo e nella Chiesa? Ci mancherebbero dei mattoni fondamentali, come per esempio i sacramenti.

 

Conclusioni

Abbiamo fatto un percorso che ci ha fatto scoprire il vero senso della semplicità, attraverso la bellezza della contemplazione. Soprattutto abbiamo visto come questa non sia affare di pochi asceti, ma un dono da vivere nella vita quotidiana ed a disposizione di tutti. Talmente a disposizione, che non si fatica tanto ad ottenerla ma piuttosto ad accorgerci di viverla.

 

 

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