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Una interpretazione insoddisfacente

Cosa vuol dire “ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore”? Questo versetto è presente in tutte e tre le versioni del primo comandamento che abbiamo esaminato da vicino, nella prima parte. Manca nella primissima versione, che è quella presente nelle “Dieci Parole” dell’Esodo. Si possono vedere le quattro versioni complete nel primo articolo, il cui link sarà riportato in fondo al presente scritto. Semmai vi è da notare il passaggio da Esodo a Deuteronomio e poi al Vangelo, con un cambiamento davvero sostanziale. Si comincia a parlare di Amore. Non si chiede di onorare. Non si domanda un comportamento. Si ….ordina…un sentimento. L’Amore. Ama. Ama il Signore! Questo passaggio alla dimensione affettiva dell’uomo, non è senza traumi. Si perché non si chiede solo l’amore. Ma l’amore con tutto il cuore. Ma …allora…se io mi innamoro e mi sposo con una donna…sottraggo qualcosa a Dio dell’affetto a lui dovuto? E se poi nascono i figli…ancora peggio. C’è chi ha giustificato il celibato monastico in questo modo.  Non mi sposo per non sottrare a Dio nulla. Ma allora gli sposati non possono obbedire al primo comandamento. E il secondo comandamento? Questo recita così:”… e amerai il prossimo tuo come te stesso”. Un disastro! Si va di male in peggio! Non solo la moglie, ma anche il prossimo, e poi addirittura anche me stesso. E per Dio cosa ci rimane? No, no non ci siamo. Fra l’altro ai tempi del Deuteronomio, il celibato ecclesiastico non esisteva. Nasce una evidente contraddizione. No, non si può andare per sottrazione. Bisogna passare da un’altra parte.

 

Dalla quantità alla qualità.

Forse se riprendiamo il cammino dalle dieci parole dell’Esodo, potremmo riuscire a capirci qualcosa. Nella “Prima Parola”, Dio chiede di non avere altri Dei, quindi di non sacrificare a degli idoli, poi ci chiede di partecipare alle feste liturgiche. Sono dei comportamenti. Ma se il Signore li ha messi in questa posizione, dicendo dopo ….ama il Signore Dio Tuo, forse vuol dire che questi comportamenti, già rappresentano una prima forma di amore. Amore che poi si svilupperà, d’accordo, ma in fondo sempre amore. Andare alla liturgia della domenica è ricordarsi di lui. Provvedere ad onorarlo. Rispettare un suo comando significa obbedienza. Significa pensare a Lui. Se noi cominciamo a vedere le cose, non sotto il profilo della quantità, ma della qualità, ecco che allora l’obbedienza ed il rispetto, ci appaiono una prima forma di amore. Forse non rivestita di una componente affettiva, d’accordo, ma pur sempre amore. Si comincia così, pare dirci il Signore. È un primo passo che attende gli sviluppi che poi ci saranno con il passaggio dall’Antico Testamento al Nuovo. Un po’ la stessa cosa succede quando “recitiamo” una preghiera. Leggiamo, magari attenti a non distrarci ed a leggere bene. Ma spesso manca il sentimento. Eseguiamo una pratica. Tutto bello, in realtà. Si tratta comunque, anche questo, di un impegno che rivela comunque un iniziale, per quanto sotterraneo, sentimento di amore.  Come abbiamo già detto.

Il passo successivo è quello in cui si manifesta un po’ più chiaramente la fede come rapporto. Si entra in chiesa e si accende una candelina. Ci si ferma davanti ad una icona. Si partecipa sottovoce a qualche canto o diciamo anche noi l’amen. Talvolta preghiamo sottovoce con le nostre parole. Cominciamo a non “assistere” più ad un rito. Cominciamo a partecipare ad un evento collettivo. Stiamo insieme con gli altri davanti alla presenza dell’Altissimo. Anche la nostra preghiera personale ne risulta arricchita. Diventa più chiaro che ci rivolgiamo ad un Dio vivo. Che è presente.

 

Partecipare con sentimento aggiunge qualità alla nostra fede

Il passo successivo è quello del sentimento. Qualcuno dice che chi canta prega due volte. È vero. Perché il canto muove i nostri sentimenti ed il cuore stesso. Quando si è soli, pregare con le nostre parole, con spontaneità, usando le espressioni che ci “vengono” dai nostri bisogni, aggiunge di solito la qualità del sentimento alle nostre richieste. E tutto questo è certamente gradito agli occhi del Signore. Si può fare lo stesso leggendo un salmo, avendo cura di soffermarci su quei versetti che sentiamo “nostri” e ripetendoli. Certo, lo possiamo fare anche con i salmi o con il testo della liturgia, immedesimandoci in quello che diciamo. Facendolo nostro, quasi che si fosse noi ad aver inventato e poi scritto quell’orazione o quell’antifona. Gli ebrei dicevano che quando le nostre preghiere sono fatte con sentimento, le parole pronunciate si trasformano in angeli e salgono su, in cielo, fino al cospetto di Dio. Ecco che allora, aggiungere qualità alla nostra fede significa essere più facilmente ascoltati. E cosa abbiamo fatto con questo? Abbiamo guadagnato spazi del cuore a Dio. In poche parole, vivendo con sentimento i comandi del Signore e la nostra stessa fede, abbiamo amato Dio con più cuore. Ora c’è più cuore. Più cuore del semplice obbedire ad un ordine, perché lo abbiamo fatto con partecipazione. Il nostro amore, per quanto un po’ primitivo, ha trasformato la qualità in quantità, perché ha guadagnato il cuore in profondità. E l’effetto di tutto questo è che ci siamo fatti un po’ più presenti a Dio. Il nostro rapporto col Signore si è approfondito e l’espressione di questo miglioramento sta nella maggiore nitidezza con la quale percepiamo la Divina Presenza. Forse senza rendercene conto, ma è così. Soprattutto se ripetiamo tutto questo con regolarità, ed in misura crescente.

 

I limiti dell’immaginazione

Ma c’è purtroppo un limite a tutto ciò. Il sentimento proprio dell’uomo muove una affettività che necessita di essere soddisfatta da qualcosa che si vede, e che si sente. In una parola, per amare qualcuno dobbiamo vederlo. E poiché Dio non si vede, usiamo icone, immagini sacre varie, oppure la nostra stessa immaginazione. “Guardiamo”, con gli occhi della fantasia, il cristo crocifisso, la Vergine Maria che ne è addolorata, i santi che benedicono. Si tratta di un movimento assolutamente spontaneo, che ha comunque molti lati positivi. Il primo fra questi, è proprio quello di aiutare ad uscire da una fede fredda, razionalista, fatta più di ritualità che di partecipazione. E dove è il problema? Restiamo sempre nei limiti di un amore umano. Giusto quello che si divide e va per sottrazione. Abbiamo guadagnato qualcosa, è vero, ma non abbiamo risolto i nostri problemi. Gli affetti umani infatti, si “spostano”. Entrano in competizione, come già detto all’inizio di questo articolo. Allora tutto da rifare? No. No, perché abbiamo trovato la direzione giusta. Percorrere la qualità dell’amore. Ma per farlo davvero dobbiamo andare più in là. Abbiamo bisogno di qualcosa ancora. Ci vuole una spinta che ci faccia andare oltre.  

 

Dall’immaginazione al silenzio della Divina Presenza

È un bel problema. Questa difficoltà, per essere superata, va capita meglio. C’è infatti qualcosa ancora da dire. Oggi, a differenza anche solo di un secolo fa, e senz’altro enormemente di più dell’epoca patristica, il piacere mentale è realizzato da una quantità industriale di immagini. Video, cinema, TV, foto, fumetti, e gli stessi libri, gli smartphone etc. ci bombardano di immagini, di storie, di avventure, di pubblicità, di stimoli alla commozione, all’entusiasmo, alla rabbia. Si tratta di un piacere sottile che ci inchioda all’immaginazione molto più dei tempi passati. Questo piacere, è dovuto in gran parte alla elaborazione, che il nostro cervello fa delle immagini, per esempio di fronte ad una storia, ad un racconto, e quindi alle reazioni emozionali relative. Commozione, sdegno, paura, ansia, etc. C’è tutto il repertorio delle emozioni. Ora proprio per questo, l’immaginazione rappresenta, per la sua mole e distrazione, un muro. Un muro che ci distoglie dalla Presenza di Dio. Va da sé che pregare sulla base dell’immaginazione, rischia di aumentare lo spessore di questo muro. Pur rappresentando un passo avanti, per tanti versi, e lo abbiamo sottolineato, l’immaginazione rappresenta alla fine un ostacolo. Un ostacolo alimentato dagli stimoli della società moderna. Persino Massimo il Confessore ci ricorda nella Filocalia, quanto sia di ostacolo la fantasia. E a quei tempi non c’era tutto quello che c’è ora. Dunque torniamo ora al punto con cui concludevamo il precedente paragrafo.  Come facciamo? Come facciamo ad andare avanti? Come facciamo a saltare questo muro? Semplice. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo.

 

La preghiera e l’eucarestia sono il segreto per amare con tutto il cuore

 E come facciamo ad avere lo Spirito Santo? Semplice, lo si chiede. Ce lo raccomanda Gesù stesso nel Vangelo: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono” (Luca 11,9-13).

L’ eucarestia e la preghiera costituiscono il segreto dell’amore. In particolare la preghiera di Gesù, se praticata con fedeltà, porta il fedele a scoprire “il luogo del cuore”. Portando l’attenzione sul cuore, questo si “scalda”, cioè si nutre di un misterioso sentimento di amore. È il frutto della Grazia dello Spirito, che “piccona” la durezza del nostro cuore e lo ammorbidisce. Amore per Dio, certo ma un amore che non richiede nessuna fantasia e nessuna immagine. Qualcuno racconta come questo sentimento sgorghi ad un tratto, anche stando a lungo in silenzio, alla presenza del Signore. Ora appunto, un sentimento di amore per qualcuno che non si vede non è umano, ma frutto dello Spirito (1 Pietro, 1). Eccoci al fondo del cuore. Amiamo davvero con tutto il cuore, di un amore che Dio stesso ci dà. Ma come facciamo ad esserne sicuri? Questo amore è divino perché non si divide. Ecco la prova regina! Non si divide! Amiamo dello stesso amore con cui amiamo Dio, la nostra moglie, i figli, i fratelli, gli amici, gli estranei, tutti. Non si divide e pertanto soddisfa egregiamente anche il secondo comandamento, che ricordiamolo, il Signore dice che è simile al primo. Per questo: l’amore è sempre lo stesso, perché è la Carità, frutto dello Spirito Santo.

 

Conclusione

Siamo alla fine arrivati alla definizione stessa di Carità: amare Dio, e gli altri con lo stesso amore con cui amiamo Dio. Siamo però all’inizio del cammino, nell’interpretazione del primo comandamento. Il prossimo articolo cercherà di comprendere perché con tutta l’anima.  

 

 Link per la PRIMA PARTE

https://adoratori.com/il-primo-comandamento-prima-parte-il-mistero-e-limportanza/