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SI CONSIGLIA DI LEGGERE GLI ARTICOLI DELLA SERIE “LA SAPIENZA DELL’ ATHOS” INIZIANDO DALLA PRIMA PARTE

https://adoratori.com/la-sapienza-dellathos-prima-parte-perche-e-utile-anche-ai-laici/

 

Necessità di un profilo storico

Per affrontare questo tema un po’ delicato è opportuno coglierne le radici storiche, anche se questo comporterà qualche ripetizione di quanto esposto fino ad ora. Pazienza. Repetita Juvant.

 

Perché il deserto?

Sant’Antonio il Grande, nato nel 251, imitando Paolo di Tebe, il primo eremita, abbandonò il mondo per una vita ascetica. Dopo alcune esperienze decise di lasciare la città, per dirigersi nel deserto. Era piuttosto giovane ma deciso e guidato dalla grazia. Con la cultura di oggi non potremo mai riuscire ad immedesimarci in Antonio, e capire il perché di questa scelta. Possiamo provarci.  Vediamo di elencare alcune opzioni:

  • Nel deserto si è soli con Dio

Si, è vero, non c’ò niente di meglio del deserto per affinare il nostro dialogo con Dio, il nostro rapporto personale con Lui. Nulla ci disturba. Non ci sono distrazioni. Non ci sono opere da compiere, neanche di misericordia. Si è soli, cuore a cuore. Molti hanno fatto questa esperienza e ne sono rimasti toccati tutta la vita.

  • Nel deserto c’à la povertà assoluta. Non si può fare i signori tra le dune. Non possiamo portarci dietro la nostra libreria. Le macchine circolano male. Non c’è da mangiare: in tutto si dipende da Dio e si sperimenta in modo radicale la Sua Provvidenza.
  • Nel silenzio del deserto si prega meglio. E’ vero. Nel deserto ci si accorge che dentro le nostre orecchie affluisce il sangue, con il ritmo del cuore. Il silenzio assoluto ci permette questa esperienza. In effetti il deserto sembra proprio il luogo dove, finalmente isolati da tutti, possiamo pregare per il mondo e per la Chiesa, senza, il timore di essere disturbati. Gesù lo faceva, ogni tanto si allontanava per pregare indisturbato.

Dunque da Antonio ci aspetteremmo queste ragioni, che sono le ragioni su cui una moltitudine di scrittori ecclesiastici moderni, ha scritto e fatto meditare. E invece no.

 

Un colpo di scena

Antonio trova una tomba. Ci si sistema, si accorge che è infestata dai demoni e lui invece di scappare….ci si chiude dentro! Se non sapessimo che si sta parlando di un santo, diremmo che è impazzito. E la quiete? E il Silenzio? Recluso. Addirittura recluso in una tomba infestata da spiriti malvagi, tanto da farsi passare il cibo di cui si alimenta, dall’esterno, rimanendo dentro.  Tutto ciò è strano solo per noi e la nostra attuale cultura. Per noi, ora, il deserto è un luogo dove andare in vacanza o dove fare delle traversate con vetture 4X4. Per certi aspetti, senza che ce ne accorgiamo, il materialismo e l’abitudine a cercare il benessere, ci fanno propendere per interpretazioni di un certo tipo. Pensiamo alla povertà, perché ragioniamo spesso in termini di avere o non avere. Pensiamo al silenzio perché affogati dal frastuono delle città.  Pensiamo al rapporto con Dio, perché ci hanno insegnato che credere al diavolo è superstizione. Ci sfugge quindi che per tutta l’antichità, ovunque, il deserto è l’abitazione naturale degli spiriti maligni. Per gli ebrei i demoni abitavano il deserto fuori dalla città. Ancora oggi, nei paesi mussulmani, se ci si addentra in un luogo desertico, veniamo invitati a non sollevare le pietre, perché sotto una di esse potrebbe esserci un Jinn, cioè uno spirito. Infine il Vangelo. Il testo biblico rispetta in pieno questa cultura. Gesù passa quaranta giorni nel deserto, consapevole che sarebbe stato tentato da Satana, ed è il motivo per cui tutti i cristiani ricordano quei giorni di ritiro del Salvatore. Per le tentazioni nel deserto.

 

Come avviene la sfida agli spiriti decaduti?

La lotta non avviene certo con un corpo a corpo contro i fantasmi. Si certo, si narra che ad Antonio qualche volta è successo anche questo. Ma il monaco che cerca la solitudine non fa questo. L’eremita si trova solo con i propri pensieri. Li vede scorrere davanti a sé.  I pensieri non fanno più da contorno alla sua vita, ma ne diventano il centro. Ed è qui che si realizza lo scontro. Antonio imparò a sue spese ad esaminare i pensieri ed a coglierne la provenienza, sapendo bene che il modo di combattere del Diavolo è proprio quello di suggerire pensieri fallaci. Apparentemente buoni, ma sbagliati. Dunque il monaco impara a conoscere i pensieri ed a comprenderne la provenienza, se dagli angeli, dall’uomo stesso o se dagli Spiriti maligni.  Il problema dei pensieri intrusivi a carattere malvagio, è che assomigliano ai buoni.  Quante volte per esempio siamo stati indotti a sospettare di una persona, arrabbiandoci “nel pensiero” contro di lei, per un qualche motivo, immaginando anche delle supposte prove.  E quante volte poi abbiamo scoperto che il tutto non era vero. Ci caschiamo perché siamo convinti che tutti i pensieri siano nostri, mentre non è così.  Quindi il primo principio da apprendere è che il Diavolo esiste. Il secondo è che è molto interessato a noi. Il terzo principio è questo: il Diavolo è un nemico che ci tende tranelli continuamente per farci cadere. I salmi insegnano ripetutamente questo nel dettaglio. Egli ci combatte suscitando in noi emozioni di paura, rabbia o desiderio smodato. Ci prende in giro, facendo leva sul nostro mancato controllo delle passioni. Sant’Antonio, in decenni di lungo tirocinio, imparò a riconoscere i pensieri ed a comprenderne la provenienza.

 

Perché il combattimento con gli Spiriti?

Lottare contro i pensieri malvagi non fa bene solo a noi, ma anche a Tutta la Chiesa.  La purificazione del nostro cuore ci permette di accogliere la grazia della Luce Soprannaturale Divina. Ma ci permette anche di trasmettere la Grazia a tutta la Chiesa.  Antonio, quindi, non pensava a sé stesso, ma a tutta la cristianità di quel tempo. Egli quindi si rese conto della grande importanza che aveva, la capacità di distinguere la provenienza dei pensieri. Una volta individuato il pensiero malvagio, lo si espelleva con la preghiera. Ancora oggi è così. Ed è così anche all’ Athos dove i monaci si autocomprendono simbolicamente nel deserto, anche se sono in riva al mare.

 

I primi discepoli di Antonio

Dopo decenni di lotte solitarie, Antonio cominciò ad accettare discepoli intorno alla sua cella. Certamente ad animare la sua ricerca, come quella di chi a lui si avvicinava, non era soltanto il desiderio di battersi contro le forze del male. Vi era anche, e forse soprattutto, un grande amore per Dio ed un forte bisogno di essere discepoli del Cristo.  Era dunque prima di tutto uno stile di vita quello che cercava chi fuggiva il mondo, per andare nel deserto con Antonio. Questo certamente non ci sfugge. Ma anche in questo caso, si poneva il problema del discernimento dei pensieri. I detti dei Padri del Deserto sono pieni di esempi del genere:

“Abba, i pensieri mi dicono di abbandonare la cella per andare in città e guadagnare un po’ di “soldi da dare ai poveri”. E l’Abba risponde:

“Stai attento figliuolo, quella è una tentazione…..”.   Alcuni “pensieri” si riferiscono ad eccessi nel digiuno etc. Infine, ricordiamo ancora una volta, l’espulsione dal proprio cuore dei pensieri malvagi, rappresenta per il monaco una importantissima opera di purificazione interiore. Tutti i Cristiani conoscono una delle Beatitudini del Discorso della Montagna di Gesù:”Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”( Matteo 5,8). Dunque l’arte del “Discernimento dei pensieri”, diventa di capitale importanza ed Antonio la insegna a tutti. Come? Il monaco giovane tutte le sere si reca dall’anziano, e gli sottopone tutti i pensieri avuti nella giornata. E l’anziano, con pazienza, gli indica quali sono buoni e quali sono di provenienza dubbia o maligna. Così il principiante impara la sublime arte di Antonio, che viene poi tramandata di generazione in generazione. Queste dunque le radici storiche del “Padre Spirituale”. Sono radici totalmente legate al discernimento. In buona sostanza E’ IL DISCERNIMENTO L’OGGETTO DELLA PATERNITA’ SPIRITUALE.

 

Trovare il Padre Spirituale

Fin dall’antichità la ricerca del Padre Spirituale, è stato uno degli impegni più importanti della vita cristiana.  Cassiano, nelle Conferenze Spirituali, racconta di aver abbandonato il deserto Palestinese perché insoddisfatto. Non riusciva a trovare il giusto maestro di discernimento. Era giovane e monaco da poco, per cui poté   affrontare il difficile e faticoso viaggio fino al Deserto Egiziano (siamo nel V° secolo), dove vivevano gli “Abba” più rinomati. Ribadiamo che trovare un anziano esperto e disponibile, significava andare a vivere da lui. Farsi aiutare consisteva nel presentare la sera, letteralmente il catalogo dei pensieri della giornata.  Poi esisteva anche un certo apprendimento (ma solo poi). Si chiedeva all’anziano una “parola”, un consiglio. Si presentava e si presenta tutt’ora un problema da risolvere. Nel tempo le cose si sono evolute. Da una parte le distanze si sono fatte maggiori, ed oggi molti comunicano con il proprio “Ierunda” (parola greca per Anziano o Padre Spirituale) per telefono. Certo, però, non tutte le sere. In ambito laico è oggi importante la figura del confessore. Il discernimento, in altre parole, ha preso, in certi ambienti, l’aspetto della decisione su cosa è peccato e su cosa no. In effetti, chi vive nel mondo, è soggetto più spesso del monaco a decisioni di tipo morale. E’ giusto fare questo? Ho fatto male a fare così? Dunque la figura dello Ierunda tende a volte a coincidere con quella del prete e del confessore. Bisogna poi dire, che un giovane monaco che vive per molti anni con un anziano, ne apprende lo stile di vita e ne fa tesoro. Bisogna quindi riconoscere che in certi contesti il padre spirituale ha assunto il carattere del “Maestro”, anche se il Vangelo diffida dal cercare tali figure (Matteo 23,9-10). Questa tendenza è comune anche tra i laici che spesso vivono con ammirazione il padre spirituale che si sono scelti. Tuttavia è bene sottolineare la grande differenza che esiste tra maestro Sufi o Yoga e Padre Spirituale. I Maestri delle “Catene Iniziatiche” tradizionali come queste, conferiscono all’allievo una iniziazione. Lo Ierunda, l’anziano è solo un esperto, non il discendente di una “catena Iniziatica”, e non conferisce alcun tipo di iniziazione. L’iniziazione Cristiana, infatti, è uguale per tutti, ed è il battesimo.

 

Conclusioni

Abbiamo cercato di illustrare come i monaci dell’Athos vivono e sentono il Padre Spirituale. Sottolineiamo che si tratta di un modo di sentire e vivere non diverso da quello di tutti gli Ortodossi. Non ci sono “Vie speciali Athonite”, la Sacra Montagna non è luogo di esoterismo. Piuttosto è la roccaforte di una fede profonda, che insegna a noi laici, sempre indaffarati come Santa Marta, in mille “servizi”, che esiste l’interiorità. E che è nell’interiorità dei credenti che avviene il miracolo giornaliero di un “Dio che viene”.

 

CHI VOLESSE VISITARE L’ATHOS ENTRANDO IN CONTATTO CON I MONACI DI UN MONASTERO TRA I PIÙ VIVACI ED IMPEGNATI, SCRIVERE A

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