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SI CONSIGLIA DI LEGGERE GLI ARTICOLI DELLA SERIE “LA SAPIENZA DELL’ ATHOS” INIZIANDO DALLA PRIMA PARTE

https://adoratori.com/la-sapienza-dellathos-prima-parte-perche-e-utile-anche-ai-laici/

La preghiera va inserita nel complesso della vita spirituale

Abbiamo fino ad ora descritto brevemente, uno degli aspetti più profondi della spiritualità dell’Athos: la Nepsis. Le tre parti di questa serie intitolate rispettivamente Nous, Logismoi e Nepsis, formano un blocco unico inteso, con parole semplici, ed in modo sintetico, a descrivere il cuore della vita monastica athonita. Questi tre articoli comunicano però, in realtà, valori utili anche per la vita del laico. Soprattutto essi fanno un po’ di luce, su alcune delle cose importanti che strutturano la preghiera. E’ infatti sconcertante e doloroso accorgersi che molte persone di cultura latina, credono di perfezionarsi nella preghiera del cuore trascurando completamente questi valori.  La preghiera di Gesù diventa veramente efficace, e non resta alla superficie, quando è inserita in un contesto di pratiche, che agiscono sinergicamente alla grazia data dai sacramenti.  Si vorrebbe progredire senza una vera confessione, cioè senza un sostanziale cambiamento di rotta rispetto agli errori del peccato, senza una eucarestia preparata accuratamente, senza credere alla sostanza delle tentazioni, ma piuttosto interpretandole in modo psicologistico. Soprattutto senza contribuire con la Nepsis alla purezza del cuore, avendo cura di allontanare in modo scrupoloso i pensieri malvagi. No. In queste condizioni non solo ogni progresso è impossibile, ma se sembra di averne, sarà quasi certamente qualcosa di ingannevole e pericoloso.

Inoltre quanto descritto è solo una piccola parte del complesso di fattori spirituali che entrano in gioco nella preghiera. Ci sarebbe infatti molto da dire sulla umiltà, sulla obbedienza ad un Padre Spirituale, sulle necessarie conoscenze teologiche, ed altro ancora. In questo articolo ci riferiremo alla Ascesi ed alla Hesychia (quiete), altri due aspetti della spiritualità, che assumono molta importanza all’Athos.

 

Il senso della ascesi

Un errore fatale commesso da alcuni teologi di tradizione latina, è quello di interpretare l’ascesi Athonita come una specie di odio verso il corpo e la materia. A prima vista tale giudizio, francamente superficiale, potrebbe essere suggerito dalla severità della vita monastica. Si mangia due volte al giorno con vitto vegetariano, ed in quantità misurata. Lunedì, Mercoledì e Venerdì c’è digiuno, con astensione anche dal formaggio, dall’olio e dal vino. Poi ci sono i digiuni canonici della Quaresima, dell’Avvento, i 15 giorni d’Agosto prima della festa mariana della dormizione, il digiuno di preparazione per la festa di Pietro e Paolo. Ci si sveglia alle 3 e mezzo o alle 4 e mezzo per andare alla liturgia che inizia in certi monasteri alle 4 in altri alle 5. Si prega fino alle 8 o alle 9 e poi ci sono i vespri nel pomeriggio e compieta la sera. Spesso si fanno veglie che durano dalle 19 alle 2-3 del mattino. Durante il giorno si lavora. E’ una vita impegnativa, non adatta a tutti.  Ma quello che si vuole chiarire è che in nessun modo tutto ciò è fatto in odio al corpo o alla materia. I Monaci non sono filosofi gnostici.

Inoltre l’ascetismo si divide in due grandi categorie. La prima si riferisce all’ascetismo attivo, che è appunto quello descritto fino ad ora. La seconda consiste nell’ascetismo passivo: accettare con pazienza le tribolazioni della vita. I monaci considerano questa seconda categoria di ascesi, di gran lunga la più importante. Da tutti, infatti, la pazienza generata dalle tribolazioni, viene eletta a generatrice di Umiltà, virtù considerata asse portante di ogni guarigione spirituale.

Questa vita così apparentemente severa, è per essi dunque una cura, ed il monastero viene vissuto come una clinica. Ma da quale malattia vogliono essere curati? Il sentimento profondo di essere malati si è formato in loro grazie alla accurata educazione patristica. La Tradizione infatti, ci insegna che la conseguenza della caduta dovuta al peccato ancestrale, consiste in un oscuramento del Nous. L’uomo non comunica più con Dio come faceva Adamo, perché egli non riesce più a percepirlo con il Nous oscurato. Il desiderio allora che la vera natura dell’uomo vorrebbe orientato verso Dio, cambia la sua direzione “normale” e viene deviato verso l’uomo stesso. San Massimo il Confessore parla a questo punto di Philautia. Un termine che significa amore per se stesso, ma non come un sano amore dovuto a se stesso, come a Dio. Piuttosto si tratta del nascere dell’egocentrismo. Il centro dell’esistenza, infatti, non è più Dio, ma l’uomo stesso, per il semplice fatto che oscurato il Nous Dio sparisce dall’orizzonte del cuore dell’uomo. L’amore egoistico prende svariate forme. Esse sono le passioni: Vanagloria, Orgoglio, Superbia, Gola, Lussuria, Avarizia, Collera, Accidia, Paura e Pusillanimità ed altre ancora. Si può dire che le passioni concretizzano la malattia del peccato ancestrale. Esse colpiscono a più livelli. Trasformano in modo innaturale e distorto non solo le abitudini degli uomini, ma anche il loro modo di pensare. Vanno a fondo.

 

Sottolineiamo che del tutto erroneamente, tendiamo tutti a considerare naturale ciò che naturale non è. L’uomo di oggi considera il prodotto del peccato ancestrale come la norma. I Padri ci insegnano che è sbagliato.

La norma è la condizione umana adamitica, precedente al peccato ancestrale. Dopo la caduta subentra solo e soltanto la malattia. Il fine della incarnazione, passione e resurrezione del Signore Gesù è quello di guarirci dalla caduta, tramite l’acquisizione dello Spirito Santo.  

 

Il monastero come luogo della guarigione

Dunque il monastero è un luogo di guarigione. Proprio per questo i monaci, consapevoli della propria malattia, non si sentono superiori ai laici che rimangono nel mondo. Si sentono “in cura”. L’ascesi, come narra tutta la tradizione monastica, rappresenta la cura delle attitudini passionali. Il digiuno per la gola, l’ubbidienza per l’orgoglio, la castità per la lussuria, etc.  La sostanza della terapia consiste in un riordino delle potenze dell’anima. Il desiderio viene educato a volgersi verso il suo fine naturale che è Dio. L’ira deve gradualmente orientarsi verso il male, e non identificare come tale ciò che impedisce di godere di un piacere disordinato. Dunque, non solo nessun odio per la materia ed il corpo, ma amore per la vera salute del corpo e dell’anima.  Salute che si accompagna ad una purificazione del Nous: l’ascesi contribuisce in modo sinergico alla grazia, alla Nepsis, alla preghiera, ai sacramenti, al ritorno del Nous alla sua originaria limpidezza. Ma quali sono gli effetti di questo processo? Ne parleremo nel prossimo articolo dedicato alla “Theosis”.

 

L’Hesychia

In questa parte cominciamo col riportare l’approdo alla quiete (hesychia) del Monaco.

Secondo San Gregorio del Sinai, “l’Hesychia consiste nella espulsione di tutti i pensieri dalla mente per un certo tempo, fatta eccezione per quelli divini, provenienti dallo Spirito”. Per San Barsanufio essa si accompagnava al controllo delle passioni. Essa è dunque una scienza completa dei pensieri, del cuore e dei sensi. L’Hesychia si accompagna alla progressiva guarigione dell’anima. Con essa  l’opera della grazia, infatti, si fa più profonda ed è il frutto delle fatiche ascetiche del monaco. Quando la grazia dell’Hesychia scende sull’uomo, non è più tanto il monaco a cercare la quiete ed il silenzio. Sono la quiete ed il silenzio che trovano il monaco. Parlare e relazionare con gli altri, da opera piacevole diventa gravoso. Il silenzio entra nell’anima del monaco che allora, chiamato, cerca la solitudine. Quando con il battello ci avviciniamo alle coste di Kapsokalivia, alle falde del Monte Athos, scorgiamo delle piccole capanne attaccate alle pareti rocciose, a picco sul mare. Dall’alto scorrono con delle corde dei panieri, che scendono fino a quelle piccole capanne.  E’ la descrizione di un esempio pratico di quanto stiamo spiegando. Dentro quelle piccole, incredibili capanne abbarbicate alla roccia, ci stanno dei monaci. Sono eremiti chiamati alla Quiete del Signore, alla Hesychia. Al Silenzio profondo della grazia. Di quella grazia che supera ogni limite fisico. Davanti a quelle misere capanne rabbrividiamo. Ci chiediamo: “Come fanno?”. Già. Come fanno?  Ce la fanno perché la Grazia li ha portati lì. Non l’uomo, ma la Grazia.  L’Hesychia ed il silenzio non sono opera di uomini ossessionati dalla quiete, e da un silenzio forzato, come “scelta” ascetica. Sono il dono meraviglioso che lo Spirito Santo dà a coloro che possono accettarlo, grazie ad un cuore purificato.  Questi uomini, profondamente uniti a Dio nel Silenzio e nella contemplazione, sono un dono per tutta la Chiesa. Essi sono l’occhio purificato che accoglie la luce e la trasmette a tutto il corpo ecclesiale. Non sono monaci che cercano solo una propria personale perfezione, ma un vero e proprio canale di Grazia di cui si avvantaggiano tutti i cristiani.

Siamo così arrivati alle soglie della “Theosis” di cui parleremo nel prossimo articolo.

 

Per approfondimenti sulla visione patristica della ascesi

Jean-Claude Larchet – Terapia delle malattie spirituali – Ed. San Paolo

 

CHI VOLESSE VISITARE L’ATHOS ENTRANDO IN CONTATTO CON I MONACI DI UN MONASTERO TRA I PIÙ VIVACI ED IMPEGNATI, PUO’ SCRIVERE A

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