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Esaminiamo il passo della Genesi: 3,19 “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane”.

Dio punisce Adamo ed Eva, per aver mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male. Non dobbiamo pensare però ad un Dio vendicativo. Il Signore vuole salvare l’umanità, e per questo invia suo figlio. La condanna a soffrire, a sudare per sopravvivere, ha qualcosa in sé di redentivo. Soprattutto se la vediamo alla luce del Vangelo. L’Umanità è uscita dal peccato originale con una inclinazione al male. Questa inclinazione consiste, oltre ad essere esposti alle malattie ed alla morte, in un ”oscuramento” del Nous, cioè della parte più nobile del nostro cuore. Esso determina un severo disordine delle passioni. Queste, anziché essere ordinate verso Dio, sono orientate verso l’uomo, tradendo così la loro finalità naturale.  Ne consegue che lavorare con fatica è una cura che ha per fine mettere ordine tra le passioni. Dio punisce per salvare, non per vendetta. IL LAVORO E’ UNA MEDICINA CHE DIO CI HA DATO, PER CURARE LE NOSTRE PASSIONI. Dunque la corretta interpretazione di questo passo della scrittura, non dovrebbe essere puramente doloristica: soffrire per ripagare il debito. Ma, piuttosto, un invito ad usare l’ascesi del lavoro per santificarci, correggendo le nostre inclinazioni malvage. Ma c’è di più. La Nuova Economia, inaugurata dal sacrificio del Messia, ci dona la Grazia di somigliare al Salvatore. I Padri citavano questo adagio: Dio si è fatto uomo perché l’uomo si faccia Dio. E’ il passaggio da essere “Immagine di Dio”, perché dotato di Ragione, a “Somigliante Dio”, cioè fratello nelle Virtù, di Gesù Cristo il Messia. Così la classica interpretazione dei padri di Genesi 1,26. Riassumendo, si tratta di acquisire una chiara consapevolezza di due punti, senza i quali il termine “santificazione attraverso il lavoro” è un puro slogan.

  • La vocazione di ciascuno di noi consiste nel coltivare una o più virtù o attributi Spirituali. Si tratta del “Logos”, cioè del progetto Divino di cui ognuno è portatore.
  • Tutti noi abbiamo tutte le passioni, tuttavia in alcuni certe passioni saranno più forti, in altri altre. Il nostro temperamento tende quindi, ad organizzarsi intorno a una o più passioni o emozioni.

Per approfondire il primo punto proponiamo questo celebre passo di Isacco di Ninive, (da “Discorsi Ascetici” Ed. Città Nuova, Discorso II, pag. 52):” Sforzati di entrare nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai quel tesoro che è in cielo. Questo e quello, infatti, sono uno solo e per una sola porta li vedrai entrambi. La scala di quel Regno è nascosta dentro di te, nella tua anima. Tu sprofondati in te, lontano dal peccato, e là troverai i gradini per i quali salire”.

 

Realizzare il nostro progetto interiore

Meditiamo questo splendido passo accostiamogli un brano di San Paolo ancora più bello, che abbiamo già citato, e su cui volentieri ritorneremo, perché molto importante. Esso riguarda il piano della salvezza:

 

28Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. 29Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; 30quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. (Romani 8,28-30 testo C.E.I.).

 

Non sembra credibile che la somiglianza fraterna, “l’essere conformi all’immagine del figlio suo”, che ci chiede il Signore, riguardi gli occhi o il naso. E’ chiaro che riguarda le Virtù. Dio ci chiama a vivere, appunto, alcune delle virtù o attributi del Cristo per i quali Dio stesso ci ha progettati (predestinati in San Paolo). Ognuno di noi, appunto, ha in sé un “Logos”, un disegno Divino che determina la nostra stessa struttura. Questo Disegno si esprime, nel nostro essere immagine del Figlio, attraverso degli attributi propri del Figlio stesso. Per esempio la Misericordia, la Pazienza, la Longanimità, la Fortezza etc. E’ ciò che l’azione dello Spirito Santo fa fruttificare in noi.  Come facciamo a scoprire quale Disegno è stato predisposto per noi? Come facciamo a scoprire le Virtù che rappresentano la nostra vocazione specifica?  Per scoprirlo Sant’Isacco ci suggerisce:” Guarda dentro di te”, cioè cerca di conoscerti. Per gli antichi conoscere sé stesso poteva anche voler dire: ascolta quello che gli altri ti dicono di te. A volte, infatti, gli altri, quando ci vogliono bene e sono in buona fede, ci danno suggerimenti inaspettati. Sanno “far scoprire Noi stessi a Noi stessi”. Possono farci notare che siamo pazienti o misericordiosi, quando noi stessi nemmeno lo sospettavamo.  E poi, continua ancora Sant’Isacco: “Sforzati di entrare nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai”… ma per farlo …” sprofondati in te, lontano dal peccato”. Cioè, non farti condizionare dalle tue passioni, che stanno alla superficie della tua personalità. Vai nel profondo, nel cuore e troverai…. Infatti se spesso non conosciamo il nostro Logos, la nostra vocazione spirituale, questo si verifica perché siamo troppo occupati ad assecondare le emozioni più forti e chiassose. Le nostre Passioni. Cioè il nostro peccato, come dice Sant’Isacco. Se non ne stiamo lontani, cioè se non pratichiamo un minimo di controllo sulle nostre passioni e pecchiamo, ecco che tutto si confonde. Stiamo quindi lontani dal peccato e scopriremo. Cosa vedremo? Continua Isacco: “Sforzati di entrare nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai quel tesoro che è in cielo. Questo e quello, infatti, sono uno solo e per una sola porta li vedrai entrambi”. Ecco il punto fondamentale che conferma ciò che avevamo detto prima, circa l’Immagine del Figlio Paolina. Attenzione, ripetiamo: “…nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai quel tesoro che è in cielo”.  Cioè è sia dentro di te sia in Cielo. E cosa dentro di noi ha un valore Eterno? Appunto gli attributi Divini, le Virtù del Figlio che il Signore specificamente a noi chiede di interpretare, per essere immagini del Figlio suo.  Dunque la Sapienza, la Prudenza, la Fortezza, la Temperanza etc….Quei doni che la Grazia dello Spirito Santo, ci trova più preparati di altri ad interpretare. Dice ancora Isacco: “…e per una sola porta li vedrai entrambi”. Qui possiamo dire due cose. “Per una sola porta”, potrebbe essere una forma poetica che conferma quanto già detto: ciò che dentro di noi ha un valore eterno è anche in Cielo, proprio perché appunto ha un valore eterno. Ma forse si capisce tutto meglio se assumiamo che “Porta” il Vangelo di Giovanni ci dice che è il Salvatore stesso: “Io sono la Porta…” in Giovanni 10,9 (ma tutta la parabola chiarisce il termine “Porta”, Gv 10,1-21). E sappiamo che Isacco era un grande amante del Vangelo. Con tutta probabilità Sant’Isacco alludeva quindi, alla Porta del Vangelo di Giovanni, cioè al Cristo. Dunque agli attributi ed alle Virtù che sono in noi, ma che sono anche in Cielo perché attributi del Signore Gesù. Torniamo quindi ancora al passo paolino dei fratelli fatti ad immagine del Figlio.

A questo punto qualcuno potrebbe obbiettare che non è bene cercare di conoscere le proprie virtù. Vi è grandissimo il rischio dell’orgoglio. Meglio fissare lo sguardo sulle proprie miserie per non montare in superbia. Per questa validissima obbiezione c’è la ancora la risposta di Sant’Isacco, che conclude”… e là troverai i gradini per i quali salire”.  Altro punto fondamentale ed essenziale da meditare. Là troverai i gradini…  Il Santo è ben consapevole che tutti noi partiamo da zero. Ci sono dei gradini di una scala da salire….altro che orgoglio! Certo, si può comprendere, per esempio, che la nostra vocazione è la Misericordia. Ma la luce dello Spirito non mancherà, prima o poi, di farci vedere, che nel praticarla ci sentiamo buoni. Che nel praticarla trattiamo i beneficiati con condiscendenza e superiorità. Purtroppo diventare coscienti di una vocazione non vuol dire essere già “arrivati”. Troviamo infatti dei gradini che DOBBIAMO SALIRE.  Ogni Virtù infatti è una Torre che arriva fino al Cielo. I gradini non si contano. Gli attributi divini sono un mare che una vita dedicata al Signore non basta ad esplorare.  Quindi consapevolezza delle Virtù a cui siamo chiamati, è anche consapevolezza che ancora a questa chiamata abbiamo risposto debolmente. Troppo debolmente.

 

Il progetto della vita nei Padri

 

Ora, per finire questa meditazione, è il caso di dire che tutta la Cosmologia e la Teologia di San Massimo il Confessore, è centrata sulla Parola di San Paolo che abbiamo citato. Ogni uomo, dice il Santo della Verità, ha un Disegno Divino in sé, un Logos.  E questo Logos, per San Massimo, è quel senso della vita di ciascuno che conduce a fare la volontà di Dio, ed accedere quindi alla Glorificazione con cui San Paolo conclude il passo citato.

Chiarita quindi l’attestazione scritturistica e patristica di quanto andiamo dicendo possiamo concludere così:

Quando parliamo di vocazione di ciascuno di noi, a parte quelle al discepolato ed agli ordini sacri, parliamo innanzitutto di vocazione spirituale. Per vocazione spirituale intendiamo quella che riguarda l’attuazione in noi dei Valori Eterni di cui il Signore Gesù è portatore. Dunque prima di tutto si tratterà, per esempio, di una vocazione alla Misericordia, oppure alla Fortezza. In pratica a qualcuno dei frutti dello Spirito.  NON di una vocazione a fare il medico, l’insegnante, lo stradino, l’artigiano o altro lavoro. Queste applicazioni pratiche sono importantissime ma non sono il nocciolo della vocazione. Sono solo il modo concreto con cui la nostra Chiamata si Incarna, si realizza in modo pratico.

 

Dalla vocazione spirituale al suo strumento di realizzazione

Perché questo è importante? Perché stiamo parlando di santificazione attraverso il lavoro. Per farlo dobbiamo avere CHIARA CONSAPEVOLEZZA che la nostra Vocazione NON SI IDENTIFICA CON L’ATTIVITA’ CHE CI DA’ UNO STIPENDIO. Ci sono quindi due parti distinte:

  1. La nostra vera vocazione, che è vocazione spirituale, ad interpretare una o più virtù del Cristo
  2. L’attività materiale, che ci permette di realizzare questa vocazione.

 

Spirito e Materia uniti come nella Incarnazione del Signore.

L’insistenza su questi punti, nasce dalla confusione corrente di questi due termini. Confusione per cui il primo viene candidamente omesso.  Purtroppo un effetto del materialismo dominante.  Si parla quindi, correntemente, di vocazione a fare l’insegnante oppure il commerciante. Molti, poi, usano dire che per alcuni lavori, come per esempio il medico, …ci vuole la vocazione. Per altri lavori no. Quindi nessuna vocazione per artigiani, spazzini etc. Decisamente di male in peggio. Ci si dimentica che Gesù non ha fatto il medico ma il falegname.

Si ha la vocazione alla conoscenza, all’ascolto ed al consiglio. Si può fare il medico per realizzarla. Se capita, però, anche un’altra professione. L’ importante è che consenta una adeguata espressione della stessa vocazione spirituale.  Come si può fare il medico per realizzare un’altra vocazione. Per esempio alla Misericordia, andando a fare il sanitario in missione. Quindi quando parliamo di santificazione con il lavoro dobbiamo cominciare dalle fondamenta, e non dal tetto: chiediamoci, quale è la nostra vocazione spirituale?

Dobbiamo acquisire consapevolezza di quali attributi siamo chiamati ad interpretare. Il desiderio di coltivare in modo adeguato e pieno di zelo queste Virtù, ci dovrà condurre alla scelta di quel lavoro, che sembra il mezzo più adeguato per realizzare i nostri desideri.

Questo l’ordine ideale delle cose. Spesso però ci troviamo ad acquisire la giusta consapevolezza dopo avere accettato o scelto un lavoro da anni. Come fare?

L’avere chiarito l’ideale ci può aiutare a chiarire il reale.  E’ molto probabile che il gioco delle circostanze, predisposte dalla Divina Provvidenza, sia ruotato intorno a certe nostre inclinazioni. In tal caso, si constata l’adeguatezza del nostro impiego, per sviluppare la nostra vita spirituale. Può però succedere che si trovi un contrasto tra vocazione spirituale e lavoro. Per esempio quando il lavoro ci impedisce di andare a messa la domenica, o quando ostacola il nostro bisogno di pregare. Vediamo cosa si può fare nei due casi.

  • Il nostro lavoro è adeguato ed anzi, ci è servito per comprendere quale è la nostra vocazione spirituale. In tal caso dobbiamo porci la domanda: come posso usare il lavoro per salire i gradini delle Virtù? Come può aiutarmi a perfezionarmi? L’amore per Dio, l’Amore per il Signore Gesù ci guiderà unitamente alla preghiera insistente, a comprendere meglio il nostro percorso. Date le risposte adeguate dobbiamo lavorare per realizzare il nostro progetto, che, come sappiamo, è anche quello del Signore. Può trattarsi semplicemente di perfezionare il nostro atteggiamento nei confronti delle mansioni che svolgiamo. Oppure, nell’ambito della nostra corrente occupazione, può trattarsi di un cambio di specifica mansione. Oppure ancora, potremmo impegnarci a migliorare tecnicamente quello che facciamo. Di questo punto, come di quello che segue, faremo altri approfondimenti dedicati.
  • Il lavoro che abbiamo non è adeguato, ma anzi ostacola il nostro sviluppo spirituale. Dobbiamo allora cambiarlo. Non ci sono dubbi. Dobbiamo batterci fino in fondo e con fede per cambiarlo con un lavoro più consono alla nostra ricerca spirituale. Non dobbiamo darci per vinti di fronte ai fallimenti e dobbiamo lottare con fede, chiedendo giustamente aiuto a Dio.

 

L’ ascesi nel lavoro.

L’argomento è molto vasto, come il precedente e naturalmente vi saranno ulteriori approfondimenti dedicati. Qui in generale è necessario provare a fornire un inquadramento generale. Detto questo sembra appropriato soffermarsi su quella che possiamo considerare una ascesi comune a tutti i lavori. Prendersi delle responsabilità e degli impegni retribuiti, aiuta il/la giovane a maturare come uomo e come donna, e  lo/la  prepara alla famiglia.  Questo è soprattutto vero in questi anni in cui molti giovani, a causa degli studi universitari, prolungano di molti anni l’adolescenza.  Dunque una ascesi maturante e molto positiva. Poi è necessario guardare alla individualizzazione. Per fare questo

-bisogna tornare a riesaminare il nostro temperamento, e le sue necessità di correzione. Facciamo un esempio concreto. Se qualcuno, che tendenzialmente è portato alla avarizia, fa un lavoro di relazione con il pubblico, questa va vista come una circostanza positiva. Ricordiamo che l’avarizia, non si esprime solo nel controllo dei soldi. Essa colpisce spesso anche il pensiero, provocando una tendenza a “risparmiarsi” anche nelle relazioni umane. Quindi dover affrontare il pubblico, meglio se con tempi prolungati, obbliga l’avaro a smussare il lato un po’ ombroso del suo carattere.  Questo può essere considerato un esempio felice di ascesi tramite il lavoro. Tuttavia va precisato che l’avaro in questione deve essere ben consapevole di tutto. Egli deve essere disposto a sfruttare l’occasione lavorativa per crescere. Ecco ancora una volta tornare a “galla” la consapevolezza.  Può però succedere che un avaro venga messo   a svolgere (o si cerchi), una mansione in cui svolge la sua attività completamente solo tutto il giorno. In questo caso il lavoro favorisce ed aggrava la passione della avarizia. Ecco allora che la consapevolezza può svolgere da segnale di allarme, e suggerire un cambio di mansione o di lavoro.

Da questo semplice esempio si può comprendere come il lavoro possa essere di grande aiuto nella crescita spirituale, attraverso l’ascesi. Bisognerà quindi, in seguito, trattare in dettaglio l’argomento.

Concludiamo questa parte su “Lavoro e Trasformazione” ricordando che questo capitolo del blog ha lo scopo di fornire solo un inquadramento del problema. Nei prossimi capitoli, come appunto da poco anticipato, sarà utile completare per esteso il discorso.

 

 

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