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Tutti i membri della Chiesa sono chiamati alla santità

Nel precedente articolo avevamo cercato di cogliere quale poteva essere il contributo che la vita monastica poteva dare a coloro, laici o no, che vivono nel mondo (“Dove si svolge la vera vita?”, vedi link in fondo a questo articolo). In effetti chi vive in monastero, ha la possibilità di approfondire il mondo interiore dell’uomo, con i suoi pensieri, con le sue passioni, ma anche con la potenza della sua preghiera. E questo è molto importante, e si aggiunge alla testimonianza di fede di chi abbandona tutto, per dedicarsi completamente a Dio. Di fronte alla bellezza di questa vocazione, il laico può essere tentato di pensare che è meglio delegare a degli specialisti la vita di fede, limitandosi al minimo indispensabile. Ma vediamo cosa dice San Paolo in proposito:

“Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. ….Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi. Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre…..Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra” (1 Corinzi, 12-21-25,27). Sembra tutto molto chiaro. Nella Chiesa, corpo di Cristo, siamo tutti uniti con una sola fede ed un solo Spirito, ed ogni membro ha la sua parte e la sua dignità. Quindi anche i laici. Quindi anche chi vive nel mondo. Tutti siamo chiamati alla santità. Tutti, e non soltanto alcuni.

La vocazione del laico: vivere l’invisibile nel visibile

Ma quale è la parte del laico nella Chiesa? Quale può essere il suo specifico? Questo:

“Vedere bene per operare bene,

Operare bene per vedere bene”

Ma cosa vogliono dire queste frasi un po’ misteriose? Perché vedere bene? Il segreto della spiritualità del laico nel mondo, ci è rivelato dai grandi Padri della Chiesa: Sant’Attanasio, Clemente Alessandrino, San Basilio, San Gregorio di Nazianzo, San Basilio, San Gregorio di Nissa, San Dionigi Aeropagita, San Massimo il Confessore, San Giovanni Damasceno. Solo per citarne alcuni. Essi ci insegnano che non possiamo vedere Dio in persona (per i dotti, nella sua Essenza). Lo possiamo però intravedere nelle sue attività, qualità ed attributi Divini, nomi, o altrimenti energie divine. Non possiamo vedere Dio faccia a faccia, ma possiamo vedere ciò che fa, per esempio, quanto è misericordioso con noi nella Sua provvidenza, quanto è potente, quanto è creativo, quanto è glorioso, mite, e tanto altro. Per comprendere meglio, possiamo leggere il Vangelo, cercando di vedere le qualità espresse da Gesù in ogni rigo. Vedremo che Gesù sa ascoltare, che ha compassione dei sofferenti, che ha discernimento, che è paziente, che è mite e delicato, e tanto, tanto altro. Gesù mostra nell’agire una infinità di qualità ed attributi, che essendo suoi, sono divini. I Santi Padri, sottolineano poi che le qualità e gli attributi di una persona Divina sono attributi di tutte e tre le persone. Ecco allora che si avvera ciò che Gesù dice in Giovanni 14,8-9: “Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».  Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre”. Una volta che ci hanno trasmesso questo, i santi padri ci incoraggiano a cogliere nel mondo, nella creazione e nelle creature, le stesse qualità, gli stessi attributi, gli stessi nomi, cioè le stesse “energie Divine”. Esse ci appaiono come riflesse in uno specchio, intorno a noi. Uno specchio in parte infranto, a causa del peccato, certo, ma pur tuttavia specchio. Ecco cosa vuol dire vedere l’invisibile nel visibile. Ecco cosa vuol dire vedere bene. “Vedere” cioè saper cogliere il bello ed il buono intorno a noi, che è presente come in un giardino sono presenti dei bei fiori. Quante volte, infatti abbiamo notato il comportamento generoso di un nostro amico, l’onestà di un commerciante, la bellezza di una pianta o di un animale, la scienza di un predicatore, lo spirito di servizio di un fratello nella fede. Il Gesù dei Vangeli, riflesso dalla creazione dalle creature diventa il Cristo per mezzo del quale tutto è stato creato. Ci insegna infatti San Massimo il Confessore, che è nelle virtù ispirate dallo Spirito Santo, che si realizza ordinariamente l’incarnazione divina nel mondo. E lo Spirito non informa solo i credenti, ma secondo i Padri, anche i non credenti. Questo il motivo per cui tanti atei si comportano in modo virtuoso. Questo ci incoraggia a guardarci intorno con fiducia.

Vedere bene per operare bene

Si agisce ciò che si pensa. Ecco perché contemplare il bene, aiuta ad ascoltare in noi la voce dello Spirito, che ci spinge ad operare bene. Cogliere l’invisibile nel visibile, trasforma le nostre stesse azioni, uniformandole al bene che si contempla. Lo Spirito è libero allora, di fruttificare. L’eucarestia che ci ha arricchito di grazia, la confessione che ci ha purificato, diventano in questo modo semi che generano piante, scintille che diventano fiamma d’amore. Nello stesso tempo però, operare il bene permette di guardare meglio, perché operare bene purifica il nostro occhio interiore, che in questo modo “vede” meglio, si accorge più facilmente della bellezza spirituale e la sa apprezzare. Dunque ecco completato il detto “circolare”:

vedere bene per operare bene, operare bene per vedere bene.

Conclusioni

Uno degli aspetti del cammino spirituale del laico nel mondo, forse il più interessante, è quello di imparare a vedere l’eterno nel tempo, lo spirituale nel materiale, l’invisibile nel visibile. Tutto ciò trova un solido fondamento nella teologia dell’incarnazione dei santi Padri. Il laico è chiamato in questo modo a credere nella salvezza del Figlio di Dio, vivendo costantemente alla Sua presenza, non soltanto per mezzo della preghiera, ma anche attraverso la contemplazione trasformante delle energie divine nel mondo.

 

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