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Quali sono le nostre solitudini?

Non solo chi vive da solo è interessato a questo articolo, ma un po’ tutti. C’è chi è sposato e non si sente capito dal coniuge, o è lontano dalla famiglia per lavoro. C’è chi ancora non ha trovato un partner come c’è anche chi lo ha perso perché deceduto o separato. C’è chi vive in famiglia ma passa alcune ore da solo. C’è chi è malato, e c’è chi vive da solo per scelta. Tante, tante solitudini, fisiche, mentali e spirituali. Tutte queste condizioni potrebbero essere interessate agli sviluppi di questo articolo.

 

Sant’Onofrio

Il 12 di Giugno abbiamo festeggiato Sant’Onofrio. Si tratta di un Santo del V° secolo, che visse dapprima come monaco ad Emopolis, per poi scegliere la vita da eremita nel deserto. I suoi biografi del tempo dicono significativamente: “Scelse la forma di vita più perfetta”. Qui merita fare una prima riflessione: per molti Padri del tempo la vita solitaria nel deserto era la forma di vita più perfetta. Sono parole che pesano ed interrogano. Oggi infatti la solitudine è disprezzata. Allora era ricercata e benedetta. Qualcuno potrebbe dire: anche ora è benedetta, purché consacrata….Si certo. Ma forse questa forma di vita non è soltanto una leggenda che alimenta il fervore dei pii cristiani. Può diventare qualcosa di concreto, capace di entrare nel vivo della nostra vita. Certo! Come tutte le cose davvero belle e sante. Vedremo come. Onofrio trascorse nel deserto ben 70 anni. Completamente sconosciuto e nascosto.  Un bel giorno, un altro monaco egiziano, di nome Pafnuzio, si inoltrò nel deserto alla ricerca degli eremiti, di cui desiderava fare conoscenza. Dopo 21 giorni, vide apparire una figura umana di terribile aspetto, ricoperta da capo a piedi solo dai lunghi capelli e da qualche foglia. Questo abbigliamento era solito negli anacoreti, che abituati a star soli e visti solo dagli angeli, alla fine facevano a meno di un indumento difficile a procurarsi o a sostituire lì nel deserto.
Egli allora capì di aver trovato chi cercava. Stabilitasi una fiducia reciproca, cominciarono le confidenze, l’eremita disse di chiamarsi Onofrio e stava nel deserto da 70 anni e di non aver mai più visto anima viva, si nutriva di erbe e si riposava nelle caverne. Da giovane era stato aiutato ad apprendere l’arte della vita eremitica da un Anacoreta più anziano, che dopo avergli insegnato, lo accompagnò presso un palmizio dove poi visse tutta la vita. Onofrio raccontò a Pafnuzio di come si adattasse al cambio delle stagioni, di come resistesse alle intemperie e di come si sostenesse. Un angelo provvedeva quotidianamente al suo nutrimento. Lo stesso angelo la domenica gli portava la s. Comunione. Il miracolo dell’angelo fu visto pure da Pafnuzio, che Onofrio condusse al suo eremo di Calidiomea, il luogo dei palmizi. Al termine della conversazione Onofrio spirò e Pafnuzio dopo averlo seppellito, si adoperò a far conoscere la sua vita.

 

Il racconto di un monaco dell’Athos

Tutte queste parole possono sembrare una leggenda, frutto della fantasia di un monaco esibizionista. Ma vediamo di comprendere insieme, cogliendo in una storia dell’oggi, cosa può spingere un uomo o una donna, verso la solitudine. Chi scrive ha incontrato pochi giorni fa, nel monastero dell’Athos intitolato ad Osio Gregoriou, un caro amico monaco in quel cenobio da 35 anni. Per comodità lo chiameremo Petros, ma questo non è il suo vero nome. Dunque Petros ha raccontato la sua storia. “Avevo 35 anni e vivevo a Larissa (Grecia). A differenza di te ero miscredente e conducevo una vita lontana da Dio. Un giorno, mentre passeggiavo per strada, sentii fortissima una “Presenza”, che mi interrogava e diceva: “Esisto io?”. Fu uno shock! Non vedevo immagini e non sentivo parole come fossero pronunciate da una bocca. Era strano. Era come se “capissi”, quello che mi veniva detto. Quello che dominava era la presenza di Dio. Forte. Fortissima. Naturalmente mi convertii, tuttavia la Divina Presenza continuò a irrompere nella mia vita per mesi. Massimo, era così forte che non potevo più continuare a vivere nel mondo”, continuò Petros. “Così andai all’Athos e parlai con Padre Paissios, a quell’epoca ancora vivo. Egli mi disse: prova qualche monastero, vedi quello dove ti senti più a tuo agio e là fermati. Così ho fatto e mi sono fermato 35 anni qui, ad Osio Gregoriou”.

Che l’apparizione di Gesù Cristo a Petros fosse autentica, i fatti stanno a dimostrarlo. Quello che ci aiuta. Quello che ci fa fare un passo avanti nel comprendere gli uomini di solitudine, è il tema della “Presenza” e della sua dirompenza in certe circostanze e con certe persone. Petros la sente talmente forte che non ce la fa. Deve lasciare il mondo. Ed è questo precisamente l’evento che ha spinto e spinge tutt’ora tanti uomini e tante donne, a cercare la solitudine: la percezione forte e chiara della Divina Presenza. Onofrio, come Petros, la viveva con tale intensità, da evitare gli altri uomini e cercare il deserto. San Diadoco di Foticea, San Simeone il nuovo Teologo, San Gregorio Palamas, hanno definito teologicamente e con precisione la sua esistenza e la sua importanza. Essi hanno stabilito che i credenti battezzati, possono avvertire le Energie Divine attraverso il senso spirituale, il “Nous”, che abita nella parte superiore del nostro cuore. L’allontanamento dal mondo, la solitudine, non sono più un sacrificio, ma una scelta quasi obbligata, e decisamente desiderata. La Divina Presenza cura la mancanza, il vuoto. Essa riempie ogni vuoto ed ogni mancanza. Dà gioia, pace, serenità. Appaga oltre ciò che possiamo immaginare.

 

La Divina Presenza e le nostre solitudini

Quale è la nostra reazione di fronte alla solitudine? Cosa facciamo quando torniamo la sera, stanchi dal lavoro? Alcuni di noi sentono il bisogno di accendere la TV o la radio, per sentire una voce umana. E’ comprensibile ed è naturale. Ma è un surrogato. Aiuta, questo sì, ma solo fino ad un certo punto. Certo, vedersi un bel film per riposarsi, telefonare ad un amico. Sono cose sacrosante. Non si tratta infatti di cambiare le nostre abitudini. Soprattutto non è il caso di farlo in modo drastico. Si tratta soltanto di aggiungere. Aggiungere momenti in cui coltivare la Divina Presenza. Ma come fare? Prima di tutto comunicandoci in modo frequente, non senza una periodica confessione. Poi, nella fase iniziale bisogna cercare un angolo del nostro tempo e della nostra casa, da dedicare al Signore. Non bisogna dimenticare, che il segreto della Presenza sta nell’esichia. Cioè nel silenzio. Dedichiamo al Signore uno spazio di silenzio. L’ora migliore è al mattino. Prima della colazione. Non è il caso di iniziare subito con tempi lunghi. Poco a poco. Si tratta di cominciare a pregare. Per farlo segnaliamo i seguenti tre articoli che descrivono in dettaglio come iniziare a pregare e come organizzare il tempo di preghiera. I link di questi articoli sono descritti in fondo all’articolo

  • Maria sorella di Lazzaro ed il vero unico Maestro
  • I primi passi nella preghiera di Gesù
  • Il rapporto personale con Dio

 

Dalla preghiera al silenzio

La preghiera è un esercizio. E’ un affinare le antenne, un educarsi al silenzio della Presenza. Molto gradualmente, ma se si è fedeli, sicuramente. Ci vorrà del tempo, ma ad un certo punto ci accorgeremo di non aver acceso la TV mentre sbucciavamo le patate per la cena. E ci sorprenderemo ad “ascoltare” il silenzio nella cucina. Il silenzio è lo stesso dappertutto. Quel silenzio si anima a poco a poco della Divina Presenza. Forse non nella sua intensità, ma certamente nella sostanza, è lo stesso silenzio che viveva Sant’ Onofrio. Davvero lo stesso.  Eccoci arrivati dove volevamo arrivare. Ecco come gli eremiti insegnano a laici e preti a curare le loro solitudini, a rovesciarne il senso, a santificarle. Piano piano il silenzio in casa diventerà un’esigenza. Da croce si trasformerà in dono, in pace e talvolta in gioia. E’ la cura. Forse una cura che non risolverà tutto. Ma certo una cura che darà un sollievo, un grande sollievo. Ci scopriremo allora a ricercare il silenzio, la solitudine e la presenza di Dio in mezzo alla natura. Ci sorprenderemo a pregare durante il lavoro, oppure mentre cuciniamo. I tempi della preghiera si allungheranno. Il tempo dell’orazione diventerà il momento più bello della giornata.

 

Conclusioni

Abbiamo talvolta un concetto errato di fede. Crediamo sia una convinzione. Un’idea. Dimentichiamo che per una convinzione l’uomo è capace di uccidere. Anche per Dio. Che la fede possa servirsi di idee per essere comunicata, è inevitabile. Quello che conta, però, è che il suo nucleo fondamentale, il suo nocciolo duro, sia solidamente piantato nella percezione della Divina Presenza. Essa ci fa crescere come cristiani, matura la nostra carità, e cura tutte le nostre solitudini.

 

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