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Affinare l’intenzione

Nella precedente tappa (vedi: “La lavanda dei piedi, il lavoro ed il cammino di Abramo”, link in fondo all’articolo), avevamo messo a fuoco il carattere di offerta del lavoro, richiamandoci all’Eucarestia ed all’incarnazione.  Assumeva importanza centrale il lavoro inteso come servizio, da rendere a Dio ed agli uomini. Abbiamo cercato di passare dal lavoro inteso solamente come attività remunerativa, al suo senso spirituale. Ci eravamo concentrati sulla necessità di trovare prima di tutto il lavoro, poi di perfezionarlo. Infine, abbiamo proposto di dare senso anche alla pensione. Il tema dell’intenzione con cui si opera era dunque trattato nella sua fase iniziale: trovare occupazione e perfezionarla migliorandosi. Il cammino di Abramo rappresenta efficacemente il perpetuo movimento verso la volontà di Dio.

Adesso, in questa seconda tappa, proviamo ad alzare lo sguardo, proviamo a scavare un po’ più a fondo nel senso eucaristico del lavoro. Cerchiamo insieme un valore spirituale più puro.

Come promesso la scorsa tappa, ripetiamo, per ricordarselo ed averlo presente, il brano del Vangelo sulla lavanda dei piedi. Eccolo:

“Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Giovanni 13,12-15).

Come già accennato nella scorsa tappa accostiamo questo brano con un nuovo passo estratto della Bibbia, per approfondire la nostra ricerca. Scegliamo Isaia 29,13-14:

“Dice il Signore: «Poiché questo popolo
si avvicina a me solo con la sua bocca
e mi onora con le sue labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me
e la venerazione che ha verso di me
è un imparaticcio di precetti umani perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo;
perirà la sapienza dei suoi sapienti
e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti».

Perché questi versetti? Cosa c’entrano con il servizio, e con un approfondimento del suo senso spirituale? Cominciamo ad esaminarne la struttura:

primo polo: noi tendiamo ad onorare Dio con la bocca e con precetti umani

secondo polo: mentre il nostro cuore è lontano dal Signore

Conseguenza: perirà la sapienza dei suoi sapienti
e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti.

Prima di tutto il Signore sottolinea una contraddizione tra parole e cuore. Le parole si mostrano da una parte ed il cuore, in realtà è da un’altra. Quindi vi è una aperta critica alla superficialità dell’intenzione, ad un fare le cose con il proprio intimo lontano da Dio. Il Signore ci chiede il nostro cuore. Vuole azioni fatte con il cuore rivolto a Lui. Con un cuore amante.  Esaminiamo più nel dettaglio cosa vuol dire onorare Dio con la bocca e poi vedremo le conseguenze.

 

La trappola della vanagloria

Lavorare bene. Fare bene il proprio compito. Chi mai può contestare una volontà del genere. Eppure…eppure potrebbe essere una trappola. Si può essere precisi e professionali, per il desiderio di essere lodati. Che cosa diranno gli altri? I parenti, gli amici, la gente? Qualcuno soccombe sotto i colpi di queste domande. E poi, comandare, finalmente. Non essere sempre noi ad ubbidire. Dare di noi un’immagine più “importante”. Di persona riuscita e di successo. A volte possiamo far coincidere un certo grado di bene, con un pizzico di vanagloria, ma non sempre riesce. Quindi dobbiamo rassegnarci a questa verità: servire con amore Dio ed il prossimo attraverso il lavoro, non sempre combacia con gli applausi.  Anzi. La regola vuole che cercare di lavorare bene scatena invidie e rabbie nei nostri colleghi. Se il nostro intento è quello di lavorare bene per ricevere approvazioni, scordiamocelo! Assolutamente. Prepariamoci invece all’odio di chi non ne vuol sapere di migliorarsi. Al disprezzo di chi fa timbrare il cartellino agli amici per andare a fare la spesa. All’invidia di chi non ha voglia di aggiornarsi e di studiare. Accettare, comprendere, perdonare. Rinunciare consapevolmente all’approvazione degli altri. Questa l’ascesi della nostra santificazione.

 

Un’altra trappola: l’avidità ed il materialismo

Succede quando il senso spirituale del lavoro svanisce, oppure non nasce nemmeno. A fuoco appare soltanto la retribuzione. Eppure è tanto meglio fare un lavoro per noi meno stressante, e più motivante, piuttosto che guadagnare cento euro di più. Ma ci infiliamo in mutui “capestro” da pagare per un pezzo di vita. Per avere una casa al momento sbagliato. Spesso troppo presto. Solo per paura di essere “buttati fuori”. Come se la provvidenza non esistesse. A quel punto ci si incastra. Ci si obbliga agli straordinari ed al doppio lavoro. Il dominio dello Spirito si afferma con la rinuncia equilibrata e prudente, alla proprietà ed al danaro. Certo è un bene proteggere la famiglia, ma tutto ha un limite. L’amore per il Signore, il desiderio di servirlo attraverso il nostro lavoro, il desiderio di “lavare i piedi” ai nostri fratelli, deve superare il legame con il danaro. Deve spingerci a guardare oltre l’ossessione di avere cose, tante cose. E non è vero che se ci caschiamo lo facciamo per i nostri figli. Non è vero. Inganniamo noi stessi a ripetercelo. La verità è che ci risulta difficile alzare la testa. Guardare oltre l’ossessione delle vicende materiali. Dare importanza ai valori dello Spirito. Se riusciamo a farlo, saremo prima di tutto più felici.

 

 Un agguato insidioso: la collera

Siamo tutti abituati a pensare alla collera come espressione di aggressività, manifestata con parole o atti. Non sempre è così. Per quanto sia difficile da comprendere a prima vista, l’ira si può scaricare anche in un eccessivo perfezionismo nel lavoro.  Essere precisi è un pregio, e per questo un certo tipo di cura dei particolari può trarre in inganno. A rivelare il gioco concorre la tendenza di queste persone ad essere critiche. E qui salta fuori dal nascondiglio l’aggressività. Ce la prendiamo con chi non fa le cose per bene. Ne parliamo con altri. Lo diciamo pubblicamente. Critichiamo a viso aperto il malcapitato. C’è poi la versione…”caritatevole” di questo tipo di aggressività. Si dispensano consigli per il bene altrui. Diciamo agli altri cosa sbagliano per aiutarli. Per spingerli a migliorarsi. Ci disponiamo a tagliare a fette l’operato degli altri, ma con…carità. Certo…con spirito di collaborazione….E ci risentiamo se qualcuno protesta. Ci sentiamo feriti, perché i nostri preziosi consigli non son stati ben accolti!  E intanto consegniamo il lavoro in ritardo, perché dalle nostre mani deve uscire solo qualcosa di perfetto.  E nessuno se ne accorge. Anzi possono arrivare delle lodi (sottilmente desiderate). Bisognerà pur essere precisi, no? Mica come gli altri….Come il tale, per esempio. La maldicenza e la critica svelano presto il trucco, purtroppo però, solo agli occhi di alcuni. E l’inganno continua. Ci si chiede poi perché si confessano sempre gli stessi peccati e perché non si va avanti. Eppure siamo bravi….facciamo con scrupolo il nostro dovere!

 

Né bianco né nero, ma grigio

Naturalmente molto di quello che abbiamo detto fino a qui, riguarda il carattere. Inoltre certi aspetti sono realmente positivi. Fare bene il proprio lavoro va comunque bene, ma a volte si oltrepassa la linea rossa del peccato e delle passioni. A quel punto il Signore è pronto a commentare: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.” (Matteo 6,1).

 

L’origine del problema

Ma perché siamo così deboli? Come mai le nostre buone intenzioni vengono deturpate così facilmente? Una prima facile risposta è la seguente: perché non abbiamo imparato a controllare le nostre passioni, ed a smussare il nostro carattere. Giusto. In effetti scopriamo dall’esperienza le ragioni dell’ascèsi che la Chiesa ci consiglia. Prima di tutto coltivando il digiuno ecclesiastico. Ma forse non basta. Vediamo come si concludono i versetti di Isaia prima citati: “perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo;
perirà la sapienza dei suoi sapienti
e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti»

Il Signore se la prende con i sapienti e gli intelligenti. Che stano! Perché?  C’è un perché. I sapienti e gli intelligenti sono gli amministratori delle “idee” per conto del popolo. I sapienti e gli intelligenti sono quelli che disprezzano i “sentimenti” del popolo. Anzi, come dicono loro, del “popolino”. Il sentimento di amore verso Dio, la preghiera accorata e semplice, sono per loro inutili devozioni. Roba per vecchiette. Invece sarebbero importanti le loro grandi idee. Purtroppo è doloroso doverlo dire, e si vorrebbe non dirlo. Ma la nostra fede spesso si trasforma, anche grazie al contributo dei sapienti e degli intelligenti, in un ideale. In una costruzione mentale. In una dottrina senz’anima. Il Signore punta il dito contro questo fenomeno: le idee al posto del cuore. Ma la fede non è un ideale come il socialismo od il liberalismo. Cosa vuole allora da noi il Signore? Ecco :“Figlio mio dammi il tuo cuore” (Proverbi 23,26). Ecco cosa vuole. Vuole un rapporto, non un ideale. Vuole che lo amiamo.  Tutti i grandi personaggi della Bibbia hanno un rapporto personale con Dio: Mosè, Davide, Giona, Giobbe e tutti, ma proprio tutti i profeti. È il grande insegnamento della Bibbia. Il primo ed il più importante: la fede non è una convinzione ma un rapporto, sia comunitario che personale con Dio. Un rapporto sia liturgico che individuale.  La fede è un dialogo. Ecco perché la preghiera è il segreto della santità. Coltivare il fiore dei sacramenti con la preghiera. Farli crescere dentro di noi con la preghiera.

 

Pregare durante il lavoro per giungere ad una trasformazione

Ecco dunque la soluzione: recitare la preghiera di Gesù durante il lavoro. Sottovoce o mentalmente. Non importa la frequenza. Tanto o poco che sia, l’importante è cominciare. La preghiera con il sacro nome di Gesù, è l’arma migliore per purificare l’intenzione, riscaldare il cuore e volgerlo verso Dio. Essa è fuoco che arde per offrire il nostro lavoro come sacrificio di soave odore. È l’incenso che sale fino al cielo e consegna al Signore il senso profondo dei nostri sforzi. È balsamo, che davvero rende efficace la nostra intenzione, avviando il nostro agire verso la profetica unione di Spirito e materia, santità dell’intenzione ed opera umana. Nicodemo Aghiorita, nello scrivere l’introduzione alla Filocalia, ricordava con nostalgia come i Funzionari Imperiali recitassero la preghiera di Gesù, durante il loro operato. Essa è adatta al laico, che durante il lavoro non può certo recitare o cantare l’ufficio. E la recitazione assidua aiuta il fedele a trovare “il luogo del cuore”.  Proprio quello che vuole il Signore. Egli lo trova e finalmente può consegnarlo a Lui. Può dare il cuore a Dio, e con lo stesso amore servire i fratelli nel lavoro.

 

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