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Dove ci conduce la contemplazione?

Prima di tutto riportiamo alla mente il significato della parola: cosa è la contemplazione? La contemplazione è uno sguardo semplice, privo di ragionamenti o concetti che, rivolto ad un oggetto, a un panorama naturale, a un comportamento o altro, ci permette di cogliere di questo una verità in modo immediato, diretto.  La contemplazione può essere anche delle “energie” Divine. O meglio di ciò che Egli permette che gli uomini abbiano la possibilità di percepire, della Sua Presenza.

Abbiamo visto in più di un articolo, quanto sia importante e come sia possibile, accedere ad un primo grado di contemplazione, osservando con uno sguardo semplice la natura (Vedi: “La contemplazione della natura come esercizio spirituale” e “Dalla semplicità dello sguardo alla semplicità di Dio”; i link in fondo).  Ci possiamo ora chiedere: ma è possibile affrontare le scritture con uno sguardo altrettanto semplice e contemplativo? E se sì, dove ci conduce questo cammino, a che serve? Perché è tanto amato dai padri della Chiesa? Maturare uno sguardo contemplativo, in fondo, per un credente che frequenta la chiesa e i sacramenti con una normale assiduità, e rispetta i comandamenti, non è poi così difficile. Anzi. È bene precisare che della contemplazione si è fatto troppo spesso un mito. Essa nei gradi più elevati certamente è stata un’esperienza dei grandi santi. Esiste però una contemplazione più ordinaria che può essere cercata e trovata anche da tutti i cristiani. Usciamo allora dal mito e dal mondo della immaginazione. Certo, i fatti straordinari generati dalla deificazione esistono, e nessuno li mette in discussione. Sono importantissimi per avviare ed incoraggiare la fede. Esistono però anche fatti meno straordinari, che sono a disposizione di chi intende passare dal latte spirituale alle bistecche. (o perlomeno alle …minestrine). Soprattutto teniamo presente che non si tratta di qualcosa di strano. Per i Padri era semplicemente il frutto del battesimo. Dunque vediamo come possiamo passare dal mondo materiale a quello spirituale, attraverso la contemplazione, coltivando la Sacra Scrittura.

 

Alla scuola di Gesù Catechista

Il Signore Gesù provvede ad insegnarci come fare. Nella parabola del seminatore Egli usa una situazione tipica del mondo contadino, la semina, per insegnarci ad elevare lo sguardo (Luca 8, 4-15). Il seminatore getta la sua semente in parte lungo la strada e questa viene divorata dagli uccelli, in parte sulla pietra. Dove non può mettere radici, in parte tra le spine, ed infine l’ultima parte sul terreno buono, e lì porta frutto. Cosa significa tutto ciò? Ce lo spiega Gesù stesso dal versetto 11 al 15:

“Il significato della parabola è questo: Il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno. Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione. Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza”.

Cosa ha fatto il nostro Maestro? Ha assegnato un simbolo per ogni cosa che compare nella parabola: seme=parola di Dio, uccelli=Diavolo che porta via, i semi che cadono sulla pietra, spine= preoccupazioni, ricchezze e piaceri, terra buona= coloro che ascoltano, custodiscono e portano frutto. Dunque, in conclusione, sia l’azione che le circostanze (la semina), come le cose che entrano nella storia (semi, uccelli, pietra, spine e terreno buono) acquistano un valore simbolico. Sulla base di questi simboli Gesù compone una storia, e quindi il significato spirituale. Cosa è successo? Gesù ci ha preso per mano e ci ha guidati dal mondo materiale e sensibile (ciò che può essere percepito con i sensi, che cade sotto i nostri sensi e che possiamo in pratica vedere e toccare, come i semi e le pietre), a quello “intellegibile” o “spirituale”, cioè al mondo che non si vede e non si tocca, ma si capisce, si comprende: i simboli ed il loro significato. Ma in cosa consiste la contemplazione in questo caso? In questo caso non abbiamo contemplato perché Gesù ci ha dato, per istruirci, una spiegazione discorsiva, impiegando la ragione ed i concetti. La contemplazione si ottiene invece, quando per grazia, arriviamo da soli al significato di una storia espressa in simboli, con un atto semplice, che giunge all’improvviso, per cui “capiamo” senza fare ragionamenti, tutto il significato spirituale di un evento narrato nella Bibbia.

 

Come i Padri comprendono ed interpretano questa lezione di Gesù

I Padri della Chiesa appresero questa lezione, e cercarono di interpretare gran parte della Bibbia tenendo presenti due livelli: quello letterale o storico, e quello spirituale. Il primo aveva certamente un senso, perché, partendo dalle storie concrete che si raccontavano, e dal loro valore materiale, aiutava a capire la morale cristiana.  Per esempio, la parabola del buon samaritano (Luca 10,25-37), vista in modo letterale o materiale, ci insegna ad amare il nostro prossimo.  Ma interpretata in modo spirituale ci dice qualcosa di più. Seguendo Gesù, i Padri prima di tutto assegnavano ai personaggi ed alle cose, dei simboli. Esattamente come Gesù aveva fatto nella parabola del seminatore. Vediamo. Il Samaritano= La Chiesa (non dimentichiamoci che la Chiesa, nei primi secoli, per gli ebrei era una sorta di eresia, come i samaritani). Il viandante colpito dai briganti = L’umanità ferita dal peccato originale, i briganti = il Diavolo. Il Levita ed il Sacerdote = il popolo ebraico e l’ebraismo. L’olio ed il vino = Lo Spirito Santo ed i Sacramenti.  Le due monete con cui pagare l’oste = il nuovo ed il vecchio Testamento. Adesso vediamo i simboli come si muovono nella azione. La chiesa (il buon samaritano) soccorre il viandante ferito, cioè l’umanità colpita dal peccato originale per mano del Diavolo (i briganti). Lo fa al posto degli Ebrei che con la loro legge non arrivano a salvare, usando lo Spirito ed i Sacramenti (l’olio ed il vino).  Ed infine la Chiesa paga l’oste con il vecchio ed il Nuovo testamento, cioè le scritture che salvano. Questa lettura della bibbia si dice appunto Spirituale ed era prediletta da gran parte dei Padri della Chiesa, perché educava (ed educa) a vedere oltre il senso morale e ragionato. Essi la usavano largamente, sia per il Nuovo che per il Vecchio Testamento. Questo metodo infatti, aiutava ed aiuta a contemplare, cioè a comprendere di colpo, senza troppi ragionamenti. Come? Attraverso quell’organo che ha sede nel cuore dell’uomo e che si chiama Nous. Il Nous è il senso spirituale. Sì perché come abbiamo i 5 sensi, vista, tatto udito etc., abbiamo nell’anima anche una sensibilità per le cose dello spirito. Cioè quello che nel cuore, quando preghiamo, ci aiuta a credere di essere alla presenza di Dio. È ciò che nel cuore gioisce durante una bella liturgia. È la parte superiore dell’anima dell’uomo, quella che viene toccata dallo Spirito Santo, quando il Signore dona la Sua Grazia. In Nous, effettivamente, è meno sensibile a concetti e ragionamenti ma sembra essere più facilmente illuminato da quello che in parole semplici possiamo descrivere come comparazioni. Cioè da similitudini tra una cosa con un’altra, per esempio tra un oggetto e un valore spirituale. I dotti usano parole più difficili come analogia, allegoria, anagogia. In fondo è un po’ come esercitare un muscolo. Leggere la Bibbia, sia il nuovo che l’antico testamento, aiutandosi con l’interpretazione spirituale dei padri, è un esercizio che favorisce lo sviluppo e la purificazione del Nous. Cioè del nostro senso spirituale. In questo modo qualche volta, anche noi stessi possiamo contemplare il senso profondo della scrittura. Possiamo cioè impegnarci in un testo di cui ancora non conosciamo l’interpretazione patristica e, dopo aver pregato, possiamo vedere se lo Spirito provvede ad aiutare anche noi, a “vedere” , cioè a contemplare, un significato spirituale del brano letto.  Naturalmente ciò che troviamo va poi verificato nei commenti della Chiesa, oppure con il nostro parroco. E’ logico. Ma, se agiamo con prudenza, anche noi cominceremo a sollevare lo sguardo. Ad andare oltre gli aspetti morali della Parola (peraltro giusti e sacrosanti), scoprendo il territorio invisibile e senza tempo dello Spirito.

 

Uscire dal tempo con la contemplazione

Torniamo alla parabola del buon samaritano. Oltre ad imparare a contemplare, quale è il guadagno del metodo di lettura dei Padri? Se ci mettiamo con pazienza l’attenzione, vediamo che la lettura spirituale integra la lettura letterale della parabola, trasferendo il significato dell’amore per il prossimo, dalla materia allo spirito. Come? Ci dice in pratica, che aiutare gli altri con un soccorso concreto e materiale, come curare delle ferite, è utile e raccomandabile, ma fa un bene che dura il tempo di una vita. Cioè qualche anno. Gli è invece superiore il bene spirituale volto alla salvezza dell’anima, perché dura in eterno. Se ci si fa caso, si cambia registro:

si passa dal tempo all’eternità, si esce dalla storia, per entrare in un’altra dimensione, quella della salvezza e del regno di Dio.  Questo esempio tratto dal Vangelo, ci mostra che con il metodo spirituale di interpretazione della scrittura, attraverso l’educazione del nostro senso spirituale che abbiamo prima descritto, si impara piano piano a vivere in compagnia dell’Eterno. A fare spazio nella nostra vita nel tempo, a ciò che è senza tempo, come il Regno di Dio. A dare a questo una sempre maggiore importanza. Se ci pensiamo bene, si tratta in pratica di una purificazione.

E dove ritroviamo di nuovo questa beata condizione? Nella Liturgia. Tutta la liturgia è costruita con dei simboli, esattamente come l’interpretazione patristica delle scritture. Ogni azione del Sacerdote è un simbolo. Ad esempio la persona che, nella liturgia di San Giovanni Crisostomo, precede con una candela in mano, il prete che porta il Vangelo, nella “Piccola Entrata”, simboleggia Giovanni Battista, il Precursore. Con l’aiuto del canto, adatta ad aprire e ben disporre il cuore, i simboli della liturgia eucaristica sono fatti strumento della Divina Grazia, che opera nei cuori trasformandoli. Ed il primo effetto è proprio quello di “far uscire dal tempo lo spazio liturgico”. Si passa cioè dal mondo materiale a quello spirituale, con la Presenza dello Spirito Santo e di tutta la Chiesa, anime dei defunti, Santi, angeli etc. . Come si vede è la stessa cosa che succede con la Sacra Scrittura. Perché? Il perché ce lo dice San Massimo il Confessore nel primo capitolo della Mistagogia: “ Il simbolo rappresenta un ponte tra il mondo materiale e quello Spirituale”.

 

Conclusioni

Abbiamo fatto un viaggio in compagnia dei Padri della Chiesa, che ci ha portato ad apprezzare la possibilità, che tutti i battezzati hanno, di accedere alla contemplazione, imparando, gradualmente, a passare dalla natura alla Scrittura. Abbiamo anche visto che questo potrebbe portarci ad apprezzare in modo nuovo anche la Liturgia. Ma i Padri non si accontentavano di queste belle scoperte. Essi ci possono prendere per mano e condurci ancora oltre. Ai cercatori sarà forse possibile, contemplare la Divina Presenza. Ma questo sarà un altro capitolo.

 

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